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Episodio 60 ·

Come coinvolgo il mio compagno / la mia compagna nel mio metodo di educazione?

Oggi su Educare con Calma rispondo a una domanda che mi arriva spesso, specialmente da mamme (perché di solito sono loro che mi scrivono): "Io mi sforzo di mettere in pratica l'educazione a lungo termine, ma il mio compagno non sembra interessato / non fa nulla / non mi appoggia / [inserisci qui la tua frase]. Come faccio per coinvolgerlo?

Come sempre non ho la bacchetta magica, ma ho qualche consiglio. Consigli che hanno funzionato per apportare cambiamenti nella mia famiglia e consigli che hanno funzionato per altre famiglie.

Buon ascolto e se hai qualche pensiero o suggerimento da condividere con noi, ti invito a lasciare un commento sulla pagina del podcast di questo episodio (dove trovi anche la trascrizione).

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  • Educare a lungo termine – un corso online su come educare i nostri figli (e prima noi stessi) in maniera più consapevole. Tanti genitori mi dicono che gli ha cambiato la vita.
  • Co-schooling: educare a casa – un corso online su come giocare con i figli in maniera produttiva e affiancare il percorso scolastico per mantenere vivo il loro naturale amore per il sapere.
  • Come si fa un bebè – una guida per il genitore + libro stampabile per i bambini per avviare l'educazione sessuale in casa.
Oggi mi piacerebbe approfondire, anzi no, di parlare di come coinvolgere i compagni nel nostro metodo educativo.

Ricevo tantissimi commenti, messaggi e mail di genitori che mi dicono: (mio marito o mia moglie non condivide il mio metodo educativo: che cosa possa fare?”.
 
Prima di tutto parto dicendo che io non ho mai vissuto questo problema in casa, perché mio marito è più “montessori” di me per natura e quando dico montessori intendo che la sua reazione primaria di fronte a un conflitto non è il grido, bensì il dialogo, lui dà il beneficio del dubbio, istintivamente non punisce, non minaccia, crede alle parole dei bambini e non li mette in dubbio con quella superiorità da genitore che a volte vedo fare parte del nostro bagaglio educativo. Inoltre lui è naturalmente capace di mettere da parte l’orgoglio e chiedere scusa quando si rende conto di aver sbagliato. Invece io tutto questo io ho dovuto impararlo con molta fatica, perché io non ero così. 

Ora, sarebbe sbagliato dire che non lo sono di natura, perché gran parte della personalità di un individuo è data dall’ambiente in cui cresce e dall’educazione che riceve, ma sicuramente la natura, il temperamento naturale di una persona gioca il suo ruolo, io lo vedo anche con i miei figli che istintivamente hanno reazioni spesso opposte alla stessa situazione. Ma su questo non mi soffermo più di tanto perché apre l’eterno dibattito nature VS nurture: siamo più il prodotto dell’ambiente o della natura? Io probabilmente sono una montessoriana nell’anima, i miei studi su questo dibattito mi hanno portata a credere che l’ambiente abbia più forza rispetto alla natura dell’individuo e ovviamente il genitore fa parte dell’ambiente: quindi il fatto che i miei figli sono diversi caratterialmente nonostante io usi lo stesso metodo educativo potrebbe anche dipendere in parte dal fatto che io sono stata una madre diversa per loro, perché sono evoluta ed evolvo ogni giorno. 

Ma basta, lascio questo dibattito, ogni volta dico che magari ci faccio un episodio poi non trovo mai l’ispirazione, ma tutto questo per dire che la mia esperienza in casa non vale per parlare di compagni o compagne che non appoggiano il nostro stile educativo, ma probabilmente in questo episodio parlerò più di mariti o compagni che non sono in linea con lo stile educativo scelto dalla mamma, perché la mia esperienza è più con mamme, spesso sono loro che mi scrivono e non i mariti. Ma questo non significa che spesso non sia il contrario, ovvero che non sia il padre a scegliere uno stile educativo e la madre faccia più fatica ad adattarsi.

Ma credo che nella frase che ho appena detto ci sia un po’ un indizio: ho detto “lo stile educativo scelto dalla mamma o scelto dal papà”. Ecco, questo è già parte del problema. Non dovrebbe essere la mamma o il papà a scegliere un metodo educativo, è una scelta comune. 

Ma quello che spesso succede in una coppia (anche nella mia) è che se non si comunica l’evoluzione personale all’altro, l’altro rimane indietro. Se io Carlotta scopro Montessori e per mesi faccio le mie ricerche senza dire nulla a mio marito e poi un giorno quando lui usa una minaccia con mio figlio per ottenere quello che vuole lo riprendo e gli “vomito” addosso (magari davanti al bambino) tutta la mia conoscenza del perché minacciare non è efficace… be’, non solo non è onesto intellettualmente, ma non funziona proprio. Crea disagi, crea conflitti e quando ci sono conflitti tra i genitori irrimediabilmente l’armonia in famiglia ne risente.

Per questo parlo spesso dell’importanza di fare un aggiornamento delle persone nella nostra vita: perché è fondamentale che le persone nella nostra vita conoscano la nostra evoluzione, il nostro percorso, per poterci affiancare o raggiungere se rimangono indietro.

Quindi, per me il primo passo da fare quando si trova un metodo educativo che ci piace ma ancora non ci appartiene è coinvolgere l’altro. 

È un po’ come se decideste di comprare una casa dove vivere per il resto della vostra vita e magari spendere tutti i vostri risparmi per il pagamento iniziale: dovete essere d’accordo entrambi sulla casa, sulla spesa, sul quartiere… scegliere un metodo educativo è simile, con l’unica differenza che avete la responsabilità di un’altra persona e del suo futuro e quindi in realtà del futuro del pianera, quindi no, non ha nulla di simile al comprare una casa. Sono pessima con i paragoni!

Per me, quello che funziona meglio è parlarne: programmate una sera dopo aver messo a letto i bambini e parlatene, sedetevi a tavolino con intenzione, magari chi ha già fatto un po’ di ricerca può scriversi delle frasi che lo hanno colpito nelle sue letture e condividerle con l’altro o magari si può comprare un libro e leggere insieme seduti sul divano (proprio come fareste se doveste scegliere una casa, ecco vedete un po’ il paragone calza, dai) e magari potete leggerne un capitolo insieme e parlarne o ognuno può leggere un capitolo per conto suo e poi vi ritrovate a parlarne. Ci sono tantissimi genitori che fanno il mio corso Educare a Lungo Termine insieme, proprio così, scelgono una sera o due a settimana, si siedono sul divano, guardano un video o leggono un’unità e poi ne parlano, parlano ci come applicarla nella loro vita, per la loro famiglia. E la cosa buffa è che in tantissimi mi dicono che serve molto non solo per l’educazione dei figli, ma anche per migliorare la loro relazione, perché 

1. Quando si rema nella stessa direzione, ci si sente squadra, ci si sente appoggiati e quindi ci si stima e ci si rispetta di più, e 
2. perché avere un progetto comune aiuta tantissimo la coppia. Viviamo veramente di fretta, spesso capita che due genitori tra una cosa e l’altra si ritrovano a fine giornata a dire buonanotte e spegnere la luce e non solo non si sono abbracciati nemmeno una volta durante il giorno, ma non si sono nemmeno toccati.

Avere un progetto comune significa anche che avete un minuscolo programma settimanale, un appuntamento fisso per voi due che tra l’altro promuove il dialogo (perché tutte le volte che io e Alex parliamo di educazione poi ci ritroviamo a parlare di relazione di coppia, di lavoro, di sesso, di futuro, di passato, di tutto insomma…) e quindi aiuta immensamente anche a ritrovarsi. E quindi io credo davvero che l’educazione dei propri figli possa essere un bellissimo progetto comune per cui creare un appuntamento fisso settimanale. 

L’interesse non è per forza essere al 100% da parte di entrambi e per questo bisogna avere molta empatia verso l’uno verso l’altro: se l’altro non legge tanto quanto noi e non si impegna tanto quanto noi, ma si prende l’impegno di dedicare comunque quel tempo alla settimana a sedersi con noi e parlarne, imparare, confrontarsi, è sufficiente, accogliamo e apprezziamo quello sforzo. 

Senza frasi come “ecco, non hai letto nulla durante la settimana, significa che non ti interessa, se non te ne frega nulla dell’educazione dei tuoi figli che cosa ci stiamo a fare qui ecc ecc ecc”. Che sono tutte frasi dell’ego e dettate da aspettative malsane che non hanno davvero motivo di esistere.

È normale che l’interesse per un progetto, anche se comune, non sia al 100% per entrambi. È normale che uno tiri più l’altro o che a volte l’uno tiri l’altro e altre volte l’altro tiri l’uno.  

Inoltre, quelli sono giudizi di valore che creano nella testa dell’altra persona un’immagine di sé e del suo ruolo: se io continuo a dire a mio marito che non gliene frega niente dell’educazione dei suoi figli e anche quando fa uno sforzo minuscolo io non lo apprezzo, perché  lui dovrebbe avere piacere di sedersi con me quella volta a settimana e parlarne? Perché dovrebbe fare quel minuscolo sforzo per poi sentirsi comunque solo criticato?
Non è detto che l’educazione  dei figli debba essere un grande interesse di tutti i genitori e lo sforzo che facciamo verso l’educazione dei figli non è sinonimo dell’amore che proviamo per loro e questa credo sia una mentalità comune: se sei poco investito nel cambiare l’educazione che diamo ai nostri figli significa che non te ne frega nulla. Per me questo è disonesto intellettualmente, credo che dovremmo cercare di evitare frasi così.

Che poi a me spesso capita di elogiare i piccoli sforzi dei miei figli, ma di non fare altrettanto con mio marito, perché lui è adulto e penso che sia ovvio e scontato che faccia quello sforzo così come lo faccio io, mentre invece non è così: io personalmente voglio imparare ad avere con mio marito (e in generale con gli adulti) la stessa empatia che ho con i miei figli, perché credo che sia alla base del rispetto. 

Insomma, non è una competizione a chi legge di più o a chi si impegna di più, è un momento di condivisione e dialogo. Ed è così che dovremmo accoglierlo, senza aspettative, senza critiche e con molta empatia. 

E la verità è che, come per i bambini, ci va più empatia soprattutto per chi fa più fatica. È un po’ come se domani io dicessi ad Alex “Ok, da oggi la biancheria la pieghiamo così” ed è un  modo completamente diverso da come lui ha piegato la biancheria per i primi 35 anni della sua vita. Ora magari anche io ho piegato la biancheria come lui per 35 anni. Ora magari anche io ho piegato la biancheria come lui per 35 anni, ma io adesso sono pronta al cambiamento, sono pronta a cambiare il modo in cui piego la biancheria e riesco a ricordarmi i passaggi meglio di lui e a metterlo subito in atto. 

Questo non significa che lui sia pronto, non significa che se non mi dimostra subito di riuscire a metterlo in atto non ha lo stesso interesse che ho io a voler cambiare il modo in cui pieghiamo la biancheria.  E quindi questo non significa che io possa rinfacciarglielo se lui si dimentica come piegare la biancheria, non significa che questo mi dà il diritto di dire cose come “Guarda che anche io ho apportato questo cambiamento, non è mica impossibile”. No, significa che devo avere ancora più empatia perché lui sta facendo più fatica ad apportare quel cambiamento. Ovviamente adesso cambiate “piegare la biancheria” con “educare i figli a lungo termine”.

E quindi 1. Non posso aspettarmi che entrambi riusciremo a implementare il cambiamento subito (e anzi sarebbe meglio non aspettarsi proprio nulla) e 2. Devo dare il tempo all’altra persona: è raro che un cambiamento avvenga se non siamo pronti a cambiare, quindi se trasciniamo il nostro partner in un cambiamento che è stata una nostra idea, l’unica aspettativa che possiamo avere è che per lui o per lei sarà difficile e che  dovremo avere ancora più empatia nei suoi confronti.

E ora vi lascio 4 idee per avviare queste conversazioni in modo che io trovo produttivo e costruttivo: ovviamente sono idee che hanno funzionato per me e per la persona che ho affianco quindi prendetele con le pinze perché magari non funzionano esattamente allo stesso modo per voi, ma… tentar non nuoce.

  1. Fare esperienza sul campo prima di suggerire: io consiglierei di arrivare alla conversazione seduti a tavolino con un minimo di esperienza sul campo, se così possiamo definirla. Per esempio, io leggo qualcosa che mi piace e decido di metterlo in pratica nella vita di tutti i giorni. Se voglio coinvolgere Alex in questo mio cambiamento, ho notato che la cosa migliore non è sedermi a tavolino subito e dirgli “voglio cambiare questo e quello”; funziona molto meglio metterlo in pratica io stessa per una settimana o due, e poi se noto dei benefici o se vedo che migliora qualche aspetto della relazione con i miei figli glielo propongo e gli chiedo se ha voglia di provarci. 
     
     In questo modo l’esperienza sul campo mi dà anche la sicurezza di rispondere e spiegare nel caso in cui lui non trovi questo cambiamento una buona idea: a volte se gli propongo qualcosa che ho letto senza prima metterla in pratica e lui la respinge, io mi metto sulla difensiva e gli dico cose sbagliate come “ma perché devi sempre rifiutare quello che ti propongo?” Che è anche disonesto intellettualmente perché non lo fa sempre, ragione per cui ho eliminato sempre dal mio vocabolario, a meno che non si riferisca ad aventi che davvero succedono sempre, come il sole tramonta la sera. Ok, chiusa parentesi. Se invece io ho già fatto esperienza sul campo, quando lui mi contesta l’idea io posso raccontargli di che cosa ho notato, di come hanno reagito i miei figli, di come mi ha fatto sentire ecc. E quindi posso affrontare la conversazione così è molto più produttivo (perché mettersi sulla difensiva non è mai produttivo). 

  1. Offrire idee propositive. Invece di sedermi a tavolino e dire ad Alex tutte le cose che lui non fa, cerco di avviare sin dialogo costruttivo: iniziare con un paio di aneddoti (che magari mi sono scritta su un foglietto) e offrire un’alternativa a un tipo di comportamento che penso lui debba cambiare. Questo per me aiuta molto: per esempio “ricordi quel giorno che hai detto questo o quello? Ecco, ho notato che Oliver ha reagito male, ma secondo me non ti ha capito. Pensavo che magari invece di dire così potresti provare cosà la prossima volta. Che ne pensi?”. E ovviamente magari prima ho fatto un po’ di ricerca e ho trovato un articolo o un episodio di un podcast che posso suggerirgli di leggere o ascoltare che magari lo aiuterà a mettere in pratica il cambiamento. Sicuramente la cosa più importante è esserselo scritto su un foglietto così ricordiamo esattamente le parole e non riportiamo a mente, perché spesso non è molto corretto.

  2. Non riprendere davanti ai bambini. Per me questo è fondamentale. Non perché intacco l’autorità del genitore o cavolate varie, ma perché per me la base del rispetto significa dare il beneficio del dubbio. Se quando marito fa una cosa diversamente da come avevamo deciso, io sono subito pronta a farglielo notare immediatamente, be’, che beneficio del dubbio è? Può essere che quel cambiamento non sia dentro di lui o che magari non lo trovi importante o necessario, quindi invece di riprenderlo sul momento (che fa solo sì che provoco l’ego e provoco la sua reazione difensiva) me lo segno su un foglietto e penso a un modo propositivo di parlargliene alla prossima riunione di famiglia.

  3. Evitare l’effetto pentola a pressione. Spesso noto, di me, di noi e di altri genitori, che arriviamo al tavolo del dialogo con moltissimi rancori, risentimenti, parole non dette, pensieri e sentimenti accumulati… ecco, questo per me va evitato. Perché l’effetto pentola a pressione è reale: è come quando ripeto svogliatamente, senza intenzione, a mio figlio “Oliver, parla più piano per favore”, “Oliver, parla più piano per favore”, “Oliver, parla più piano per favore” e poi alla quinta faccio tipo pentola a pressione e glielo urlo “Ma è possibile che mi ignori sempre? Te l’ho detto 5 volte”. Ecco, spesso quell’effetto pentola a pressione si può evitare prendendo coscienza del fatto che “ok, mi ha ignorato la prima volta” quindi alla seconda glielo dico con intenzione: mi chino al suo livello, lo guardo negli occhi e gli dico “Oliver, ho mal di testa e quando parli forte la mia testa fa più male, potresti abbassare il volume, per favore? Hai bisogno che ti aiuti a trovare una cosa da fare che sia più silenziosa?”.  E nella relazione credo sia simile: invece di accumulare, a me aiuta dirlo subito in un momento di calma (scegliere bene il momento aiuta molto): “Alex, posso parlarti un attimo? Oggi hai fatto questa cosa che non mi è piaciuta. Ne avevamo parlato e credevo che fossimo d’accordo che non l’avremmo più fatta. Ti sei dimenticato o hai cambiato idea? Volevo proprio solo comunicartelo perché vorrei evitare l’effetto pentola a pressione”. In questo modo, io mi sono sfogata, e ho aperto un dialogo costruttivo. Ovviamente per evitare l’effetto pentola a pressione bisogna avere una grande consapevolezza di sé e capire quando stiamo arrivando al nostro limite e anticiparlo di moltissimo. 

  4. Apprezzare lo sforzo. So che sembra un po’ come leccare il didietro a volte, soprattuto se pensiamo che l’altro non faccia molto sforzo, ma io credo personalmente che arrivare su quel divano al nostro appuntamento fisso con un apprezzamento sia bello e crei armonia. Per esempio “Ho davvero apprezzato come hai risposto ad Oliver nell’occasione X, la prossima volta proverò anche io a rispondere così”. Io penso a quando Alex nota un mio progresso o apprezza un mio cambiamento, mi sento ancora più felice di avere una conferma esterna, oltre che interna, perché io so che cosa faccio bene e male, non ho bisogno dell’apprezzamento esterno, ma non c’è dubbio che un apprezzamento esterno faccia piacere. Ecco, un piccolo apprezzamento fa una grande differenza e avvia il dialogo su una nota positiva.  

E se tutto questo sembra tanto lavoro è perché è tanto lavoro. Come il matrimonio, come l’amore, come l’educazione dei figli, come qualsiasi cosa per cui valga la pena evolvere. È tantissimo lavoro. Ma in fondo è come qualsiasi altro lavoro in cui si può evolvere e migliorare, se non decidiamo di evolvere noi stessi non possiamo farlo. A me aiuta tanto ricordarmi che alla fine è un esperimento continuo e quindi deve anche essere un dialogo continuo, sia con me stessa sia con mio marito sia con i miei figli sia con tutte le persone con cui ho a che fare nella vita. 

E con questo vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana con un nuovo episodio di Educare con Calma

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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