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Episodio 58 ·

La fiducia in sé e l'autostima non sono la stessa cosa (Capitolo 1 di Thrivers)

In questo episodio di Educare con Calma inizio la serie dei 7 tratti caratteriali essenziali che dovremmo insegnare ai nostri figli per renderli Thrivers, ovvero persone che prosperano e non si arrendono di fronte alle difficoltà. Nell'episodio #52 vi avevo presentato il libro intero della Dott.ssa Michelle Borba, libro che vi consiglio vivamente se capite l'inglese.  

Questo episodio è tratto dal libro Thrivers: The Surprising Reason Why Some Kids Struggle and Others Shine e presenta il primo tratto caratteriale essenziale: la fiducia in sé. Parla del perché dovremmo rendere la fiducia in sé una priorità e di come insegnarla ai bambini nella vita di tutti i giorni. 

:: Come trovare il libro e Michelle Borba

Consiglio sempre di andare prima nella vostra libreria di fiducia, ma questa volta so che non lo troverete e difficilmente lo ordinano (ho personalmente chiesto ad alcune librerie, ma senza fortuna). Io l'ho comprato in versione Kindle.

Il sito di Michelle Borba

:: Nell'episodio ho menzionato

La nostra esperienza in una scuola Reggio Emilia a Singapore

:: Come appoggiare il podcast:

Io non faccio pubblicità e non accetto sponsor, perché le pubblicità alimentano il consumismo e in più mi danno fastidio (quindi non voglio sottoporvi a più pubblicità di quelle che già vi sommergono nella vita quotidiana. Se vi piace il mio podcast e volete aiutarmi a mantenerlo vivo, potete acquistare uno dei miei corsi o prodotti:

  • Educare a lungo termine – un corso online su come educare i nostri figli (e prima noi stessi) in maniera più consapevole. Tanti genitori mi dicono che gli ha cambiato la vita.
  • Co-schooling: educare a casa – un corso online su come giocare con i figli in maniera produttiva e affiancare il percorso scolastico per mantenere vivo il loro naturale amore per il sapere.
  • Come si fa un bebè – una guida per il genitore + libro stampabile per i bambini per avviare l'educazione sessuale in casa.
Qualche settimana fa ho fatto un post sul libro della dottoressa Michelle Borba Thrivers: e ho riassunto il libro elencando i 7 tratti principali su cui dovremmo concentrarci per crescere degli adulti che prosperano nonostante le difficoltà della vita, che riescono a superare gli ostacoli senza abbattersi. Se avete ascoltato quell’episodio vi invito a continuare questo, altrimenti vi invito ad ascoltare prima quello per poter capire meglio questo e trarne davvero beneficio.

Nell’episodio vi avevo anche preannunciato che mi sarebbe piaciuto fare un episodio per ogni tratto fondamentale e oggi inizio proprio dal primo tratto che è anche il capitolo 1 del libro: Self-Confidence (ovvero la fiducia in sé). Vi ricordo che questo libro non esiste in italiano e quindi tutto quelle che riporto qui è un mia traduzione.

Michelle Borba inizia raccontando una storia, che è una storia che a me è piaciuta moltissimo essendo io una appassionata di educazione alternativa, perché questa storia riguarda il metodo Reggio Emilia che viene attribuito a Loris Malaguzzi. Non sono un’esperta del metodo Reggio Emilia, ma i miei bimbi sono andati per un mese a una scuola Reggio Emilia a Singapore, esperienza di cui ho scritto sul blog e allora avevo anche fatto un po’ di ricerca e avevo tradotto sul blog un articolo che spiegava le differenze e le similarità con Montessori (vi lascio entrambi nelle note dell’episodio).   

Ma andiamo al capitolo 1 di Thrivers. 

Michelle Borba racconta che 5 giorni dopo la fine della seconda guerra mondiale, alcune donne di Reggio Emilia realizzarono che l’educazione deve andare oltre i singoli individui e insegnare abilità come la collaborazione, il pensiero critico, e aiutare i bambini a credere in se stessi. Crearono così una scuola che chiamarono Scuola del Popolo. Un giovane insegnante di nome Loris Malaguzzi sentì parlare della scuola del popolo e corse ad osservare il lavoro delle donne, che gli chiesero poi di restare ed insegnare nella loro scuola. Malaguzzi credeva che tutti i bambini sono capaci, curiosi, e hanno un grandissimo potenziale, quindi il loro modo di imparare deve essere diretto da… loro stessi, dai bambini. Questa ovviamente è una similarità con il metodo Montessori. 

Malaguzzi voleva che i bambini si impegnassero attivamente in progetti in cui potessero scoprire e approfondire i propri punti di forza. E questo se avete ascoltato l’episodio di introduzione su Thrivers è uno dei messaggi che mi è piaciuto di più del libro: dobbiamo imparare a concentrarci sui punti di forza dei nostri figli, non sulle loro debolezze (cosa che il sistema scolastico tradizionale fa esattamente al contrario: è carente in matematica, mettiamo più ore di matematica! Perché? Perché abbiamo un curriculum universale con tempi universali e quindi i bambini devono arrivare tutti agli stessi risultati nello stesso tempo. E questo ovviamente è impossibile e anche controproducente, perché invece di creare persone che eccellono in qualcosa, creano persone che sono mediocri in tutto – a parte alcune eccezioni, ovviamente. Ok, scusate, mi lascio trasportare, ma voglio raccontarvi del libro, non di che cosa penso io.

Quindi per evitare di iniziare le mie ragnatele di pensieri, ho deciso di tradurre e leggervi le mie parti preferite del capitolo, quelle che secondo me riescono meglio a piantare semini. Ovviamente se leggete l’inglese, vi invito a leggere Trhivers perché è bellissimo (spesso triste perché ci mette di fronte alla realtà, ma bellissimo). Tra l’altro, Io non ci guadagno nulla se comprate questo libro ma ci guadagnate molto voi.

Ok, vado con la lettura:

Questa frase si riferisce a una scuola che Michelle Borba è andata a visitare per intervistare i bambini e ragazzi e dice: “Proprio come quelle donne di Reggio Emilia, lo staff di insegnanti crede che la vera fiducia in sé dei bambini si sviluppa da dentro, non con adesivi premio, falsi riconoscimenti e supervisione. Il goal è riconoscere le forze uniche di ogni bambino e rispondere a quelle in modo che ogni bambino abbia successo. Il successo genera successo”.

Aiutare i bambini a “diventare chi sono davvero” è il primo passo per dare briglia sciolta al loro potenziale così che possano diventare la versione migliore di sé.

“Capire “chi siamo” alimenta la sicurezza interiore e l’apprezzamento delle proprie abilità, punti di forza, talenti e interessi. La fiducia in sé si sviluppa quando crescono le abilità, le capacità, i tratti caratteriali e la consapevolezza di sé. 

Poi Michelle Borba elenca i benefici della fiducia di sé, che vi riassumo:

  1. Porta a più resilienza, perché quando abbiamo fiducia in noi è più facile far fronte alle avversità della vita e gestire lo stress. 
  2. Porta a migliori performance accademiche, perché i bambini che hanno una forte consapevolezza di sé sono anche più coinvolti a scuola e riescono meglio a non farsi sconfiggere o frustrare da ciò che gli sembra difficile.
  3. Porta a un senso di benessere e felicità generale: Usando le parole tradotte del libro: “L’ex presidente della American Psychological Association dice: l’autentica felicità nasce dal identificare e coltivare i tuoi punti di forza più innati e usarli ogni giorno nel lavoro, in amore, nel gioco e nella genitorialità”. (E questo discorso mi piace molto perché io nella mia testa lo associo tantissimo al concetto del “ciò che sono disposta ad offrire” di cui parlo spesso). E poi continua: “I bambini sono felici quando onorano chi sono e possono coltivare le aree che nutrono i loro punti di forza”.
      
Poi c’è forse la mia parte preferita del capitolo:

La storia è comune. Vogliamo che i nostri bambini siano bravi in tutto, e allora abbiamo trasformato la genitorialità in un triatlon di infinite attività per i nostri figli o offriamo un menu molto ristretto di cose in cui noi vogliamo che loro eccellano, tipo tennis, piano, golf. E poi diciamo loro che sono bravi in tutto per aumentare la loro autostima. Ma i nostri sforzi non stanno facendo loro un favore: li stiamo allontanando dai loro veri talenti che potrebbero aiutarli ad apprezzare la loro stessa compagnia, rispettarsi e dare un significato alla loro vita. E allora i bambini perdono consapevolezza dei loro interessi autentici e dei loro talenti unici e così i tassi di depressione non sono mai stati così alti. Molti bambini soffrono di una visione non vera di se stessi e quindi si sentono vuoti e sconfitti. Un cambiamento sano inizia dal liberarci di calendari strutturati per i nostri figli, e poi rispettare chi sono — non chi vogliamo che siano. Abbiamo molto lavoro da fare. 

E poi continua e scrive alcune parti che mi hanno particolarmente colpita:

«La fiducia in sé non è uguale all’autostima. La maggior parte dei genitori vede l’autostima come la strada verso la felicità e il successo e allora diciamo costantemente ai nostri figli: “Credi in tre stesso”, “Sei speciale”, “Puoi essere qualsiasi cosa tu decida di essere”. Diamo trofei anche solo per presentarsi a un evento e stelline dorate per respirare. Appiattiamo ogni ostacolo, risolviamo ogni problema, e non li lasciamo fallire. I bambini di oggi sono più depressi di qualsiasi generazione precedente e il loro narcisismo è cresciuto più della loro autostima. 

«La vera fiducia in sé è il risultato di riuscire in qualcosa, fronteggiare gli ostacoli, trovare soluzioni e rialzarsi da soli. Risolvere i loro problemi, fare ciò che spetta a loro, o rendere le cose più facili per loro fa solo sì che i bambini pensino: “Non crede che io possa farcela”. I bambini che hanno fiducia in sé sono quelli che sanno che possono fallire ma anche rialzarsi».

«Viviamo in una cultura superficiale, basata sull’apparenza. Concentrarsi sul “che aspetto ho, che cosa mi metto, quanto peso” eclissa il “chi sono”, contribuisce a un visione di sé fragile e non veritiera e manda un messaggio superficiale: “L’identità è ciò che hai, non chi sei”. (E poi ovviamente fa un discorso sulla negatività della comparazione con gli altri, che purtroppo è alla base della nostra società e cultura, e io direi anche del sistema scolastico tradizionale, con la continua competizione malsana di voti e risultati). 

E poi ripete un concetto già visto con altre parole, forse in questo caso è un po’ più forte: «I bambini che hanno successo nella vita hanno genitori che coltivano i loro talenti perché quei talenti fanno parte di chi è il bambino, non perché quei talenti rappresentano gli interessi dei genitori».

Poi c’è un piccolo sottocapitolo che si intitola La fine del bambino a tutto tondo e dice: «Crescere un bambino a tutto tondo non va più di moda, ora si vuole crescere il superbambino. Ogni punto di forza che non si possa scrivere su una pagella è sottovalutato. (Io adoro quanto riesce ad essere diretta, imparo molto da lei) Gli studi suggeriscono che i giovani bravi accademicamente (soprattuto adolescenti che vanno a scuole competitive – parentesi io ne so qualcosa di questo tipo di scuola, perché a Marbella c’è la creme de la creme delle scuole private super competitive, chiusa parentesi) sono più inclini a fare uso di stupefacenti, sia da adolescenti che da adulti. I bambini sanno in che cosa vogliamo che abbiano successo e cercano disperatamente di non deluderci, ma la loro ansia e i bisogni della loro salute mentale sono alle stelle. E quello che mi dicono mi spezza il cuore: “Non riuscirò mai ad entrare ad Harvard, ma come glielo dico ai miei genitori?”; “Non penso che sarò mai bravo abbastanza per mio padre”; “Vorrei che i miei genitori conoscessero il vero me, ma non penso che vogliano”.  

(Ecco, devo ammettere, come ho già detto nell’altro episodio, che le confessioni di bambini e ragazzini che Michelle Borba riporta in questo libro mi hanno fatta piangere più di una volta).

E poi la dottoressa Borba passa al capire come possiamo insegnare ai nostri figli la fiducia in sé e dice che dobbiamo prima guardare dentro di noi (sorprendentemente) e farci tre domande principali  e le vediamo una ad una.

  1. Chi pensiamo che sia nostro figlio? 

Questo è fondamentale per capire chi è nostro figlio (questo è anche un must in Montessori: anche nel mio corso co-schooling parlo spesso dell’importanza di osservare i nostri bambini per conoscerli e conoscere i loro interessi). E qui parafraso: Noi conosciamo i nostri figli dalla nascita, sappiamo quali sono le loro inclinazioni, i loro interessi, le loro preferenze, ma spesso mano a mano che crescono la pressione del futuro, del non stare facendo abbastanza, dei risultati scolastici ci fa perdere di vista chi sono. Dobbiamo ricordarci di continuare a scoprirli a ogni passo per poter riconoscere quelli che Michelle Borba definisce i Core Assets, ovvero gli assets fondamentali che sono l’insieme delle loro qualità positive, dei loro tratti caratteriali e dei loro talenti unici.

Michelle Borba dà un aiuto per imparare a riconoscere questi asset innati dei nostri figli (e credo che questo sia anche super interessante per educatori) e usa l’acronimo TALENT. Per riconoscere gli assets, ovvero l’insieme dei talenti, qualità, tratti caratteriali dobbiamo osservare
T = Tenacity (nostro figlio mostra perseveranza in qualcosa)
A = Attention (mantiene l’attenzione più a lungo quando fa questo qualcosa)
L = Learning (impara più in fretta facendo quel qualcosa)
E = Eagerness (vuole fare quel qualcosa di più e di più)
N = Need (quel qualcosa soddisfa un suo bisogno positivo)
T = Tone (il tono con cui il bambino parla di questo qualcosa)
 
Per scoprire questi assets c’è anche una cosa che lei ci chiede di fare nel libro - ne fa parecchie altre ma questa in particolare mi ha colpita ed è: ci chiede di elencare i tratti positivi dei nostri figli che vogliamo ricordare in futuro (Per esempio, io per Oliver direi la sua capacità di osservazione, per Emily direi la sua resilienza) 

  1. La seconda domanda è: Chi pensa di essere nostro figlio?
Borba intervistando tantissimi ragazzini e bambini ha scoperto che quando gli si chiede chi sei e come ti descriveresti, la maggior parte dicono aspetti legati alla scuola o un hobby ma pochi relazionati a una qualità caratteriale. sono il portiere della squadra di calcio della scuola, sono il capoclasse, sono molto bravo a tennis

E poi elenca alcuni modi per aiutare in nostri bambini a capire che cosa li rende speciali e nutrire quel qualcosa: Io non sono d’accordo con tutti, ma vi dico quello che Borba scrive:

  • 1 Ripetere spesso i loro asset. Per esempio: “Sei paziente: aspetti sempre il tuo turno e non ti frustri”. (Ecco, io da questa frase togliere l’etichetta paziente e il sempre, possiamo esprimere quello che vediamo oggettivamente senza aver bisogno di etichettarlo. Scusa Michelle, non volermene). 
  • 2 Fare loro complimenti indiretti. Per esempio dire al marito: “Aspetta di vedere come Oliver ha imparato a calciare il pallone in aria!”
  • 3 Usare sostantivi, non aggettivi. Per esempio: “Sei bravo a calcio” -> “Sei un calciatore!”. Questo si basa su studi in cui si chiede ad alcuni bambini di aiutare e ad altri di essere gli aiutanti e si nota che i bambini a cui viene chiesto di essere “aiutanti” sono più inclini ad aiutare.
  • 4 Ritagliare tempo per i loro veri interessi (per esempio, a discapito di attività extrascolastiche che scegliamo noi pensando potrebbero piacergli)  
  • 5 Rendere la pratica divertente quando si coltiva un interesse
  • 6 Elogiare lo sforzo, non il talento. Per esempio: invece di “Sei un artista bravissimo!” Dire “La tua arte sta migliorando perché stai facendo molta pratica”.
  • 7 Non concentrarsi sulle debolezze, perché i punti di forza sono quelli in cui i bambini hanno il più grande potenziale ad avere successo. 

  1. E la terza domanda è “Chi vuole diventare?”

 «Forse stiamo sottovalutando una soluzione: aiutare i bambini a trovare il loro scopo o identificare qualcosa che davvero abbia importanza per loro—e poi fare qualcosa con quella nuova informazione». «Conoscere il propio scopo porta i bambini verso una felicità e una soddisfazione più profonda, e li instrada verso qualcosa più grande di loro». Tra l’altro questo concetto dello scopo è molto presente in Montessori, perché dare ai bambini uno scopo, un’attività in cui si sentano di aiutare aiuta a sviluppare autonomia e concentrazione.

Anche qui al dottoressa Borba dà alcuni suggerimenti che vi riassumo brevemente, perché in realtà si ripete (in questa tipologia di libri credo la ripetizione aiuti davvero a interiorizzare concetti): 

  • Trovare gli interessi che li entusiasmano. Per esempio guardando dove passano il loro tempo libero, che cosa non si stancano mai di fare.
  • Capire che tipo di compagno di viaggio siamo noi genitori (lei non usa queste parole, ma a me piace l’idea del compagno di viaggio): se siamo compagni di viaggio che li tiriamo verso i nostri obiettivi, non funziona, dobbiamo cercare di capire che cosa interessa a loro, camminare vicino a loro per un po’ per motivarli e poi iniziare a seguirli.
  • Chiedere perché di fronte agli interessi dei nostri figli: “Perché vuoi giocare a calcio?”. 
  • Offrire varietà: perché lasciare che sperimentino attività diverse, anche se non per lunghi periodi di tempo, li aiuta a capire che cosa li interessa di più.
  • Identificare potenziali mentori (e questo a me piace moltissimo): quando i bimbi sono un po’ più grandi, dai 6 anni in su, ma soprattutto pre adolescenza e adolescenza hanno bisogno di mentori al di fuori della famiglia e possiamo aiutare a trovarli. Per esempio: se tuo figlio è appassionato di cambiamento climatico, cerca un adulto che condivida la sua passione.
  • Costruire uno spirito imprenditoriale: portali a lavoro con te un giorno o trova amici che possano farlo al posto tuo. Michelle Borba dice che avere esperienze con il lavoro presto può aiutare i bambini a identificare un interesse.              
  
E poi dà moltissime altre idee per nutrire la sicurezza in sé, ma mi limiterò a dirvi quelle che mi sono piaciute di più. Per i bambini più piccoli dire i loro punti di forza usando la loro mano (per esempio, sei un ottimo ascoltatore sollevando il pollice, sei un amico gentile sollevando l’indice e così via); fare foto dei nostri figli mentre fanno qualcosa che rappresenta il loro punto di forza e guardarle insieme, lasciando che siano loro a commentare; per i bambini un po’ più grandi provare a sostituire domande come “Perché non ti piace la scuola?” con “Quale parte della scuola ti piace di più?” (Sostituire il negativo con il positivo, ne ho già parlato nel podcast); oppure invece di chiedere dei voti a scuola, chiedere quale lezione o materia gli è piaciuta di più: quindi mettere il focus sul percorso piuttosto che sul risultato.      

E chiudo con una delle frasi che mi è piaciuta di più di questo capitolo e una storia a lieto fine:
 
«Ho insegnato a studenti con gravi difficoltà emozionali, fisiche e accademiche e ho scoperto che coloro che hanno più probabilità di superare quelle difficoltà hanno un genitore che si concentra sui loro punti di forza—rispettando e nutrendo ciò che rende il loro bambino unico in modo che il bambino possa vedersi attraverso la stessa lente».  

E su questo tra l’altro ci sono infinite storie: uno tra tutte quella di Gillian Lynn che vi ho raccontato nell’episodio 4 del podcast, quello su Sir Ken Robinson, ma anche quella di Michael che racconta Borba: Michael era stato diagnosticato all’asilo con severe difficoltà d’apprendimento e si sentiva spesso frustrato, finché un giorno lavorando con lui, la dottoressa ha scoperto che sapeva disegnare e che quando disegnava le sue difficoltà sembravano scomparire. Ha detto ai genitori di trovare lezioni di arte, di portarlo a musei, di trovare un adulto che potesse condividere la sua passione per il disegno e si assicurò anche che le insegnanti di Michael a scuola fossero a conoscenza di questa passione e la nutrissero. E piano piano Michael cominciò ad essere più sicuro di sé, anche nelle interazioni con i compagni e un giorno, molti anni dopo che Michelle aveva lavorato con Michael e la sua famiglia, Michael le scrisse una lettera dicendole che si era laureato in arte e che ora lavorava in uno studio cinematografico come animatore e la ringraziava per una semplice azione che lei si era perfino dimenticata: attaccare uno dei suoi disegni sulla bacheca della scuola.

E Michelle scrive: Michael mi ha aiutata a capire che invece di cercare sempre di “aggiustare” le debolezze dei bambini, dovremmo investire molto più tempo a nutrire le loro forze e a costruire la loro fiducia in sé in modo che abbiano la motivazione di andare avanti e di riuscire in qualcosa.       
  
Ovviamente, se capite l’inglese, vi invito a leggere il libro di Michelle Borba perché ovviamente spiega molto di più di quanto io abbia detto in questo episodio e gli esempi che dà sono bellissimi.

Sono sicura di lasciarvi con tantissime riflessioni e vi do appuntamento alla settimana prossima con un nuovo episodio di Educare con Calma. Vi ricordo che mi trovate anche su www.latela.com e su Instagram e Facebook come lateladicarlottablog.

Buona serata, buona giornata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao!

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