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Episodio 66 ·

Punizioni, conseguenze e obbedienza: che si fa?

In questo episodio affronto di nuovo il tema delle punizione e delle conseguenze e ci butto dentro una riflessione, secondo me doverosa, sull'obbedienza. Vi racconto anche un episodio che ho già raccontato sul blog qualche tempo fa e una storia che Alex racconta ai bambini da molto tempo (non l'ho detto, ma non era la prima volta che gliela sentivo raccontare).

Fatemi sapere che cosa ne pensate lasciandomi un commento sul blog, nella pagina dedicata a questo episodio.

:: Nell'episodio menziono:

Questo post La Storia del pilota.

Simone Davies, mia mentore montessoriana, con il suo blog The Montessori Notebook.

Jorge Floyd, nome uscito sulla scia dell'emozione, perché la sua morte mi colpì profondamente e mi fece approfondire un percorso di studi sull'antirazzismo.

Il mio corso Educare a Lungo Termine.

:: Come appoggiare il podcast:

Io non faccio pubblicità e non accetto sponsor, perché le pubblicità alimentano il consumismo e in più mi danno fastidio (quindi non voglio sottoporvi a più pubblicità di quelle che già vi sommergono nella vita quotidiana. Se vi piace il mio podcast e volete aiutarmi a mantenerlo vivo, potete acquistare uno dei miei corsi o prodotti:

  • Educare a lungo termine – un corso online su come educare i nostri figli (e prima noi stessi) in maniera più consapevole. Tanti genitori mi dicono che gli ha cambiato la vita.
  • Co-schooling: educare a casa – un corso online su come giocare con i figli in maniera produttiva e affiancare il percorso scolastico per mantenere vivo il loro naturale amore per il sapere.
  • Come si fa un bebè – una guida per il genitore + libro stampabile per i bambini per avviare l'educazione sessuale in casa.
  • Storie Arcobaleno – una guida per il genitore + libro stampabile per bambini per abbattere i tabù sulla diversità sessuale e di genere.

Oggi ho deciso di pubblicare un episodio su un argomento di cui ho parlato già in varie live su Instagram e di cui parlo tantissimo, ovviamente, nel mio corso online Educare a Lungo Termine: tra l’altro, visto che mi viene chiesto spesso, non ha scadenza, quando lo compri, puoi farlo al tuo passo e impiegare tutto il tempo che vuoi. C’è anche l’opzione di un percorso guidato, in cui vi guido alla scoperta del corso in 12 settimane con 12 mail e in cui si sono video chiamate con me, ma anche non ha scadenza, una volta che comprate il corso, ne avete accesso a vita. 

Ok, chiusa parentesi, ma se non promuovo io il mio lavoro, che è lavoro in cui credo moltissimo, non lo fa nessuno per me quindi a chi conosce già a memoria i miei corsi ringrazio per la vostra pazienza.

Il tema di oggi è punizioni e conseguenze e obbedienza e tutto ciò che ci gira intorno.

Qualche tempo fa ho pubblicato un post sul blog che ha generato molto interesse  e che vi racconto anche qui oggi. 

Un giorno giorno Emily ha scritto per errore sul tablet di Alex con un pennarello: era seduta per terra e stava scrivendo su carta, il tablet era vicino alla carta e lei si è sbagliata.

È un tablet costoso, non un giocattolo, è uno strumento di lavoro di Alex che noi adoperiamo occasionalmente con i bambini, perché è anche un ottimo strumento per l'homeschooling: fortunatamente siamo riusciti a rimuovere il pennarello usando una semplice gomma, santo google!, ma io istintivamente ho detto ad Alex davanti ad Emily che forse è troppo presto per lasciare che Emily lo usi da sola.

Emily è scoppiata a piangere. Io ho accolto la sua tristezza, l’ho abbracciata e le ho detto: “Emily, credo che sia una responsabilità troppo grande per te. Puoi usarlo di nuovo quando sarai capace a prendertene cura”.

Lei si è stretta a me e ha pianto ancora di più. Era davvero disperata e la capisco perché lei adora scrivere sulla tablet e visto che è come se fosse carta, gliela lasciamo spesso.

Allora le ho detto: "So che sei triste, ti capisco. Sono qui con te". Ci ha messo un po’ a calmarsi, quando ha smesso di piangere era ancora visibilmente triste.

Allora Alex è andato da lei e le ha chiesto se poteva raccontarle una storia, lei ha detto di sì e allora lui le ha raccontato questa storia, che vi leggo, perché come la racconta Alex è super:

«C'era un signore che possedeva alcuni aerei. Un giorno il signore aveva bisogno di andare da qualche parte e disse a un pilota di preparare l'aereo. L'aero è pronto e decolla, ma poco dopo inizia a perdere potenza e ad abbassarsi. Il pilota riesce ad atterrare e fortunatamente sia il proprietario dell'aereo che il pilota sopravvivono, ma l'aereo è completamente distrutto. Sai cos'è successo? Il pilota aveva commesso un errore, aveva messo il carburante sbagliato nell'aereo.

Dopo qualche giorno il proprietario dell'aereo chiama di nuovo lo stesso pilota e gli chiede di preparare l'aereo. Il pilota è confuso, non capisce: "Perché io? Ho distrutto un suo aereo”, gli dice. E il signore gli spiega: “Tutti commettiamo errori. Ma io sono sicuro che, ora che l’hai commesso una volta, tu non commetterai mai più questo errore. Ecco perché d'ora in poi voglio che sia tu l'unico a preparare il mio aereo".

E poi le ha detto: «Emily, oggi hai fatto un errore. Ma visto che l’hai già fatto questo errore e ti ha reso molto triste, sono sicuro che non lo commetterai mai più. Quindi mi fido di te con la tablet, puoi usarla quando vuoi. 

Stabiliamo una regola, però: non usiamo mai la tablet sul pavimento, così ci sono meno possibilità che si mischi con i giocattoli. Va bene?».

Si sono stretti la mano e lei lo ha abbracciato per mezz'ora.

Ecco, per me quello è educare a lungo termine. Cioè, non che io abbia sbagliato. Io sono stata brava, ho controllato le mie emozioni (non mi sono arrabbiata come avrei fatto una volta), ho accolto l'errore e l’emozione, ma sarei comunque ricaduta sui metodi dell'educazione tradizionale: le avrei tolto la tablet — che è comunque un castigo, non posso girarci intorno, e poi non le insegna nulla, perché… come fa ad imparare a prendersi cura della tablet se non le permetto di usarla?

Invece Alex ha fatto un passo più in là, ha trattato l'errore come ciò che deve essere: un amico e uno dei migliori maestri di vita. Gli errori sono amici. È facendo errori che impariamo. Non sono i castighi che insegnano, sono gli errori: pensiamo che i nostri bambini imparino grazie ai castighi solo perché ogni volta che sbagliano, noi li puniamo e non diamo loro il beneficio del dubbio.

Se invece non li punissimo e parlassimo con loro dell'errore, di cosa è giusto e sbagliato, la prossima volta è molto probabile che non lo commettano più o magari lo faranno ancora, se non l’hanno ancora interiorizzato, ma appena lo interiorizzano, puff, smettono di farlo  – e così non commettono più l’errore non per paura della punizione, ma per voglia di fare la cosa giusta. E così diventano adulti che non superano il limite di velocità non per paura della multa, ma perché vogliono fare la cosa giusta. A buoni intenditori, poche parole.

Ma sapete qual è la cosa che mi ha stupita di più di questa storia? È la reazione dei genitori quando l’ho condivisa. La loro reazione e le loro parole mi hanno fatto capire che molti genitori sentono ancora di dover essere l’autorità nella famiglia. E purtroppo ho notato che autorità per molti significa ancora impartire disciplina e impartire disciplina significa essere il giudice e punire quando un bambino commette un errore.

Ma io credo che questo sia profondamente… non vorrei dire sbagliato, ma forse… antiquato come mentalità: una mentalità che condanna l’errore e punisce per ottenere obbedienza non educa a lungo termine e soprattutto non crea pensatori critici.

Io ancora una volta devo ringraziare Maria Montessori per avermi insegnato una mentalità completamente diversa verso l’errore e quindi anche verso tutto questo circolo vizioso del “io sono l’autorità, quindi condanno l’errore, punisco mio figlio perché solo così posso insegnargli”.

Ricordo quando ho letto per la prima volta tanti anni fa nel libro La mente del bambino di Maria Montessori questa citazione che vi leggo, ma in realtà potrei recitarla a memoria:

Consideriamo l'errore per sé stesso. È necessario ammettere che tutti possiamo sbagliare; è una realtà della vita, cosicché ammetterlo è un gran passo verso il progresso. Se dobbiamo percorrere il sentiero della verità e della realtà, dobbiamo ammettere che tutti possiamo sbagliare, altrimenti saremmo perfetti. Così meglio sarà avere verso l'errore un atteggiamento amichevole e considerarlo come un compagno che vive con noi e ha uno scopo, perché veramente ne ha uno.

È da allora che ho iniziato a osservare quando i bambini sbagliano, specialmente i miei, ma anche quelli degli altri perché osservare i bambini è ormai un po’ una deformazione professionale per me, e poi ha un fascino incredibile, sa sempre di scoperta, di evoluzione, di rivoluzione. E più li osservavo, i bambini, più mi rendevo conto di una cosa per me rivoluzionaria: raramente i bambini sbagliano e raramente sbagliano apposta. 

Dico che raramente sbagliano perché in realtà anche quando sbagliano, l’errore più spesso che no, nasce dal loro desiderio di scoprire, dalla loro curiosità: non colorano la parete perché sono cattivi o perché vogliono sfidarci. Colorano la parete perché pensano “io adoro colorare sui fogli, la parete è bianca, deve essere interessante colorarla, è praticamente un foglio gigante!”.

Come dice Simone Davies, che non so se l’ha detto lei per prima, ma io l’ho letto da lei, i bambini piccoli sono esseri umani incompresi e fraintesi. 

Non lasciano cadere il cibo per terra perché sono cattivi e vogliono infrangere la mia regola e non rispettare la mia autorità quando dico loro “il cibo non si fa cadere”: lo lasciano cadere perché la gravità è una cosa meravigliosa; pensano: “cioè io davvero posso lasciare andare questo oggetto dalla mia mano e arriva fino a terra? Wow, e poi questo oggetto cade e fa un suono e quest’altro cade e fa un suono diverso, questo broccolo arriva subito a terra, questo pezzo di carta ci mette di più… wow!”. Per noi adulti è del tutto normale, per un bambino piccolo questa è un’esplorazione affascinante. (E no, non ho detto età apposta, perché ogni bambino è diverso e fa le sue scoperte con tempi diversi).

E poi dico bimbi piccoli, ma prendiamo un bambino più grandicello che butta il cibo a terra e magari ci guarda perché in realtà sa che il cibo non si butta a terra perché glielo abbiamo già detto: che cosa pensa il genitore? Pensa, “Ecco, mi sfida in continuazione”: siamo così programmati a pensare che i bambini ci sfidino che non ci fermiamo nemmeno un attimo a pensare che magari invece vuole semplicemente attirare la nostra attenzione, perché a tavola tendiamo a parlare tra noi adulti e non li consideriamo, o perché guardiamo il telegiornale e loro si annoiano oppure anche solo perché non gli piace quel cibo e non vuole vederlo nel suo piatto, ma non sa come comunicarlo e non ha un’alternativa al tirarlo per terra (di questo tra l’altro abbiamo parlato nell’episodio con pediatra Carla). Oppure quel bambino più grandicello ha notato che se ci chiama per attirare la nostra attenzione, noi non rispondiamo, ma se butta qualcosa per terra ha tutta la nostra attenzione, perché ricordatevi: anche l’attenzione negativa è attenzione!

Ok, credo che diamo davvero troppo poco beneficio del dubbio ai bambini (o forse alle persone in generale, non lo so, ma sicuramente ai bambini sì, perché mi sembra quasi che li vediamo troppo spesso come nostri studenti, come persone a cui dobbiamo insegnare e visto che arriviamo da un’educazione tradizionale in cui l’insegnante è l’autorità, è alla cattedra, l’insegnante insegna e lo studente impara, ed è quella l’educazione che abbiamo ricevuto e che i nostri genitori hanno ricevuto a loro volta, tendiamo a replicare quello stesso tipo di educazione anche a casa con i nostri figli). E quindi tendiamo a replicare anche lo stesso approccio all’errore. A scuola l’insegnante gli dà un brutto voto o li mette sulla sedia della riflessione, a casa il genitore si arrabbia, dice che è deluso, minaccia (se non smetti subito, non vai alla festa di compleanno) o toglie ai bambini qualcosa che amano come punizione.

Perché? Perché pensiamo che la punizione ottenga obbedienza. E qui devo aprire una parentesi sull’obbedienza. 

Il volere obbedienza è proprio il punto di partenza sbagliato per crescere i figli. Io non voglio che i miei figli siano obbedienti e non vedo l’essere obbediente come una caratteristica positiva. 

Obbedienza è una parola che non ho mai apprezzato perché a me sa di sottomissione: un cane è obbediente perché si sottomette a me, io sono il suo padrone; un essere umano deve essere critico, imparare a esprimere il disaccordo e far sentire la sua voce per ciò che non gli sembra giusto. Ecco, io è come io vorrei i miei figli, le persone e le future generazioni. 

Il volere obbedienza per me è il punto di partenza sbagliato, perché se io cresco i miei figli con l’immagine dell’obbedienza cieca all’autorità, oggi l’autorità sono io, genitore, e io nonostante tutto voglio il loro bene, ma domani l’autorità è il professore all’università che fa l’ingiustizia, o il capo in ufficio che abusa della sua posizione e del suo potere… e a quelle persone probabilmente il loro bene non interessa così tanto.

Quindi io non voglio che i miei bambini imparino ad obbedire ciecamente alle autorità, me compresa. E allora faccio ciò che penso sia giusto per nutrire la loro mente critica: quando mi dimostrano a parole o con comportamenti che una mia regola, un limite che ho stabilito io, è sbagliato o che loro sono già troppo grandi per quel limite, cerco di accoglierli. E allora magari scalano l’albero che io gli ho appena detto di non scalare perché si sentono capaci o perché non pensano che “non scalare l’albero” sia una regola valida in un giardino dove l’albero è l’unica cosa divertente.

Ho pensato molto su tuto questo, ci penso da anni, anzi, forse inconsciamente ci penso da quando sono bambina perché io sono stata cresciuta in una famiglia tradizionale con “è così perché lo dico io” e castighi e punizioni, e credo che tutta questa mentalità dell’autorità e dell’importanza dell’obbedienza ci arrivi dal vedere l’errore come un qualcosa di negativo.

È quasi come se volessimo che i nostri figli non sbagliassero e visto che noi abbiamo più esperienza di loro perché abbiamo vissuto più vita pensiamo che se ci ascoltano, se ci obbediscono, non sbaglieranno. E invece non ci rendiamo conto che così facendo, li stiamo privando del maestro di vita più importante, che è l’errore. E poi quando commettono un errore, li stiamo sgridando e punendo, li stiamo mettono in castigo, stiamo dicendo loro che ci hanno delusi e tutto questo in realtà manda loro il messaggio “Quello che dico io e il mio giudizio prevalgono su quello che vuoi tu, prevalgono sul tuo desiderio di scoperta, di avventura, di esplorazione, prevalgono sul tuo diritto di sbagliare e trovare una soluzione, di cadere e rialzarti da solo…”. Stiamo togliendo loro la possibilità di sviluppare la fiducia in se stessi.

A lungo andare questa mentalità non funziona. Perché o i bambini o ci ascoltano ciecamente (e allora agli occhi della nostra società sono considerati bambini buoni) o si ribellano e non ci ascoltano (e allora li etichettiamo come monelli – perché un bimbo che non ascolta e piange è erroneamente visto come monello). Ma sia nel primo caso che nel secondo quello che non stanno imparando è fidarsi di noi; quello che non stanno imparando è scegliere da soli il giusto; quello che non stanno imparando è prendersi la responsabilità delle proprie azioni; quello che non stanno imparando è a rialzarsi da soli se cadono. 

E soprattutto quello che non stanno imparando è a far sentire la propria voce di fronte alle ingiustizie, qualsiasi ingiustizia: oggi è il bimbo che tira i capelli all’amico, domani è un’amica che esclude una persona dal gioco per il colore della sua pelle, dopodomani è l’estraneo che butta la spazzatura per terra e un giorno sarà il politico o il poliziotto che abusa del proprio potere. Non lo so, è utopico sicuramente, ma forse se creiamo una società di persone che sono sicure di sé, sanno riconoscere il giusto dallo sbagliato e scelgono di far sentire la propria voce magari ci saranno meno George Floyd nel mondo. E scusate se mi emoziono.

E niente, ora mi sono lasciata trasportare dalla mia solita ragnatela di pensieri e mi sono persa. La mia scaletta mi dice parla delle conseguenze e quindi vi parlo delle conseguenze.

Io ho sempre sostenuto che è meglio usare le conseguenze piuttosto che le punizioni ma è da un po’ che noto che spesso questo viene frainteso. Magari io penso che una mia decisione sia una conseguenza, ma in realtà è solo un altro nome per punizione: per esempio, hai rovinato il tablet, quindi te lo tolgo perché non sei ancora in grado di prendertene cura. Io la vedo come una conseguenza naturale, ma in realtà non è molto diversa da una punizione. Una conseguenza naturale vera è inflitta dall’ambiente: se lascio i pennarelli senza tappo e si seccano non posso più usarli, ecco quella è una conseguenza naturale del comportamento del bambino. Quando decido io che tipo di conseguenza ha il suo comportamento, in realtà sto sono chiamando conseguenza quella che in realtà è una punizione. 

E poi come dicevo prima in realtà se io tolgo il tablet a mia figlia perché l’ha rovinato, non le sto insegnando a prendersene cura, perché l’unico modo che lei ha di imparare a prendersene cura è praticare a prendersene cura, quindi usarlo. Mi è piaciuto molto il commento di Margherita, una lettrice, sotto il post sul blog che raccontava che alle prime lezioni di equitazione, sua figlia era guidata dall'istruttrice. L’istruttrice teneva lei le briglie. Un giorno, quando la bambina si sentiva già da un po’ pronta a fare da sola, ha chiesto alla madre perché non potesse tenerle da sola le briglie. E la mamma le ha detto che quando sarà capace, allora potrà tenerle da sola. E la bambina le ha risposto: "Ma come faccio a diventare capace se non lo faccio?”.

Ecco, se tutti i bambini di tutte le età potessero parlare, direbbero questo. Come faccio ad imparare se non mi lasci fare da solo e non mi lasci sbagliare? 

Ecco, forse per parlare davvero di conseguenze o punizioni in realtà bisogna fare un passo indietro. Bisogna iniziare dal parlare di fiducia. 

E non solo parlarne, ma iniziare a dare fiducia ai bambini, e per dare fiducia ai bambini dobbiamo iniziare dal dare loro il beneficio del dubbio, dal credere alle loro parole, dal non pensare di default che ci stanno sfidando, dallo smettere di valutare la bravura di un bambino da quanto obbedisce… secondo me il pensiero istintivo (o che dobbiamo forzarci di rendere istintivo) è che se hanno fatto qualcosa che reputiamo sbagliato magari hanno una ragione, che se ci stanno dicendo una cosa che pensiamo essere una bugia magari c’è un fondo di verità, che se hanno commesso un errore è giusto dare loro il beneficio del dubbio. 

Questa è fiducia. E ricordatevi che la fiducia è a due corsie. Se noi iniziamo a fidarci di loro, loro si fideranno sempre di più di noi e accoglieranno sempre più volontariamente la nostra guida.

Perché capiranno che li stiamo crescendo dall’accompagnamento e non dalla superiorità e impareranno a dare a che noi il beneficio del dubbio e a perdonarci quando sbagliamo. Proprio come facciamo noi con loro. Perché l’unica maniera di insegnare come essere adulti onesti, empatici, rispettosi, giusti e consapevoli è esserlo noi stessi.

Voilat, mi sono dilungata, mannaggia. Grazie per la vostra pazienza e per il tempo che mi dedicate ogni venerdì quando esce il podcast e ogni volta che pubblico un articolo nuovo, non è scontato e lo apprezzo molto.

Vi ricordo che di tutto questo parlo in maniera più completa nel mio corso Educare a Lungo Termine e che se vi manco da qui al prossimo venerdì mi trovate su www.latela.com o su Instagram e Facebook come @lateladicarlottablog.

Buona serata, buona giornata o buona notte, a seconda di dove siete nel mondo. VI abbraccio   

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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