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Episodio 18 ·

Q&A sul multilinguismo: rispondo alle vostre domande

In questo episodio rispondo alle vostre domande sul multilinguismo nate da vari sondaggi su Instagram. Ho scelto le domande che si ripetevano di più e ne ho aggiunte un paio che mi sono piaciute. Le domande a cui ho risposto sono le seguenti:

  1. Che lingua parlate in famiglia? Come gestite il multilinguismo? E come mai parlate inglese e non spagnolo in casa?
  2. Se tornassi indietro, cambieresti qualcosa?
  3. Fai ripetere ai bambini quando non ti parlano in italiano? O possono rispondere a piacere?
  4. Ha senso iniziare a 18 mesi (quando sono piccoli)?
  5. I bambini fanno fatica a comprendere entrambe le lingue?
  6. Con il multilinguismo, non si esclude uno dei genitori dalla conversazione?
  7. Quali sono gli aspetti negativi che hai riscontrato?
  8. È vero che i bimbi multilingue imparano a parlare in ritardo? I tuoi figli hanno fatto fatica?
  9. Come la si gestisce l’alfabetizzazione nel multilinguismo?
  10. Si può usare il metodo OPOL anche se un genitore non è multilingue?
  11. Che cosa pensi dell’accento?
  12. Stereotipi più comuni con cui hai dovuto combattere?
  13. Come si fa ad essere costanti?

Nel podcast ho parlato di:

  • Il podcast di Silvia d’Amico. La trovate su Instagram come @mammasuperhero
  • Canzoni in inglese e spagnolo: io consiglio sempre le canzoni di Super Simple Songs (che trovate anche su YouTube in inglese e spagnolo: non c’è bisogno di fare vedere il video, è più efficace se ballate voi con i bambini ascoltando la canzone).

Come appoggiare il podcast:

Io non faccio pubblicità e non accetto sponsor, perché le pubblicità mi danno fastidio e non voglio sottoporvi a più pubblicità di quelle che già vi sommergono nella vita quotidiana. Se vi piace il mio podcast e volete aiutarmi a mantenerlo vivo, potete acquistare uno dei miei corsi:

  • Educare a lungo termine: un corso online su come educare i nostri figli (e prima noi stessi) in maniera più consapevole. Tanti genitori mi dicono che gli ha cambiato la vita.
  • Co-schooling – educare a casa: un corso online su come affiancare il percorso scolastico per dare l’opportunità ai bambini di non perdere il loro naturale amore per il sapere.

Benvenuti a un nuovo episodio del mio podcast Educare con Calma. Oggi è un episodio un po’ diverso perché risponderò alle vostre domande sul multilinguismo che ho raccolto da un sondaggio su Instagram. Questa settimana è uscita anche un’intervista che mi ha fatto Silvia d’Amico che non è stata proprio un’intervista ma più una chiacchierata piacevole, e così ho pensato di continuare l’argomento sul mio podcast così avete più materiale. Ok, senza esitare, invio con le domande. Pronti, pronte, partenza via.         

1. Che lingua parlate in famiglia? Come gestite le lingue? E come mai inglese e non spagnolo a casa?

Noi in casa parliamo italiano inglese e finlandese. Io parlo italiano con i bambini, alex parla finlandese e insieme io e Alex da sempre parliamo inglese perché è la lingua in cui ci siamo conosciuti nel lontano 2007 e quindi è rimasta. Come raccontavo anche a Silvia, noi abbiamo iniziato con il metodo OPOL ovvero One Parent One Language (un genitore una lingua), ovvero io parlavo sempre italiano e Alex parlava sempre finlandese quando ci rivolgevamo a loro. Ma il metodo OPOL funziona benissimo quando la famiglia ha due lingue e la lingua comune è una di quelle due lingue: quando c’è di mezzo una terza lingua, si complica perché bisogna prendere delle decisioni, per esempio mi rivolgo ai bambini sempre nella mia lingua o parliamo la lingua comune quando siamo insieme? Dunque, noi abbiamo provato entrambe le soluzioni, ovvero sia rivolgerci sempre ai bambini con le nostre rispettive lingue sia usare la lingua comune quando siamo tutti insieme e posso dire che a noi genitori viene molto più spontaneo usare la lingua comune quando siamo insieme, ma per i bambini e il loro apprendimento è molto meglio che il genitore si rivolga sempre al bambino nella propria lingua. In tantissimi mi avete anche chiesto come si inserisce una terza lingua in una famiglia bilingue, ma in generale credo che sia meglio mantenere il bilinguismo in casa e introdurre la terza lingua con una babysitter o mettendo insieme un piccolo gruppetto di famiglie e prendendo un’insegnante che venga una o due volte alla settimana a giocare con i bimbi nella lingua desiderata, intendo proprio solo gioco, integrando poi con musica o canzoni interattive, libri (se leggete la lingua) o più avanti anche video. 

2. Se tornassi indietro, cambieresti qualcosa?

Assolutamente sì, cambierei una cosa: parlerei solo ed esclusivamente italiano con i bambini, in qualsiasi circostanza. Sarebbe stato uno sforzo molto più grande per me e a volte magari non sarebbe proprio educato se siamo con qualcuno che non capisce, ma secondo me sarebbe stato molto meglio per i bambini perché l’abitudine e la costanza sono davvero fondamentali nell’apprendimento di una lingua e se il bambino si abitua che quella è la lingua che parla con mamma, senza eccezioni, è molto più probabile che la parli e risponda in quella lingua, anche quando poi eventualmente inizia la scuola e viene immerso in un’altra lingua (che può essere una di quelle che si hanno in casa o anche una diversa, è uguale). Per noi è successo che da quando siamo in viaggio l’inglese ovviamente ha preso un po’ il sopravvento, perché è la lingua che si parla quasi ovunque e poi anche anche perché siamo sempre insieme 24 ore al giorno. Prima, a Marbella anche se lingue quotidiane predominanti erano inglese e spagnolo, io passavo molto tempo da sola con i bambini e quando siamo solo noi tre la mente è in italiano, io dico che è come se la mente fosse in Italia in quei momenti. Mentre invece ora anche quando sono a casa e parlo italiano con loro, alex è anche a casa e quindi la mente continua deve cambiare lingua costantemente, un po’ come se si teletrasportasse ogni pochi minuti da un Paese all’altro, e quindi spesso hanno cominciato a rivolgersi a me in inglese e se chiedessi loro di tradurre ogni frase in italiano, praticamente non avremmo una conversazione. E in più, visto che ora in Nuova Zelanda anche fuori la lingua predominante è l’inglese, e la mia mente è in inglese, a volte mi è capitato di rispondere soprappensiero ai bambini in inglese, che non aiuta. E questo ha sicuramente rallentato un po’ l’italiano per loro quindi, se potessi tornare indietro, sicuramente manterrei l’italiano esclusivo con loro in modo che loro sappiano che con me si parla solo quella lingua. 

Questa domanda l’ho girata anche a mio marito, perché la sua esperienza è diversa dalla mia. Faccio una premessa: Lui purtroppo ha lasciato un po’ il finlandese nell’ultimo anno e mezzo 1. perché avendo parlato inglese per metà della sua vita, Alex a volte fa proprio fatica con i vocaboli finlandesi e ha fatto davvero uno sforzo grande per reintrodurre nella sua mente il finlandese, e l’ha fatto proprio solo per i bimbi e 2. Ora che le conversazioni si fanno più profonde, Alex spesso non si sente se stesso a parlare in finlandese e quindi non ha neanche senso che la conversazione non sia spontanea con i propri figli. Cioè la lingua è importante, ma la relazione lo è di più. Nonostante questo, io continuo a ricordargli di parlare finlandese in tutti i momenti di vita quotidiana ed effettivamente i bambini capiscono tutto, ma non lo parlano e non so se lo parleranno mai senza uno sforzo extra (sforzo che se Alex fosse stato più diligente in teoria non dovrebbero fare). Quindi per rispondere alla domanda se cambierebbe qualcosa, mi ha detto che se tornasse indietro avrebbe sempre un supporto di materiali finlandesi a disposizione: per esempio, dei libri da leggere, degli audiolibri in finlandese ecc ecc perché dice che quando aveva anche solo un libro di storie si sentiva più appoggiato e motivato. Quindi magari è qualcosa da considerare per chi si trova nella stessa posizione.

3. Ok, altra domanda: Fai ripetere ai bambini quando non ti parlano in italiano? O possono rispondere a piacere?

Bella domanda. Allora, quando erano più piccoli non li ho mai forzati a rispondermi in una lingua piuttosto che in un’altra. Riuscire a comunicare dà molta sicurezza ai bambini piccoli, evita tantissima frustrazione e spesso ha il potere di ridurre le crisi o di risolvere crisi. Quindi l’ultima cosa che dovremmo fare con i bambini piccoli è interferire con la loro capacità di comunicare: se i miei figli sono in un paese in cui fuori casa ascoltano solo inglese e spagnolo e le persone li capiscono quando parlano inglese e spagnolo è normale che quelle saranno le lingue che il cervello preferirà e io voglio incoraggiare che le usino, non il contrario, quindi se quando siamo a casa io parlo con loro in italiano e loro mi rispondono in inglese, quello che faccio è tradurre la loro frase e poi continuare la conversazione ma non chiedo loro di ripetere in inglese e soprattutto non dico cose come “non capisco l’inglese, dimmelo in italiano”, quella è un’altra di quelle bugie che tanti definiscono bianche ma che per me è comunque una bugia e quindi non uso (anche perché i bambini sanno che io parlo inglese e spagnolo, mi sembrerebbe davvero poco onesto dire loro che non li capisco, sicuramente non aiuterebbe a costruire fiducia). 

Ora che l’inglese ha preso un po’ il sopravvento sto facendo davvero un grandissimo lavoro e sforzo in casa e sono passata esclusivamente all’italiano e quindi sì, chiedo spesso che mi parlino in italiano, ma devo ammettere che ora che sono più grandi lo capiscono e lo accettano, ne abbiamo parlato molto e ho spiegato loro che l’italiano è una lingua importante perché se no non possono comunicare con i nonni. Emily non è ancora pronta a passare completamente all’italiano e a volte se le chiedo di ripeterlo in italiano si frustra e quindi l’aiuto, gliela dico e lei la ripete, perché ho notato che se spingo spingo spingo lei la rifiuta ed è controproducente quindi con lei in generale continuo a fare quello che faccio sempre, se vedete i miei video su Instagram spesso loro mi dicono una frase in inglese e io prima di rispondere la ripeto in italiano. Invece Oliver ormai ha capito che l’italiano è nella sua mente e che gli viene meno spontaneo dell’inglese, ma se fa uno sforzo a usarlo riesce a dire tutto e riesce a comunicare molto più facilmente con i nonni e quindi ormai praticamente mi parla sempre in italiano e quando non lo fa glielo ricordo e lui passa all’italiano. Quindi probabilmente quando Emily sarà pronta succederà la stessa cosa, ma ora che ho avuto l’esperienza con Oliver, cercherò di essere più disciplinata e costante io, perché lo dico sempre i bambini imparano le lingue senza alcuno sforzo da parte loro, ma con grandissimo sforzo da parte dei genitori. 

Poi prima di passare alla prossima domanda, ricordo che qualcuno aveva chiesto se correggo i bambini quando mischiano le lingue e la mia risposta è no, non li correggo, lascio che mischino ma magari mi faccio un appunto mentale e un giorno quando capita l’occasione chiedo, “sai come si dice scotch in inglese” e allora dico “tape”. Ma se Emily mi dice “Can I use the scotch?”, io magari le dico  “Vuoi usare lo scotch?”, ma non cerco di non correggere la parola scotch in quel momento preciso, lo faccio poi più avanti. Di nuovo, per me è sempre più importante promuovere l’espressione di parola e la comunicazione.              

4. Prossima domanda: Ha senso iniziare a 18 mesi?

Ha senso iniziare il prima possibile! Dalla nascita, se possibile. Dalla pancia, se possibile. Come scrisse Silvana Quattrocchi Montanaro, i bambini nei primi 6 anni di vita sono dei geni ad imparare le lingue e assorbono qualsiasi lingua a cui sono esposti senza fatica, senza sforzo, lo dicevo anche a silvia nell’intervista per loro imparare una lingua a cui sono esposti è come respirare, è un atto involontario e non possono decidere di non farlo. Ma ovviamente bisogna esporli alla lingua, per questo dico che è un grandissimo sforzo da parte dei genitori.

Mentre parlavo mi sono resa conto che magari la domanda non era intesa come “è troppo presto a 18 mesi?”, ma “è troppo tardi a 18 mesi?” e la mia risposta è comunque no: i bambini nei primi 6 anni di vita sono dei geni dell’apprendimento delle lingue e quindi vale davvero la pena offrire loro più lingue, ma ovviamente farlo con costanza, in modo che una persona parli sempre quella lingua.  

5. I bambini fanno fatica a comprenderle entrambe?

Assolutamente no, se una lingua è parlata attivamente in casa o fuori casa, il bambino può imparare tutte le lingue a cui lo esponiamo, però appunto deve essere una lingua attiva, lingua attiva significa che c’è un’interazione tra le persone, il suo corpo reagisce alla lingua che sente, quando diciamo “vieni qui” o “mi passi quel gioco?”, o lo salutiamo e facciamo ciao con la manina e ci risponde con la manina, ecco questo è uno apprendimento attivo, non come in televisione o con la musica di sottofondo che la mente del bambino è spenta praticamente, è seduto e sta in ascolto. Non che non che questo non vada bene, l’ascolto aiuta comunque perché si insegna al cervello a fare l’orecchio ai suoni e quindi è come se li memorizzasse, ma una lingua passivamente non si impara. Per questo spesso più della televisione, lo dicevo anche prima, è meglio prendere delle canzoni in inglese che abbiano dei movimenti, tipo head shoulders knees and toes o simili e fare 10-15 minuti di balli con i bambini cantando le canzoni in inglese. Anzi, in tantissime parti del mondo ci sono gruppi di mamme a bambini in cui una ragazza dirige la “lezione” con canzoni in inglese che hanno anche gesti e tutti la seguono. Io a Marbella ho sempre portato i bimbi a questi gruppetti e io li trovo geniali, anche per le mamme, tra l’altro. In Italia non credo esistano ancora o sono poco conosciuti quindi io continuo a dire che c’è davvero un’opportunità di business enorme: se voi che mi ascoltate conoscete gruppetti così in Italia, fatemelo sapere e io li condivido volentieri. 

6. Non si esclude l’altro genitore dalla conversazione?

No, posso dire con estrema certezza che non ho mai trovato una famiglia multilingue (e ne ho conosciute davvero tante) in cui una genitore si lamenta di non essere incluso nelle conversazioni, perché comunque la scelta del multilinguismo è una scelta consapevole di famiglia ed è una scelta che si fa perché si dà valore a una lingua, per esempio a Marbella avevamo degli amici in cui il padre era canadese e la madre svedese e le bimbe andavano a una scuola svedese (a Marbella c’è un po’ di tutto a livello scolastico) e quindi parlavano più svedese che il padre non parla, ma ovviamente il padre era felice di questa cosa, ci diceva che avevano una lingua segreta e che non gli dava fastidio perché le bimbe parlavano anche inglese quindi ovviamente comunicavano anche con lui. A casa nostra, Alex parla perfetto italiano, ma io per esempio non parlo finlandese e capiscono proprio solo conversazioni basiche, ma preferirei non capire nulla di quello che i miei figli dicono a mio marito piuttosto che privare i miei figli della possibilità di parlare la lingua del padre che significa secondo me perdere anche un pezzo della loro cultura e identità oltre al non trarre vantaggio dai benefici del multilinguismo.       

7. Quali sono gli aspetti negativi del multilinguismo che hai riscontrato?

Per me non ce ne sono di aspetti negativi nel multilinguismo, o almeno non ce ne sono per i bambini. Per i genitori come dicevo prima è uno sforzo in più, quindi potrebbe essere visto come un aspetto negativo, ma personalmente io sono felice di fare lo sforzo per dare ai miei figli più lingue, che io considero un regalo. Altri aspetti negativi li vedo più al contrario, per esempio se un genitore decide di non insegnare la propria lingua al figlio perché magari vivono in un’altra Paese, secondo me l’aspetto negativo è poi la comunicazione con la famiglia o anche solo proprio quando il bambino da adulto vorrà conoscere il suo Paese d’origine e non avrà la lingua per comunicare. 

Ma davvero aspetti negativi dell’insegnare più di una lingua per me non ce ne sono, perché una lingua è un regalo e ci sono davvero tantissimi vantaggi per i bambini, proprio a partire dal modo in cui il cervello di chi parla più lingue funziona, perché ci sono studi che provano che funziona in maniera diversa da quello di un monolingue, dall’apertura mentale e l’empatia che ti dà il conoscere più lingue, dalla facilità di imparare più lingue da adulti se cresci con più di una lingua ecc ecc ecc Ricordo un articolo di molti anni fa e non ricordo nemmeno in che lingua era quindi non so se riuscirò a ritrovarlo, però diceva che il cervello dei multilingue funziona come un semaforo, è sempre lì che dà luce rossa a una lingua e luce verde a un’altra, ovvero sta castamente scegliendo la lingua con cui esprimersi e questo regala moltissima capacità di prendere decisioni che si riflette poi in tutti gli ambiti della vita, insegna a concentrarsi di più, a memorizzare con più facilità, a adattarsi con più facilità ai cambiamenti anche solo di attività che si stanno svolgendo in un determinato momento… insomma, è un po’ come un superpotere. Dalla mia personale esperienza ad imparare due lingue in età adulta senza essere mai stata esposta a quelle lingue da bambina e arrivare comunque a parlarle quasi come l’italiano (a parte l’accento ovviamente) vi assicuro che avrei preferito impararle da bambina, perché è stato uno sforzo davvero importante e comunque il mio livello non sarà mai quello di un bilingue, che può passare da una lingua all’altra con estrema facilità, senza dover andare a schiacciare a mano il bottone del semaforo, o che conosca in maniera spontanea le sfaccettature della lingua, i modi di dire… ecco, per me, anche se sono davvero quasi nativa in inglese e spagnolo, proprio perché non le ho imparate da bambina, non saranno mai come l’italiano, purtroppo. Poi va be’ si aprirebbe anche una parentesi sul fatto che bilingue o multilingue veri e propri, in cui il cervello tratta le due lingue o tutte e lingue allo stesso identico modo nel cervello esiste davvero raramente, c’è sempre una lingua che prevale un po’ ed è normale.         

8. È vero che imparano a parlare in ritardo? I tuoi figli hanno fatto fatica?

No, non è vero. È un po’ una leggenda metropolitana secondo me perché 1. non si può generalizzare e dire che tutti i bambini bilingue o multilingue iniziano a parlare più tardi e. 2 non si può sapere quando quel bambino avrebbe iniziato a parlare se non avesse avuto le due lingue, quindi no, quello non è vero, quando il bambino inizia a parlare dipende dal bambino. Posso anche dimostrarvelo con la nostra esperienza, perché io ho avuto due esperienze completamente diverse…  Oliver ha iniziato a parlare verso i 3 anni e mezzo e quando dico parlare intendo frasi complete, mentre Emily diceva frasi complete già prima dell’anno e sono cresciuti con la stessa quantità di lingue.   

9. Alfabetizzazione, come la si gestisce? Si sceglie una scuola multilingue?

Per questo, io credo che se per voi è importante che i bimbi scrivano in più lingue, o si sceglie una scuola bilingue ovviamente, oppure si deve integra a casa. Per esempio io ho un’amica giapponese che vive qui in Nuova Zelanda e ogni mattina fa 15-20 minuti di giapponese con i bambini prima di andare a scuola. È un secondo lavoro, praticamente, ma ovviamente il giapponese o lo insegna lei o non lo imparano e per lei è importante. Io personalmente insegno a leggere e scrivere sia in inglese sia in italiano e lo faccio usando gli stessi metodi e in maniera molto spontanea, se seguite il mio corso “co-schooling: educare a casa” saprete che noi impariamo tutto attraverso il gioco e poche attività strutturate. Se mai i miei figli andranno a una scuola inglese, continuerò con l’italiano a casa perché mi piacerebbe che lo sappiano scrivere oltre che leggere, ma probabilmente il processo sarà più lento e dipenderà molto dal loro interesse e dal tempo che ci dedicheremo e dalla mia costanza. Non ho aspettative, non ho fretta e anche se a volte mi preoccupo e penso di dover fare di più so che i miei figli leggeranno e scriveranno almeno inglese e italiano, quindi alla fine non c’è motivo di preoccuparsi.   

10. Si può usare il metodo OPOL anche se genitore non è multilingue?

Credo di aver già risposto a questa domanda, non ricordo. In breve, io consiglio sempre che il genitore parli la propria lingua a meno che la lingua che vuole insegnare non sia per lui semi nativa: per esempio, per me parlare inglese o parlare italiano è uguale, anzi spesso è più facile in inglese perché è la lingua che ho parlato di più negli ultimi 12 anni, quindi me la sentirei di prendermi la responsabilità dell’inglese. Altrimenti non saprei, ecco, se il mio livello di inglese fosse basso o inesistente, mi affiderei a qualcuno, a altri metodi come quelli che dicevo prima, babysitter, canzoni interattive… e forse non l’ho detto, anche comprare gli stessi libri in due lingue diverse e leggerli, magari la babysitter inglese legge la versione inglese… che poi quando dico babysitter inglese, intendo dire una persona con un ottimo livello di inglese, non per forza un’insegnante, anzi avendo io insegnato inglese a bambini per 8 anni vi assicuro che funziona molto meglio prendere qualcuno che venga proprio solo a giocare con i bimbi e i loro giochi senza alcuna attività strutturata. Ed è anche più economico. 

11. Altra domanda e poi abbiamo quasi finito, che cosa pensi dell’accento?

Allora, io amo le lingue immensamente e soprattutto l’inglese, credo sia la mia lingua preferita proprio per il suo eclettismo e per la sua versatilità e per il modo di esprimere concetti lunghissimi con due parole, ma anche se amo le lingue e mi piace quando le si parla bene, non mi piace quando sento discorsi tipo “odio l’accento inglese in spagnolo” o “non si può sentire un francese che parla inglese”… trovo che questi discorsi denotino molta poca empatia, molto poco rispetto, molta poca tolleranza. Io avendo vissuto quasi metà della mia vita all’estero ed essendo arrivata in Spagna nel 2007 senza parlare una parola di spagnolo, so quanto sia difficile imparare una lingua e fare lo sforzo per parlarla e apprezzo sempre gli stranieri all’estero che fanno uno sforzo. Ecco, noi abbiamo fatto uno sforzo in ogni città dove siamo stati, e abbiamo imparato frasi basiche di ungherese, tailandese, vietnamita, malese… e immaginate se invece di apprezzare il nostro sforzo la gente del luogo ci avesse derisi o disprezzati perché non pronunciamo bene, ecco, sarebbe assurdo. Però devo ammettere che con i miei figli all’inizio ero ossessionata dall’accento, ma dopo aver visto che l’inglese di Oliver ed Emily è cambiato ogni volta che venivano in contatto con accenti diversi mi sono rassegnata. Un conto è se uno dei due genitori è inglese o americano o neozeladnese… e allora ovviamente quello è l’accento di riferimento che il bambino prenderà, ma altrimenti in famiglie come la nostra  è perfetto ed è bellissimo anche se è un misto di accenti, nel senso che è probabile che nella loro vita la gente penserà che sono nativi inglesi, ma non saprà dove piazzarli, ecco, e credo sia bello così. C’è questa credenza o speranza, non lo so, che il bambino prenderà l’accento “migliore” o l’accento più nativo a cui è esposto, ma in realtà non funziona così, se non ha un solo accento predominante di riferimento come può essere quello di un genitore, farà un misto di tutti e svilupperà il suo proprio accento.   

12. Stereotipi più comuni con cui hai dovuto combattere?

Credo che li abbiamo già toccati: sono sicuramente “ma non si confonde con tante lingue?”. La risposta è no, i bambini sono dei geni nell’apprendimento delle lingue. “Ma se impara più lingue, poi ha un ritardo nel parlare”: non è vero, dipende completamente dal bambino. E su questo purtroppo c’è confusione anche tra i pediatri, ma ci tengo ancora una volta a rassicurare i genitori che non è così.

13. Come si fa ad essere costanti?

Ho lasciato questa domanda per ultima perché mi ha fatta sorridere. Se avessi la chiave della costanza, ve la darei. Anzi, se avessi la chiave della costanza, la userei… se fossi in grado di essere costante, probabilmente sarei la mamma più paziente e comprensiva del mondo e non mi arrabbierei mai perché farei solo ciò che spiego nei miei corsi, e i miei figli probabilmente parlerebbero già italiano, inglese, finlandese e spagnolo perfetto perché applicherei con diligenza quello che so.     Non so come consigliarvi di essere costante, non l’ho scoperto nemmeno io… ma so che la costanza è creare un’abitudine. E un’abitudine ci va tempo a costruirla, e anche se ci sono studi che spiegano quanto tempo ci vada per costruire un’abitudine, io credo dipenda molto dalla perosna, dall’ambiente, dalle circostanze di vita, e poi da quanto quell’abitudine sia una priorità nella tua vita. Io in questo periodo della mia vita non sono costante con l’esercizio fisico perché forse non è una priorità, e so che devo decidere di renderlo una priorità nella mia mente per poterlo mettere in pratica. Ecco, questo è davvero quanto di meglio posso offrire su questo tema che richiederebbe forse un episodio a se stante. 

Ok, basta, questo episodio è già lunghissimo, chiudo! Se mi cercate durante la settimana sapete che sono su www.latela.com e su internet e Facebook come lateladicarlottablog. Buona giornata, buona serata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo.       

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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