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Episodio 31 ·

Insegnare ai bambini a giocare da soli

In questo episodio di Educare con Calma parliamo di gioco autonomo e di quali siano i fattori (per me) essenziali per insegnare ai bambini a giocare da soli. Se cercate trucchi veloci, non li troverete in questo episodio… ma quello che troverete è come iniziare a gettare basi solide ed essenziali per far sì che poco a poco i vostri bambini non richiedano sempre la vostra presenza nel gioco. Sapete che io sono per il lungo termine 😉

Nell'episodio menziono:

"La mente del bambino" (libro di Maria Montessori che trovo ottimo per un primo approccio con la filosofia)

Il volume 45 "Giocare da soli" (scritto da me) della collezione Gioca e Impara con il Metodo Montessori: se volete acquistarlo, dovrebbe essere ancora disponibile a questo link.

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1. Educare a lungo termine: un corso online su come educare i nostri figli (e prima noi stessi) in maniera più consapevole. Tanti genitori mi dicono che gli ha cambiato la vita.

2. Co-schooling – educare a casa: un corso online su come affiancare il percorso scolastico per imparare a giocare con i nostri figli in maniera produttiva e mantenere vivo il loro naturale amore per il sapere.

Non avete idea di quanti genitori mi scrivano ogni giorno chiedendomi come insegnare ai bambini a giocare da soli. Io li capisco, vedono Oliver ed Emily che giocano spesso da soli, che rispettano il nostro lavoro e i nostri spazi e vorrebbero lo stesso. Ma questa purtroppo è una domanda difficile perché non esiste la bacchetta magica. È un po’ come quello che dicevamo nell’episodio su come nutrire la pazienza nei nostri figli: è un processo, il gioco autonomo va coltivato ogni giorno, a piccole dosi, a piccoli progressi e anche piccoli regressi perché i bambini passeranno fasi in cui avranno di nuovo più bisogno di noi e allora giocheranno meno da soli, richiederanno di più la nostra presenza (e in quei momenti, anche se sono poche settimane, spesso noi genitori ci lamentiamo, cominciamo a dire ad amici e famigliari frasi come “non gioca mai da solo” anche se magari fino alla settimana prima lo faceva, ed è generalmente quando diciamo cose ai nostri figli come “ma come, fino a poco fa giocavi da solo e ora non più, dai gioca un po’ da solo che io devo lavorare” senza renderci conto che questo spesso è controproducente e non fa che allargare la fase invece di risolverla, perché è soltanto una fase. È successo spesso che i genitori mi scrivessero cose del genere e io magari ci ho messo di più a rispondere e dopo un paio di settimane rispondo e scrivo sempre, immagino che ora la situazione sia già migliorata perché questa è sempre una fase e effettivamente al 98% dei casi mi confermano: “sì hai ragione adesso va molto meglio”. E ci tengo a dirlo perché io so che le fasi spesso sembrano interminabili anche se durano solo da pochi giorni o poche settimane, lo so perché ovviamente anche i miei figli hanno fasi, ma se noi le trattiamo come fasi che finiscono e che dobbiamo solo aspettare che finiscano, vi assicuro che la nostra attitudine di genitori cambia e siamo molto più disponibili anche ad accogliere i regressi. Perché appunto nella mia esperienza quando un bambino che prima giocava da solo o giocava di più da solo, ha una “regressione” e ha bisogno di più della nostra presenza, funziona molto meglio in quel momento assecondare il suo bisogno, mostrare che siamo lì per loro e dedicare un po’ più di tempo finché li vediamo di nuovo immersi in un’attività e poi continuare a lavorare, magari seduti vicino a loro invece che alla scrivania, insomma cercare di accogliere l’emozione e la fase… in fondo loro non in quel momento non ci stanno dicendo non voglio che lavori, ci stanno dicendo ho bisogno di te. E io vi assicuro che quando assecondiamo i bisogni di un bambino, quel bambino impara a sviluppare un sano attaccamento, che si riflette in una sana sicurezza di sé e di conseguenza anche in una sana capacità di stare da solo e, indovinate un po’?, giocare da solo.
Ma andiamo per ordine.
Direi che se dovessi decidere tre fattori principali per favorire il gioco autonomo sarebbero: ambiente, osservazione e opportunità.
Oggi non scenderò in dettagli perché il tema gioco autonomo è davvero ampio, tra l’altro ne abbiamo parlato brevemente la settimana scorsa nell’episodio con mammasuperhero, e vi ho anche raccontato che nel 2020 ho scritto un volume per la collezione gioca e impara con il Metodo Montessori che si intitola “Giocare da soli” e che potete trovare sullo store online del Corriere della sera, ve lo lascio nelle note dell’episodio, quindi credo che ci vorrebbe molto più di un episodio del podcast per parlare approfonditamente del gioco autonomo, ma oggi mi piacerebbe proprio raccontarvi al di là dei dettagli qual è la mentalità generale per promuovere il gioco autonomo, perché voi ormai mi conoscete, io per i temi importanti credo che sia più utile prima cambiare la mentalità generale e poi concentrarsi sulle tecniche del quotidiano. È lo stesso discorso che facevo sul Metodo Montessori, possiamo mettere un letto a terra, ma il letto a terra non ci trasformerà in genitori consapevoli e che educano a lungo termine. 
Quindi parliamo delle cose essenziali!
Essenziale per il gioco autonomo è l’ambiente, su questo non ci piove, e al riguardo vi leggo una citazione di Maria Montessori proprio sull’ambiente che trovate ne La Mente del Bambino:
“La pedagogia insegna che l’ambiente deve offrire minore resistenza e si cerca quindi di diminuire gli ostacoli inevitabili presentati dall’ambiente, possibilmente eliminandoli del tutto. Si procura oggi di rendere attraente tutto quanto circonda il bambino e in particolare nel caso del bimbo che prova repulsione per l’ambiente stesso, così da aiutare il sorgere di sentimenti di simpatia e benevolenza per vincere diffidenze e disgusto. Si crea pure al bambino una attività piacevole perché sappiamo che lo sviluppo si opera per mezza dell’attività. L’ambiente deve esser ricco di motivi che interessino l’attività e invitino il bambino a condurvi le proprie esperienze”.
In queste poche righe, quello che Maria Montessori dice, se vogliamo parafrasare, è che 1. Dobbiamo seguire l’interesse del bambino, che significa offrire o creare attività che lo interessino e 2. L’ambiente deve essere bello (perché i bambini amano la bellezza, come noi adulti, chi ha fatto il mio corso educare a lungo termine lo sa) e l’ambiente deve essere ricco di motivi di interesse per il bambino, ma attenzione non dice di cose materiali. Parla di motivi. Un motivo di interesse può essere prendersi uno spuntino, e per questo basta preparare l’ambiente in modo che possa farlo da solo, per esempio mettendo una torre d’apprendimento in cucina che permetta al bambino di raggiungere il bancone per prendere un frutto e lavarlo nel lavandino prima di mangiarselo. Questo è un motivo di interesse. 
Poi voi ormai mi conoscete, l’ho anche già accennato nell’episodio sulla pazienza, io non sono favorevole all’avere tanti giochi, perché credo controproducente: riempire la casa di giocattoli non favorisce né la pazienza né il gioco autonomo: quando un bambino può passare da un gioco all’altro come un’ape passa di fiore in fiore, prima di tutto non si ferma a concentrarsi su nulla (e ovviamente la concentrazione favorisce il gioco autonomo) e poi non ha il tempo di sviluppare nessuna abilità perché 1. non gioca con nessun gioco abbastanza a lungo da apprezzarlo davvero, e 2. perché non supera mai l’ostacolo del primo approccio con un gioco nuovo che spesso può essere anche un po’ ostico. E ovviamente se un gioco non sviluppa un’abilità, significa anche che non sta costruendo nulla che il bambino vorrà praticare da solo. Sentiamo sempre dire che il gioco è il lavoro del bambino, ma il gioco a cui ci si riferisce è un gioco che abbia uno scopo. Quando un gioco ha uno scopo, quel gioco costruisce un’abilità e il bambino prenderà quell’abilità acquisita e la vorrà perfezionare, perché sappiamo che perfezionare è una delle tendenze umane, tutti tendiamo a perfezionare, non solo i bambini ma anche gli adulti, chi ha il mio corso sul co-schooling sa che cosa sono le tendenze umane ed è secondo me un tema affascinante. E questo voler perfezionare, sapete che cosa significa? Concentrazione. Che sapete che cosa significa? Gioco autonomo!
E non so se avete notato, ma tutto quello che ho appena descritto nasce dall’avere il giusto ambiente preparato, perché il giusto ambiente promuove la concentrazione che promuove il gioco autonomo e l’indipendenza e secondo me il giusto ambiente è un ambiente con pochi giocattoli, massimo 5-6 ben ordinati sulle mensole, e soprattutto un ambiente a portata di bambino, che dia indipendenza al bambino e se vi interessa approfondire il tema ambiente vi invito ad ascoltare il mio episodio del podcast sugli aspetti essenziali per Montessorizzare la casa. 
A tal proposito vi leggo un estratto del libro Giocare da Soli che ho scritto per la collezione gioca e impara con il Metodo Montessori (mi fa strano leggere le mie parole, ma credo che spieghino bene). E scrivo:
“Immaginiamo un bambino di 2 anni e mezzo che vuole colorare. Possiamo pensare a tre scenari diversi. Nel primo, i colori e la carta sono troppo in alto sullo scaffale, ma il bambino non si lascia scoraggiare. Prende una sedia e, se riesce a raggiungerli senza cadere, si mette a colorare per terra, perché non ha un tavolino alla sua altezza. Colora concentrato a lungo, ma sporca il pavimento, lascia tutto per terra quando ha finito e la mamma si arrabbia.
Nel secondo scenario, il bambino si scoraggia immediatamente e chiede alla mamma di aiutarlo. Lei gli prende i colori, la carta, lo mette a sedere al tavolo della cucina e gli sistema un manto per non sporcare il legno: il bambino colora per cinque minuti e poi si alza e lascia tutto lì. Nel terzo scenario, i colori, la carta e un piccolo manto per il tavolo, sono disposti su un vassoio su una mensola bassa: il bambino prende il vassoio con facilità, si siede al suo tavolino, sistema il manto per non sporcare il legno e colora concentrato. Poi rimette tutto nel vassoio e lo ripone sulla mensola.
Il primo bambino non si lascia scoraggiare da un ambiente non preparato, ma anche se supera tutte le difficoltà per iniziare l’attività che desidera, non ha interesse a doverle superare di nuovo per rimettere in ordine. Il genitore si arrabbia ingiustamente, perché è una sua mancanza se il bambino ha sporcato e non ha potuto rimettere in ordine.
Il secondo bambino non ci prova nemmeno, è abituato a essere servito dal genitore e per questo perde il desiderio di indipendenza e mantiene l’interesse per poco tempo quando svolge un’attività. Quando un genitore fa tutto per suo figlio l’unico messaggio che trasmette è che il bambino non ha la capacità di farlo da solo.
Il terzo bambino ha un ambiente preparato che gli permette di vivere al massimo del suo potenziale: il genitore gli ha mostrato come svolgere l’attività e ora lui non ha bisogno dell’intervento dell’adulto e può anche soddisfare il suo naturale desiderio di ordine dopo aver completato l’attività. Questo bambino ha gli strumenti per esercitare l’indipendenza. 
Un ambiente preparato non solo favorisce l’indipendenza, verso cui i piccoli gravitano naturalmente nel corso del loro sviluppo, ma nutre anche il loro senso di ordine, che è innato in ogni bambino”. Se avete riso alla frase il naturale desiderio di ordine del bambino, vi comunico che tutti i bambini hanno un naturale desiderio di ordine e se non lo vedete è spesso perché l’ambiente non è preparato bene.
Quindi per me preparare l’ambiente è al primo posto per favorire il gioco autonomo. Al secondo posto, a ruota proprio, c’è l’osservazione: l’osservazione direi che è la base per capire qualsiasi cosa relazionata allo sviluppo dei bambini. Pensate che ai corsi di formazione montessori tante ore sono dedicate proprio ad osservare i bambini e scrivere appunti, perché? Perché osservare è l’unico modo per conoscere davvero i bambini e trarre conclusioni. Ma attenzione, non si tratta solo di osservare, ma di osservare oggettivamente! Ricorderò sempre al mio corso di formazione (questo aneddoto lo racconto anche nel mio corso co-schooling), stavamo osservando il video di un maiale, Petunia, e dovevamo prendere appunti in maniera oggettiva. A un certo punto, tutti avevamo scritto “Petunia beve”: la guida ci aveva corretti perché ci ha fatto notare che sì avete visto che petunia si avvicina alla ciotola dell’acqua ma è di schiena, come fate a sapere che ha bevuto? Ecco, questo è osservare oggettivamente. Quando osserviamo i nostri figli oggettivamente, impariamo non solo a non anticipare, a non interrompere quando sono concentrati (importantissimo per favorire il gioco autonomo), ma anche a capire i loro interessi in modo da preparare l’ambiente di conseguenza con le attività e i giocattoli che stimolano quegli interessi. Potete osservare per esempio quanto tempo dedicano a ogni giocattolo, quali sono i giocattoli che sembrano mantenere la loro concentrazione più a lungo (e magari parliamo anche solo di un minuto, ma è più lungo di altri giochi) e non abbiate paura di mettere via nell’armadio giocattoli che in questo momento non sembrano interessare e tenere fuori solo quelli che davvero catturano il loro interesse. E non abbiate nemmeno paura di tenere fuori troppi pochi giocattoli alla volta, vi assicuro che è sempre meglio troppo poco che troppo.
Ok, primo fattore per favorire il gioco autonomo è l’ambiente, il secondo è l’osservazione e il terzo è l’opportunità. Dobbiamo dare ai nostri figli l’opportunità di giocare autonomamente. Dobbiamo dare ai nostri figli l’opportunità di imparare a giocare autonomamente. E sapete come si fa a dare l’opportunità? Si gioca con loro. Si modella. Si aiuta. Se vostro figlio sembra non voler mai giocare da solo, a maggior ragione non potete lasciarlo solo in una stanza o sul tappeto con dei giocattoli e aspettarvi che giocherà da solo. Dovete modellare il comportamento. Dovete sedervi con lui, giocare con lui per qualche minuto, senza usare troppe parole perché più parole usate più il bambino fa affidamento sulla vostra presenza attiva, invece se vogliamo che impari a giocare autonomamente, dobbiamo per una volta essere presenze più passive. Questo è uno dei casi in cui la nostra presenza silenziosa è sufficiente. Poi quando nostro figlio è abituato a questo tipo di gioco, allora piano piano iniziamo a fare dei piccoli cambiamenti e allontanarci per pochi secondi o pochi minuti: prima vi alzate per prendere una cosa sul tavolo e poi tornate, poi andate a fare pipì e tornate, poi andate a preparare un caffè e tornate, poi andate a preparare uno snack e ogni volta tornate e continuate a giocare con loro, per mostrare che tornate sempre, che non c’è nulla di cui preoccuparsi, che siete lì per loro. E allo stesso dare l’opprotunità a loro di rendersi conto “oh guarda, sono capace a stare da solo, non lo sapevo”. E poi piano piano cambiate dal giocare con loro allo stare vicino a loro, facendo però qualcosa di vostro, tipo lavorare a computer o leggere un libro. Non so se avete mai notato, che i bambini tra i 2 e 3 anni, per esempio, (indicativamente, tutte le età che dico sono indicative) fanno un gioco parallelo: fare un gioco parallelo significa che stanno vicini gli uni altri altri, ma interagiscono poco, ognuno fa un suo gioco. E voi potete copiare questo modo naturale di giocare, reinterpretandolo: potete suggerire di guardare un libro mentre voi leggete il vostro libro o di fare un disegno mentre voi smistate la posta o controllate le bollette. I bambini tendono a osservare ciò che state facendo e imitare il vostro comportamento. Io in genere sono davvero per osservare i bambini e utilizzare ciò che a loro viene naturale in ogni momento dello sviluppo e quindi imparo da loro come vogliono giocare: per esempio, io devo ammettere che ho imparato tantissimo a relazionarmi con i miei figli proprio dal modo in cui loro si relazionano naturalmente tra loro due, senza l’intervento degli adulti.
Ora, tutto questo non succederà dal giorno alla notte, ma poco a poco vi accorgerete che potrete allontanarvi per momenti sempre più lunghi finché un giorno vostro figlio giocherà in maniera autonoma, perché avrà un ambiente preparato adatto a favorire il gioco autonomo, avrà giocattoli e attività che lo interessano perché lo avete osservato e lo conoscete e avrà avuto molte opportunità di praticare a giocare da solo. 
Ecco, questo è quello che mi sentirei di dirvi che è essenziale per favorire il gioco autonomo. Poi ovviamente ci sono tantissime strategie, trucchetti, ma secondo me senza questi tre fattori chiave non credo che abbia senso concentrarsi sulle strategie, perché sarebbe un po’ come cercare di costruire i muri della casa senza prima aver costruito le fondamenta. 
E visto che so che tanti di voi lavorano da casa e direi che questa è la nostra specialità (probabilmente potrei creare un corso online solo su come lavorare da casa con i bambini), prima di salutarvi vorrei darvi qualche consiglio al riguardo:
Prima di tutto, vale tutto quello che ho detto sopra, indipendentemente dall’età del bambino. Preparate l’ambiente, osservate, date opportunità. Ma poi credo che sia molto importante anche insegnare ai nostri figli a rispettare il nostro lavoro e i nostri spazi, a trattarci come individui che vanno rispettati: e questo è qualcosa che credo sia importante fare ad ogni età e in ogni situazione. Per fare un esempio completamente non relazionato a quello di cui stiamo parlando, ricordo che quando Emily aveva circa due anni, ho passato una fase difficile in cui non avevo più voglia di allattarla, ma non volevo nemmeno smettere. Quello che ho fatto, quindi, è insegnarle con molta pazienza (ma non sempre con pazienza) a chiedere durante il giorno se poteva avere titti (che è come lei chiama il seno, ancora oggi tra l’altro) e a rispettare se io dicevo di no. Ogni volta che le dicevo di no, all’inizio non lo capiva, quindi magari piangeva, ma io rimanevo lì con lei, le spiegavo che per me era importante che ci rispettassimo l’un l’altra, quindi io rispettavo il suo desiderio di avere titti, continuavo a dargliela, ma lei doveva anche rispettare i miei tempi. Non è stato facile, spesso le dicevo di no, piangeva, la calmavo, la distraevo, giocavo un po’ con lei e poi generalmente ero io a offrirle titti perché così capiva che non era un no, ma era un sì alle mie condizioni, perché le mie condizioni in quel momento erano importanti per la mia salute mentale. E tra l’altro questo magari può non sembrarvi molto montessori, ma per me è la quintessenza di montessori: perché non esiste libertà senza limiti e avere titti era una sua libertà ma il limite era che io fossi felice. Per me questo principio si applica in tutto, anche nell’insegnare a rispettare il mio lavoro. La chiave ovviamente è sempre capire, accettare, avere empatia e trovare un compromesso: io capisco che i miei figli vogliono stare con me (è normale), accetto che me lo chiedano spesso  e provo a non lasciare che mi dia sui nervi e a rimanere calma quando lo fanno, e poi trovo con loro il compromesso, tipo mettere un timer per 5 minuti in cui devono aspettare che io finisca di lavorare (finisca tra virgolette, perché non si finisce mai) e poi spiegare loro le condizioni, ovvero metto uno di 15 minuti in cui gioco con loro e dedico loro la mia totale attenzione e quando suona il timer torno a lavorare. Di nuovo, questo non succede dal giorno alla notte, è un processo lungo, ma prima lo iniziate, prima dà i suoi frutti. E tra l’altro questo processo inizia dal nostro esempio, dal nostro rispettare il loro lavoro che è il gioco, perché per esempio quante volte obblighiamo i nostri figli a smettere di giocare perché è ora di pranzo? In quel momento non stiamo rispettando il loro lavoro, come fanno quindi loro ad imparare a rispettare il nostro lavoro?  
E con questa domanda, vi lascio a ponderare. Credo di avervi detto più o meno quello che volevo dirvi di quello che io reputo essenziale per favorire il gioco autonomo senza scendere troppo nei dettagli, perché ripeto non possiamo costruire le pareti della casa senza costruire prima le fondamenta. Quindi prima cambiamo la mentalità generale e poi proviamo iniziamo ad usare le strategie che troviamo sui blog, nei libri, un internet ecc ecc
Per oggi la chiudo qui, visto che so che mi chiederete informazioni del libro che ho menzionato vi ricordo che vi lascio il link nelle note dell’episodio. Spero che l’episodio di oggi vi sia piaciuto, fatemelo sapere, e tra l’altro presto potrete anche commentare sotto ogni episodio del mio podcast (ho messo Alex al lavoro perché al momento quando ascoltate un episodio so che tornate su Instagram e commentate lì, ma mi piacerebbe che possiate farlo direttamente sul blog). 
E basta, ovviamente lo sapete quasi tutti, ma per chi è nuovo ed è approdato sul podcast per caso, vi ricordo che mi trovate sempre su www.latela.com e anche su Instagram e Facebook come la tela di carlotta blog. Buona serata, buona giornata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo. Vi abbraccio, ciao!

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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