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Episodio 16 ·

Pene e vulva: normalizziamo le parole

Con questo episodio inizio una serie di conversazioni a tema sessuale, perché credo che in Italia se ne debba parlare di più, soprattutto tra famiglie con bambini. L'educazione sessuale è un aspetto importante dell'educazione dei bambini e deve iniziare da piccoli. Un ottimo primo passo è proprio quello di normalizzare parole "imbarazzanti" come pene e vulva e sostituirle alle più comuni pisellino e patatina.

Nell'episodio dico che non avevo trovato la storia originale in spagnolo della "galleta", ma ho poi avuto un lampo di genio e mi sono ricordata dove l'avevo letta: era questo post di Mamá Gurú.

Il post sull'attività con gli organi del corpo di cui parlo alla fine è il Laboratorio sugli organi del corpo umano (con modelli in "scala reale" da stampare): il post è solo per membri La Tela, ma unirti alla community è semplice e gratis 🙌🏻 

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Fonti delle citazioni:

«Un manuale di corruzione dei minori» sono parole di Paola Binetti, deputata di Scelta Civica nel novembre 2013 in merito a un report dell’Oms del 2010; 

«Contraria alla fede e alla retta ragione» sono parole di Papa Benedetto XVI, 11 gennaio 2011.

Dunque, oggi parliamo di educazione sessuale, quindi sì parlerò anche di peni, di testicoli, di vulve e di vagine! Quindi mettetevi comodi, allacciatevi le cinture di sicurezza perché qui entro in pieno argomento tabù e, se mi conoscete, saprete che lo farò senza molti filtri. Se invece vi sentite scomodi a parlare di sesso e a sentire queste parole, a maggior ragione restate perché avete bisogno di questa conversazione. 

Dunque, prima di tutto Perché voglio parlare di questo argomento? Io non sono una sessuologa o un’esperta di educazione sessuale, ma ho fatto sempre molta ricerca su questo argomento e ancora di più quando ne ho scritto per la collezione gioca e impara con il Metodo Montessori. Se non la conoscete, è una collezione di 50 volumi ognuno scritto da un autore diverso e tutti curati da Grazia Honneger Fresco, che è stata ultima allieva diretta di Maria Montessori e che purtroppo è mancata poco dopo aver finito proprio questa collezione, quindi per me questa collezione ha assunto un valore ancora più grande perché è stata l’ultimo lavoro di quella che io ritengo uno dei pilastri dell’educazione montessori in italia. Per questa collezione io ho scritto 4 volumi e uno di questi, il numero 48, è proprio quello sull’educazione sessuale.

Ovviamente l’educazione sessuale è un tema ampissimo e potrei forse parlarne per un fine settimana intero, quindi oggi ho deciso di concentrarmi su un argomento che reputo importante che è la normalizzazione delle parole ovvero un minuscolo cambiamento che possiamo fare tutti noi genitori ma che potrebbe davvero fare una grandissima differenza all’ora di educare noi stessi e i nostri figli alla sessualità.    

Ok, iniziamo, ripetete con me: pene e vulva. Pene e vulva. State ripetendo? Pene e vulva. Sono solo due parole. Non c’è nulla di male, non c’è nulla di sbagliato, non c’è nulla di imbarazzante in queste due parole. Sono solo due parole. L’unica loro colpa è che sono due parole che si riferiscono a parti del corpo considerate intime e private e probabilmente anche un po’ tabù perché mi sembra che si faccia più fatica a usarle. In realtà non dovrebbe esserci alcun imbarazzo a usare queste parole, così come testicoli o vagina. Dire vulva non è (o non dovrebbe essere) più strano o più imbarazzante che dire gomito. E vi assicuro che per un bambino ascoltare la parola gomito o la parola vulva è esattamente la stessa cosa. Siamo noi adulti che consideriamo queste parole imbarazzanti, probabilmente perché sappiamo a che cosa servono queste parti del corpo o semplicemente per il tipo di educazione che abbiamo ricevuto. MA per un bambino sono parole come altre. 

Cioè pensiamoci un attimo, Perché chiamiamo i genitali pisellino e patatina, ma poi chiamiamo il gomito gomito, il collo collo e la fronte fronte? E se chiamiamo la vulva patatina, perché non chiamiamo il dito grissino o il collo salsiccia? Cioè a me sembra un vero e proprio controsenso, che per me non ha logica alcuna, perché non ha senso né sentirsi più in imbarazzo a dire vulva che a dire avambraccio, sono entrambe parti del corpo, e soprattutto non serve un’età appropriata per iniziare ad usarle con i bambini,  Come non aspettiamo un’età appropriata per parlare di mani e piedi, allo stesso modo non dovremmo nemmeno aspettare un’età appropriata per parlare di pene e vulva. Ripeto, sono parti del corpo.

Ma al di là del logico o del meno logico, perché voglio parlarvi dell’importanza di normalizzare le parole? Perché credo che normalizzare le parole legate al sesso sia proprio il primo passo per iniziare ad educare noi stessi e i bambini alla sessualità e per iniziare a dare loro gli strumenti di cui hanno bisogno per avere un rapporto positivo e consapevole con la loro sessualità. 

Ma a questo ci ritorno tra un attimo, perché è prima vorrei raccontarvi una cosa. In una delle mie ricerche sull’educazione sessuale, mi rimase in mente una storia che avevo letto da qualche parte in spagnolo (purtroppo non ricordo la pagina e non sono riuscita a ritrovarla per dare il giusto credito quindi se la riconoscete, per favore, segnalatemela e l’aggiungo nelle note dell’episodio). Ma comunque ve la racconto.

Per capire la storia dovete sapere che come noi chiamiamo la vulva patatina o farfallina, in spagnolo la chiamano anche galleta, che significa biscotto quindi per raccontarvi questa storia userò questa parola, galleta. E la storia è quella di una bambina che va dalla sua insegnante a scuola e le dice “mio zio mi ha leccato la galleta” e l’insegnante le dice, “oh mi dispiace, la prossima volta, chiedi un’altra galleta”. Poi passano i mesi e la mamma della bambina va a parlare con l’insegnante per spiegarle che da un po’ di tempo la bambina ha un brutto sfogo rosso sulla “galleta” e quando la madre dice queste parole, l’insegnante si rende immediatamente conto di ciò che la bambina aveva cercato di dirle quel giorno.

A me questa storia, che non so se sia vera o inventata e non importa, mi era rimasta impressa perché spiega con una chiarezza disarmante quanto in alcuni casi insegnare ai nostri figli le parole corrette dei genitali possa fare una differenza, seppur minima, in caso di abuso sessuale.    

Certo questa storia sembra lontana da noi, vero? Ci sembra quasi surreale, una cosa che non potrebbe mai e poi mai succedere a noi, nella nostra famiglia, ai nostri bambini. E invece, i casi di abuso sessuale sui bambini sono più comuni di quanto si pensi e riguardano sia i maschi sia le femmine. Quindi anche se un genitore vuole allontanare questa realtà dai suoi pensieri, vuole allontanare questa immagine dalla sua mente, esserne consapevoli è fondamentale. Soprattutto è importante sapere che nella maggior parte dei casi, la persona che abusa sessualmente di un bambino è una persona che il bambino conosce: per esempio, una figura autorevole di cui il bambino si fida (come un famigliare, un amico, un parente, un insegnate, un allenatore, una babysitter, un prete…) e quindi questa persona non deve nemmeno usare la forza fisica, ma solo la coercizione per coinvolgere il bambino sessualmente e per convincerlo che è una cosa che va bene, che non c’è nessun problema, che non deve essere stranito perché è tutto normalissimo. E inoltre la percentuale di abusi denunciati ufficialmente è ancora molto inferiore a quella reale, perché visto che la persona che abusa sessualmente è ben conosciuta dalla famiglia, quando e se il bambino cerca di raccontarlo, spesso i genitori non gli credono. E dico se perché magari il bambino non ci prova nemmeno a raccontarlo, specialmente se in casa non c’è un dialogo aperto sulla sessualità, non c’è un’edcuazione sessuale, non si normalizza la conversazione sui genitali, non si parla di consenso e quindi i bambini non hanno né gli strumenti né la fiducia necessaria per raccontare ai genitori una cosa come quella che vi ho raccontato nella storia.  

E certo, questo è uno di quei casi in cui preferiamo allontanare il pensiero e pensare che non succederà mai a noi… ma la verità è che può succedere a chiunque, può succedere anche a famiglie attente (ci sono davvero tantissimi casi che mi hanno fatto rabbrividire e che non sto a raccontarvi)… ma il punto è, se quella bambina quel giorno avesse detto vulva, se avesse usato la parola corretta quando l’ha raccontato all’insegnante, magari non sarebbe cambiato nulla, ma magari sì, magari quell’incubo per lei sarebbe finito prima (a livello fisico perché poi a livello psicologico forse non finisce mai)… e io personalmente, se posso, preferisco sempre dare uno strumento in più ai miei figli piuttosto che uno strumento in meno. E secondo me l’educazione sessuale è uno strumento in più. 

Ma ora, anche se non andiamo con la mente all’abuso sessuale, usare le parole corrette ha un altro grandissimo beneficio non solo per i bambini ma anche per i genitori: perché aiuta i genitori a normalizzare la conversazione sul sesso, a normalizzare l’educazione sessuale, a ridurre l’imbarazzo… perché poi non dovrebbe esserci nulla di imbarazzante nel sesso o nel parlare del sesso o nel parlare anche solo di come si concepiscono e come nascono i bambini, per esempio… sono processi naturali e per questo dovremmo imparare a parlarne con naturalezza. Ovviamente sempre seguendo il bambino un po’ come vi ho raccontato nell’episodio su come parlare della morte ai bambini se lo avete ascoltato: per me seguire il bambino significa rispondere con sincerità alle domande ed è indipendentemente dall’età: se Oliver a 3 anni mi chiede come è uscita Emily dalla mia pancia, gli rispondo che è uscita da un’apertura che ho tra le gambe che si chiama vagina. E poi sto in silenzio, seguo lui, se non ha altre domande, la conversazione per questa volta è finita, Fino alla prossima domanda. E tra l’altro ci tengo a ricordarvi proprio come ho detto nell’episodio sulla morte, che i bambini non fanno domande di cui non sono pronti a sentire la risposta.

Ok, ho fatto una digressione ma riprendo il filo dei pensieri, perché vi stavo raccontando che io secondo me per arrivare a avere queste conversazioni in maniera spontanea e offrire ai nostri figli un’educazione sessuale, dobbiamo prima educare noi stessi. E normalizzare le parole è davvero un primo passo ottimo ridurre l’imbarazzo e piano piano sradicare il tabù del sesso nella nostra mente. Perché cioè anche se io faccio fatica a crederci,  diciamoci la verità, il sesso è ancora un tabù per molti. Quanti di voi abbassano la voce quando dicono la parola sesso davanti ai bambini? nonostante il sesso sia un aspetto naturale della vita, spesso noi genitori ci sentiamo in imbarazzo a parlarne, ma credo sia più perché non sappiamo come affrontare l’argomento e allora - bisbigliamo quando parliamo di genitali e rapporti sessuali, - distraiamo i figli in fattoria quando il toro monta la mucca o raccontiamo che stanno giocando invece di dire che si stanno accoppiando per cercare di dare vita a un vitellino, - o raccontiamo la storia della cicogna anche quando stringiamo tra le braccia un neonato che fino a poche ore prima era nella pancia della mamma.

Non mi stancherò mai di dirlo, i bambini capiscono e spesso se sappiamo condividere le informazioni con sincerità, con tatto e con accortezza, seguendo loro e le loro domande, non hanno nemmeno bisogno di essere protetti da certe conversazioni, e sicuramente non hanno bisogno di essere protetti quando si parla di una delle cose più naturali del mondo. A volte mi sembra quasi che i genitori pensino che essere sinceri con i propri figli riguardo al sesso e a come nascono i bambini, per esempio, li renda precoci sessualmente, ma in realtà io credo che spesso e volentieri sia proprio il contrario: quando un ragazzino o una ragazzina non sa e non conosce qualcosa, ha ancora più curiosità. In più, dobbiamo ricordarci che i bambini hanno una sensibilità spiccata, sono osservatori attenti e sanno quando un genitore nasconde la verità (per esempio se raccontiamo che la cicogna ha portato il fratellino), poi purtroppo magari non fanno domande perché non ancora processati nella loro mente o perché magari ci hanno provato e il genitore li ha zittiti malamente e allora il bambino ha capito che di questo argomento non si parla: ma è proprio così che si perpetua il tabù, che tra l’altro credo sia un tabù controproducente.

Io personalmente quando i miei figli si avvicineranno alla sessualità, preferisco che sappiano vita, morte e miracoli del sesso, perché più sono informati, più posso fidarmi di loro. Più sono informati, più hanno gli strumenti per capire e affrontare questo mondo altamente sessuale in cui viviamo (perché poi i bambini sono bombardasti dal sesso, anche le pubblicità di profumi con donne mezze nude e cartelloni pubblicitari di reggiseni che sembrano dei giornali porno)… oggigiorno, i bambini vengono catapultati sempre più precocemente e inevitabilmente in un mondo davvero altamente sessuale e se noi genitori decidiamo di non dare loro un’educazione sessuale molto probabilmente i bambini non avranno gli strumenti per affrontarlo, questo mondo altamente sessuale. 

E non solo, ma quando non gli diamo gli strumenti per affrontarlo, non gli diamo il vocabolario, la conoscenza, non offriamo un dialogo aperto, in realtà comunichiamo loro che non possono parlare con noi di queste cose, che non possono fidarsi di noi. E poi magari ci stupiamo se i bambini sogghignano quando si parla di pene e vagina a scuola; ci stupiamo se troviamo una ricerca su internet del nostro pre adolescente che vuole capire perché prova piacere quando si tocca i genitali ma si vergogna a parlarne con noi genitori ... che poi tra l’altro che cosa trova su internet anche con tutti i filtri del mondo? trova contenuto porno. Oppure ci stupiamo se oggigiorno alcuni adolescenti pensano alla verginità come a un problema a cui rimediare il prima possibile, invece di aspettare che accada naturalmente quando c’è affetto, quando c’è amore.

E occhio tutto questo non è solo colpa dei genitori, perché certo non aiuta vivere in un Paese cattolico, in cui si applica una doppia morale: il sesso si fa, ma guai a parlarne. Cioè, Per me per esempio è scioccante che l’Italia non abbia ancora un programma di educazione sessuale obbligatorio in tutte le scuole, ma poi capisco quando leggo che nel 2011 papà Benedetto XVI definì l’educazione sessuale “contraria alla fede e alla retta ragione” oppure che nel 2013 l’educazione sessuale venne definita da una deputata di Scelta civica come «un manuale di corruzione dei minori». E da allora, da quanto ne so io non mi sembra che la situazione sia cambiata molto.

E con questa mentalità predominante è ovvio che i genitori non sono il problema principale, ma sono sicuramente parte del problema perché leggevo anche che quelle rare volte in cui ci sono stati tentativi di avviare l’educazione sessuale in alcune scuole, a volte erano proprio i genitori che in quelle ore non mandavano i figli a scuola. 

Ecco, quello è un problema perché quei bambini crescono senza educazione sessuale, senza gli strumenti per affrontare la sessualità, per accogliere i cambiamenti del corpo, per capire che cosa sia il consenso, per vivere il sesso come qualcosa di naturale. Che poi vivere il sesso come qualcosa di naturale per me significa viverlo con spontaneità, senza tabù, senza restrizioni non innecesarie (che poi credo che questa parola innecesaria non esista in italiano, credo di averla tradotta bella mia mente dall’inglese, ma va be’). Dicevo, a me piacerebbe che i miei figli si avvicinassero al sesso come mi sono avvicinata io, e io ringrazio la mia mamma e il mio papà che in questo sono stati un po’ delle mosche bianche e che hanno cresciuto me e mia sorella senza il tabù del sesso, sicure della nostra sessualità e si sono fidati di noi ovvero non ci hanno mai ostacolate a vivere la nostra sessualità... cioè io ricordo che il mio primo fidanzato serio verso i 13 anni poteva venire a casa mia e potevamo chiuderci in camera e starci quanto volevamo e magari proprio per quello, proprio per quella libertà e per quella fiducia che mi davano che ci davano i nostri genitori, io con quel fidanzato non fatto poco o nulla a livello sessuale e siamo stati insieme un anno e mezzo, quindi non poco. E lo stesso è stato con il mio secondo fidanzato serio, con il quale sono stata poi 5 anni, dai 14 anni, e con il quale ho perso anche la verginità: lui veniva spesso a dormire a casa mia e io andavo spesso a dormire a casa sua, le porte erano chiuse, ci davano la nostra privacy e quando mi guardi indietro credo proprio che questo tipo di libertà e fiducia ci abbia dato anche un senso di responsabilità perché abbiamo aspettato poi un paio d’anni prima di lanciarci nel sesso vero e proprio, che secondo me è parecchio anche per i canoni di allora.

E tutto questo lo racconto perché voglio normalizzare queste conversazioni, voglio normalizzare il discorso sul sesso, voglio che vi arrivi il messaggio che il sesso è un tabù che non ha motivo di esistere,  e più perpetuiamo il tabù più cresciamo una generazione di individui insicuri a livello sessuale e anche meno tolleranti verso chi la sessualità la vive in maniera diversa. 

E con questo non voglio che finiate di ascoltarmi e andiate a raccontare ai vostri figli la danza del pene e della vagina, eh ancora una volta lo ripeto perché credo sia importante, diamo l’informazione quando arrivano le domande dai bambini, non prima.

Però sicuramente iniziare a chiamare i genitali con i nomi giusti è un buon primo passo, anche per iniziare ad affrontare nella nostra mente il nostro imbarazzo. 

Quindi se decidete di farlo e i vostri bimbi sono piccoli, è facile, basta davvero solo sostituire patatina e pisellino con vulva e pene e il gioco è fatto. Se i vostri bimbi sono già abituati a patatina e pisellino potreste proprio solo spiegare loro, “sai come si chiama davvero la patatina, si chiama vulva, riesci a dire vulva?” E poi iniziare iniziare ad usarla come parola normale, anche alternandola a patatina, perché non è che ora patatina e pisellino sono parole proibite, non andiamo da un estremo all’altro, possiamo manetenrele nel nostro vocabolario e allo stesso tempo fare uno sforzo per usare anche i termini corretti senza imbarazzo, e vi assicuro che più li usate più viene spontaneo usarli, meno imbarazzo si prova! La mia migliore amica faceva davvero fatica a usarli, ma dopo una lunga conversazione ha deciso di iniziare, ha fatto uno sforzo per usare la parola vulva e alla fine dopo pochi mesi è diventata una parola normalissima… tanto normale che un giorno erano a un parco dei divertimenti e su una giostra sua figlia ha gridato, mami il vento mi fa il solletico alla vulva.

E ora già le vostre testoline che pensano, io mi sarei vergognata tantissimo, e se i miei figli dicono cose così a scuola o in casa di altri, come la prendono gli altri genitori, poi devo spiegarmi, scusarmi… e no, fermate subito le vostre menti, perché questa non è la vostra mente a parlare, è il tabù. Ed è proprio il tabù che vogliamo smontare,. Perché se ci pensiamo, che genitore/persona può prendersela perché mio figlio usa le parole corrette dei genitali? Un conto è se lo chiamassimo con nomi osceni che non sto a dire, ma i nomi scientifici dei genitali sono solo parole, possiamo dirle in pubblico senza imbarazzo.

E per quanto riguarda le conversazioni tra bambini, che nasceranno a scuola, me le posso immaginare, tipo questa si chiama vulva, no si chiama farfallina, la mia mamma la chiama vulva, la mia la chiama farfallina… e poi vanno dall’insegnante e le chiedono e se è un’insegnante valida, per me dovrebbe sorridere e con tutta la normalità e la calma del mondo dire che il nome scientifico è vulva, ma alcuni la chiamano farfallina e altri patatina. E anzi potrebbe addirittura trasformare l’episodio in una lezione, mettendosi tutti in cerchio alla prima occasione e raccontando che c’è stata questa conversazione tra due bambine su come si chiamino i genitali femminili, chiedendo ai bambini come li chiamano loro ecc...  E poi l’insegnante racconterà ai genitori di questa conversazione in modo che anche loro sappiano che non c’è nulla di male… e voilat Abbiamo normalizzato le parole, abbiamo ammazzato con spontaneità il tabù. 

E detto questo voglio anche ripetere: dimentichiamoci gli estremi, per favore. Credo e forse l’ho già detto nel podcast che spesso per raggiungere l’equilibro bisogna passare per l’estremo e ne sono convinta al 100% ma poi la mente critica e consapevole deve essere capace di mettere in discussione l’estremo e trovare l’equilibrio sostenibile, perché una vita vissuta di estremi, di bianco e nero non fa bene ne all’individuo né alla comunità. Quindi per onore del “dimentichiamoci gli estremi” vi racconto anche che noi in passato chiamavamo il pene pippeli (dal finlandese) e la vulva patatina e anche se io oggi ho cambiato le parole, spesso Oliver ed Emily usano quelle parole. E va benissimo, non è che ora dico loro che no, non si chiama patatina! E Un giorno Oliver mi ha chiesto perché si chiamano in entrambi i modi e io ho spiegato che alcune persone le chiamano così, che è un po’ un soprannome, come dire Oli invece di Oliver ed Ellie invece di Emily… questo perché non era ancora il momento di spiegare loro che è perché le persone si vergognano a dire i nomi corretti perché il sesso è un tabù ecc ecc… ma prima o poi sono sicura che ci saranno occasioni per approfondire e approfondiremo.

Quindi vi lascio con tutte queste riflessioni e chiudo sia perché voglio mantenere  l’episodio breve come piace a me, sia per darvi tempo di digerire se quello di cui vi ho parlato è tutto nuovo. 

Quindi vi saluto e vi do appuntamento al prossimo venerdì.

Come sempre se vi manco mi trovate su www.latedicarlotta.com e su instagram Facebook come lateladicatlottablog. 

Buona serata, buona giornata o buona notte a secondo di dove siate nel mondo. Ciao ciao. 

Ah no, un’ultima cosa, sul blog ho pubblicato un post con un’attività che avevo creato per i laboratori del volume sull’educazione sessuale, e vi ho anche preparato un modello da stampare con gli organi del corpo in scala reale, perché l’attività è proprio disegnare la sagoma del bambino e poi disporre gli organi che includono il sistema riproduttivo femminile e maschile e quindi potrebbe anche essere un’attività adatta per introdurre e normalizzare parole che ci magari ci creano imbarazzo. Ok, adesso davvero ho detto tutto e quindi vi saluto. Ciao

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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