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Episodio 76 ·

Il bullismo sui social (parte 1)

In questo episodio di Educare con calma, sciolgo le briglie. Vi racconto un episodio capitatomi mesi fa sui social, non per fare polemica, ma per contestare comportamenti e comunicazioni che credo dovremmo prenderci il tempo di contestare tutti ogni giorno. 

Queste sono conversazioni per me importanti. Sono conversazioni necessarie. Non possiamo continuare a trattare i social come vita virtuale, non vera.

Nell'episodio parlo anche, indirettamente, della mentalità che la donna debba dare la priorità a tutti prima che a se stessa.

È un episodio intenso.

:: I messaggi per me importanti:  

  • I social sono vita vera tanto quella faccia a faccia
  • Non possiamo giudicare una persona dalla punta del suo iceberg (ovvero raramente possiamo giudicare)
  • Dobbiamo prenderci la responsabilità delle nostre parole pubbliche e private
  • Chi siamo sui social nei messaggi PRIVATI è il vero noi
  • È ora di cambiare mentalità come "se scegli di essere una persona pubblica, devi accettare ciò che la gente dice di te" e "i social funzionano così e quindi li uso così": dobbiamo prenderci il tempo di contestare queste mentalità
  • Il modo in cui noi usiamo i social è il modo in cui i nostri figli li useranno: glielo stiamo lasciando in eredità
  • Dovremmo iniziare a considerare e definire "bullismo" tanta della comunicazione che avviene sui social media

:: Come appoggiare il podcast:

Io non faccio pubblicità e non accetto sponsor, perché le pubblicità alimentano il consumismo e in più mi danno fastidio (quindi non voglio fare a voi una cosa che dà fastidio a me). Se vi piace il mio podcast e volete aiutarmi a mantenerlo vivo, potete aiutarmi a diffonderlo lasciando una recensione sulla piattaforma dove lo ascoltate e/o acquistare uno dei miei corsi o prodotti:

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Ok, questo è un episodio di pensieri a ragnatela e tra l’altro sono pensieri che di solito riservo per le storie di Instagram, ma sentivo di volerne parlare più a fondo. Tra l’altro non sono nemmeno pensieri legati strettamente alla genitorialità… ma ormai sapete che per me educare con calma non si riferisce solo all’educare i figli, ma anche all’educare noi stessi, perché l’unico modo per educare adulti equilibrati, responsabili, gentili e rispettosi è esserlo prima di tutto noi stessi.

Quindi in questo episodio ho deciso di raccontarvi due episodi che mi sono successi negli ultimi 5 mesi sui social e che mi hanno ispirata a parlarne qui su Educare con calma. Dirò sicuramente alcune cose scontate, ma credo che a volte ripetere l’ovvio possa aiutare a far arrivare i messaggi. 

E ora vi racconto il primo episodio. Tempo fa ho pubblicato questo post su Instagram (che adesso vi leggo): 

«Oggi è stata una mattinata difficile.

Alex ha avuto un lavoro inaspettato che ha cambiato i nostri piani, frustrante.

Io ho deciso di allenarmi mentre i bimbi facevano homeschooling (scema io!): interrotta 100 volte, frustrante. 

Oliver era poco cooperativo e quando provavo a parlargli se ne andava, frustrante.

A pranzo, ho messo del cibo (snack nemmeno troppo sani) negli zaini dei bimbi e ho detto loro di andare a farsi un picnic in giardino e io ho cucinato per me e ho mangiato sola mentre Alex aveva una chiamata di lavoro. Apposta, per stare da sola. 

Non è essere una cattiva madre. Non è egoismo. È tempo di qualità per me.

Sono io che do priorità a me stessa. 🙌»

E nel post mi davo perfino un cinque, tipo pacca virtuale sulla spalla. Ma dovete sapere che a questo post ho ricevuto un commento che mi ha fatta riflettere molto. Questo è un post che è nato dall’anima perché credo fortemente nelle parole che ho scritto, le sottoscrivo mille volte e inoltre ci tenevo a condividere il mio successo: mi sentivo davvero felice di essere riuscita a prendermi del tempo per me e così facendo di essere riuscita a ribaltare una giornata che era iniziata in maniera frustrante. Perché poi effettivamente la giornata è andata molto meglio, perché invece di arrabbiarmi, di tenermi tutto dentro, di cucinare per tutti controvoglia, di pranzare insieme e poi magari sbottare nel pomeriggio effetto pentola a pressione, io ho deciso di fare una pausa, di pensare a me stessa per un’ora e poi essere più predisposta a stare con la mia famiglia nel pomeriggio… e non solo più predisposta, ma anche più serena e più amorevole.

Questo per dire che sono molto soddisfatta della mia scelta di quel giorno di prendermi cura di me stessa per prima, non la rinnego, e l’ho condivisa su instagram anche perché credo che spesso mamme e donne vorrebbero fare lo stesso, ma per una ragione o per l’altra non lo fanno, per il retaggio culturale in cui sono cresciute o per paura dei giudizi della società o, peggio, dei loro stessi giudizi di se stesse (perché alla fine siamo noi i nostri giudici più severi). 

Ora, se mi conoscete, non mi aspetto che tutti siano d’accordo con me: anzi, credo che sia bello che NON tutti lo siano proprio perché spesso le persone diverse da noi e dalla nostra mentalità ci danno opportunità per riflettere. Che poi magari rimaniamo della nostra idea, ma quella riflessione contribuisce al nostro percorso di evoluzione e rafforza non solo la nostra scelta, ma anche la fiducia che abbiamo in noi stessi.

Ripeto spesso una frase bellissima che la mamma di Jane Goodall le diceva quando era piccola: se le persone non sono d’accordo con te, la cosa più importante è che le ascolti; se poi dopo averle ascoltate con attenzione, pensi ancora e comunque di avere ragione, devi avere il coraggio delle tue convinzioni. 

Questo per dire, non mi aspetto che tutti siano d’accordo con me, ma forse ingenuamente mi aspetto che le persone mi ascoltino con attenzione come io ascolto loro e che usino rispetto e gentilezza nell’esprimere i loro disaccordi. In tanti, quando dico una cosa del genere, mi dite che sono una sognatrice, ma alla fin fine credo davvero che se non sogno io il mondo che voglio, non posso certo crearlo o contribuire a crearlo; se non sogno io la persona ideale che vorrei essere non posso certo cercare di diventarla. 

E visto che io sui social sono ancora piccolina e posso ancora leggere quasi tutti i commenti pubblici che ricevo sotto i post, credo anche che sia mio dovere e mia responsabilità rispondere e contestare quando qualcosa non mi sembra corretto e rispettoso. Proprio per contribuire a creare quel mondo che vorrei e quella persona che vorrei diventare.

Il commento che ho ricevuto diceva che non cucinare per i propri figli e per il proprio marito è semplicemente egoismo, soprattutto se il marito è impegnato per lavoro e i bambini hanno avuto una mattinata impegnativa. E aggiungeva che è egoismo soprattutto se invece il mio unico impegno era stato quello di svagarmi e di allenarmi. Diceva anche che ci si può prendere tempo per sé quando il marito è libero dal lavoro e i bimbi sono sereni e non devono mangiare snack per pranzo. Diceva che il tempo di qualità per se è fondamentale, ma che bisogna farlo quando ci sono le condizioni per poterlo fare e che nella mia scelta di prendermi tempo per me in quelle condizioni che descrivevo questa persona ci vedeva solo solo egoismo.

Ora, ho analizzato quel messaggio, ho provato a mettermi nei panni di chi lo ha scritto e soprattutto ho cercato di lasciare fuori le emozioni e l’ego che spesso ci portano a metterci sulla difensiva. Parlando proprio solo di fatti, quindi, secondo la persona che scrive questo commento le condizioni in cui una donna può prendersi tempo di qualità per sé sono:

  1. Quando il marito è libero.
  2. Quando marito e figli hanno il pranzo pronto.
  3. Quando non significa che i figli devono mangiare snack per pranzo.
  4. Quando la donna abbia dimostrato di aver fatto qualcosa di produttivo, che immagino si riferisca al lavoro, perché io avevo detto che mi ero allenata, ma si vede che questa persona non ritiene quell’attività produttiva.

Se conoscete me e Alex, saprete che non ci lasciamo influenzare da queste mentalità e che non appoggiamo gli stereotipi di ruoli uomo/donna né nella famiglia né nella società.

Quindi questo commento onestamente non tocca me personalmente e non fa sentire me, Carlotta, sbagliata. Ho fatto un lungo percorso personale per arrivare a capire che la mentalità descritta in questo commento non insegna alle donne a prendersi cura di se stesse e a darsi la priorità. E che darsi la priorità è obbligatorio non solo per la salute e sanità mentale, ma anche per dare un esempio sano ai nostri figli, perché ricordiamoci che non possiamo insegnare ai nostri figli a essere gentili con se stessi e a prendersi cura di sé nonostante tutto se non abbiamo prima imparato a farlo noi stessi. 

Tutto questo lo dico per sottolineare che un commento così a me non fa male, non mi fa sentire in colpa e anzi se me lo avesse scritto in privato avrei lasciato correre. Ma purtroppo questo è un commento pubblico e un commento così lo legge anche la madre che non ha ancora fatto un percorso simile al mio, la madre che ha bisogno di un momento di pausa per non esplodere e invece crede alla società che le dice che prima di prendersi cura di se stessa deve prendersi cura di tutti gli altri. Alla madre che pensa che i figli vengano prima, che il marito venga prima, che il lavoro venga prima e magari anche che l’apparenza fisica venga prima della propria sanità mentale: questo per me è un cocktail perfetto o per cadere in depressione o per vivere nel risentimento o per arrivare al burnout.

E personalmente credo che chi fa il mio lavoro non possa permettersi di non rispondere e non contestare un commento di questo tipo. Quindi mi sono prima di tutto rivolta pubblicamente alla persona che ha scritto questo commento.

Le ho spiegato che quel giorno mi ero alzata, avevo fatto allenamento, avevo fatto homeschooling con i bimbi, che anche se era stato frustrante per me sono poi riuscita a finire su una buona nota con i bambini sereni, che avevo poi anche lavorato due ore (perché se non lo sapesse, sono una mamma che lavora a tempo pieno), che il dare ai miei figli uno snack per fare il picnic non era affatto una punizione, ma era proprio solo andata così, gli avevo detto: “Hey, vi piacerebbe fare un picnic fuori in giardino per pranzo?” “Siiiiii” “Ok, prepariamo qualcosa insieme e andate”. Abbiamo preparato una mela a pezzi, un avanzo di frittata del giorno prima, cracker di riso, un mix di frutti secchi, un pezzo di torta che ci avevano preparato i proprietari dell’Airbnb, insomma, non sanissimo e non completo ma non malaccio. I bambini si sono divertiti immensamente in questa nuova avventura e io sono stata felice di aver trovato una soluzione per non dover cucinare per loro. E per quanto riguarda l’aver mangiato mentre Alex parlava al telefono era andata così: “Hey, ti va bene se faccio pranzo da sola?”, “Ma certo, tanto chissà a che ora finisco!”. E poi alla fine non avevo nemmeno finito tutte le verdure che avevo cucinato e quindi ad Alex ha fatto piacere avere già qualcosa di pronto a cui aggiungere un uovo per un pranzo veloce quando ha finito la telefonata.

Tutto questo nel post non l’ho scritto, perché per me non era rilevante. Il post l’ho scritto per provocare una riflessione, e l’ho scritto corto apposta, perché a volte quando spieghiamo troppo il messaggio davvero rilevante si perde. E che cos’era rilevante per me? Era rilevante la frustrazione che provavo ed era rilevante la mia scelta di dire NO a questa frustrazione e di trovare invece una soluzione creativa per prendermi cura di me stessa e non convertire quella frustrazione in rabbia. Ecco, quello era rilevante in quel post.

Ora, so che non ero in dovere di spiegare tutto ciò a questa persona, perché non devo giustificare il modo in cui io decido di prendermi cura di me stessa. Ma questa volta ho trovato importante farlo per mostrare l’importanza di non giudicare la punta dell’iceberg senza vedere l’intero iceberg (quindi in realtà raramente possiamo giudicare, perché l’iceberg intero non lo vediamo, spesso nemmeno di noi stessi). 

Sarebbe stato molto diverso se mi avesse scritto una sua riflessione (parlando di sé magari) senza giudicare me, senza darmi dell’egoista e, implicitamente, pure della fannullona e invece lei ha scelto di giudicare. Ora, senza parlare di questo caso specifico, ma proprio parlando in generale, secondo me dovremmo questa tendenza a giudicare chi si trova dall’altra parte dello schermo dovremmo pensarla come una forma di bullismo psicologico e per questo credo fortemente che cada contestato, dobbiamo ritagliare tempo dalla nostra giornata per analizzarlo e contestarlo. In maniera educata, gentile e rispettosa, ma contestarlo. Anche perché tra l’altro a breve i nostri figli saranno i fruitori dei social che noi lasciamo in eredità.

Quindi quel giorno, appunto, mi sono ritagliata del tempo per contestarlo. Ho fatto uno screenshot del suo commento pubblico e della mia risposta, e l’ho pubblicato sulle mie storie di Instagram.

In molti hanno risposto privatamente dicendo che quel commento non è giusto nei miei confronti e hanno dato contro a quella persona. Ma anche questo è un problema, non è ciò che volevo: ciò che volevo era dire “pensiamoci, questo messaggio non va bene, perché non possiamo giudicare una persona dalla punta del suo iceberg”. Quindi ho dedicato altro tempo a rispondere a queste persone spiegando che non dovremmo dare contro a quella persona, che commenti così non mi fanno stare male, ma che credo sia importante condividerli per riflettere sul perché si decida, per esempio, di giudicare invece di fare domande e anche che dovremmo metterci nei suoi panni, perché se analizzo il suo commento io, oltre al giudizio, ci leggo sensi di colpa e magari un bisogno non soddisfatto di prendersi cura di sé (e magari è per questo che lei critica il fatto che io riesca a farlo).

Ora, tutto questo, tanto il suo commento come le mie storie di Instagram erano pubbliche, quindi tutti potevano leggerle. Ma quello che ovviamente nessuno ha letto è ciò che mi è stato scritto in privato.

Non riporto le parole esatte perché è un tipo di comunicazione secondo me spiacevole e preferisco non ripeterla. Ma vi racconto alcuni pensieri che questa persona ha condiviso con me e che secondo me sono davvero problematici oggigiorno sui social ma anche nella società in generale:

In privato, questa persona mi ha detto che io sono una persona pubblica e che quindi devo accettare che la gente abbia ed esprima la sua opinione di me.

Mi ha detto che chiunque ha il diritto di commentare e dire la propria opinione, perché è così che funzionano i social.

Mi ha detto che quando commenta non può sapere tutto della vita di una persona e che quindi scrive in base alle informazioni che ha in quel momento.

Mi ha detto che non avrei dovuto postare lo screenshot del suo commento pubblico sulle mie storie senza occultare il suo avatar, ovvero la sua immagine di profilo.

Mi ha detto che non posso pretendere che la gente scriva solo che sono bravissima e che il mio modo d’agire è sempre perfetto.

Mi ha inoltre detto che lei non sente di poter nemmeno parlare con me allo stesso livello suo, perché non sa nemmeno quali studi io abbia fatto per parlare di montessori e che mi improvviso e al contrario mi ha descritto la sua laurea e il suo lavoro.

Ora, lascio perdere il commento sulla mia preparazione in ambito Montessoriano perché credo che il mio lavoro parli da solo, e poi perché so che quelle parole arrivano dalla rabbia: è una forma di comunicazione passivo aggressiva, perché quando una persona sente di non avere più argomenti sulla questione di cui si sta parlando o magari si sente in difetto perché attacca ma riceve solo gentilezza in cambio, inizia ad attaccare su altri fronti per cercare di far traballare la barca, di farci sentire inferiori. Dobbiamo saper riconoscere questo tipo di comunicazione per non abboccare all’amo e rispondere con gentilezza e calma.  

Non mi soffermo nemmeno sul fatto che avrei dovuto occultare il suo profilo perché in realtà non è così: il suo commento al mio post era pubblico, tutti potevano leggerlo e vedere chi è questa persona, quindi non c’era motivo di occultarlo, come faccio di solito con i messaggi privati. Se questa persona mi avesse scritto la stessa cosa in privato e io avessi deciso di fare uno screenshot e pubblicarlo avrei coperto il suo nome, anche se onestamente penso che ci si dovrebbe prendere la responsabilità della parole sia pubbliche che private, ma vabbè, a me sembra giusto non esporre chi mi scrive in privato e così faccio.

Lascio anche correre il fatto che voglio che tutti mi dicano che sono bravissima e che faccio tutto perfetto, perché… be’, perché non so davvero che cosa rispondere. Ovviamente non è vero, denota probabilmente solo che magari questa persona non mi conosce e che quindi, a maggior ragione, avrebbe dovuto farmi domande sulla mia scelta invece di giudicarla.

Tutto questo che ho appena elencato secondo me parla più di quella persona che di me e quindi lo lascio andare. Tutto il resto, però, secondo me nasconde alcuni problemi davvero grandi dell’uso che facciamo dei social e quindi mi piacerebbe parlarne più a fondo: 

  1. L’ho già detto, ma lo ripeto, una cosa che mi ha colpita molto è il fatto che questa persona creda fermamente nella mentalità della donna che deve prendersi cura della famiglia prima, che deve provvedere per tutta la famiglia prima che per sé, che il suo momento arriva quando tutti sono stati sfamati e serviti. Di questo potremmo parlare per ore, non è questo l’episodio, ma oggi ci tengo solo a dire che dopo averci riflettuto davvero molto, credo che sì, questa sia una mentalità che dobbiamo continuare a contestare e controbilanciare quando ce la troviamo di fronte, MA credo anche che dobbiamo farlo con rispetto verso chi la promuove, perché non sappiamo da che situazione famigliare arrivi e in che situazione famigliare si trovi per arrivare a pensare che sia necessario prendersi cura degli altri prima che di se stessi. Alla luce di questa riflessione, alla fine di tutta la conversazione privata con questa persona, giorni dopo io ho capito di aver commesso un errore nella mia comunicazione e gliel’ho scritto: secondo me ho sbagliato a dire che nel suo giudizio verso di me io leggevo sensi di colpa e poca cura di sé. Perché nella mia testa io lo dicevo per difenderla, ma in realtà anche quello era un mio giudizio verso questa persona e se predico rispetto, devo dare rispetto per prima. Quindi, anche se lei non mi ha più risposto, io sono felice di essermi presa la responsabilità delle mie parole.
  2. E a proposito di responsabilità, un altro punto che credo sia importante è quella frase: “i social funzionano così”. Sono d’accordo, ormai i social funzionano così, ma questo non significa che sia giusto pensare che visto che funzionano così, allora è così che dobbiamo utilizzarli. Certo si può commentare, possiamo tutti esprimere la nostra opinione e le nostre riflessioni pubblicamente su contenuti pubblici, ma è un nostro dovere individuale prenderci la responsabilità di farlo in maniera corretta, gentile e rispettosa. Il fatto che siamo dietro a uno schermo non significa che non sia vita reale, dove siamo non dovrebbe fare la differenza: usiamo i social talmente tanto che al giorno d’oggi non ha più senso dire che non sono vita reale e così giustificare comportamenti sbagliati, che non useremmo faccia a faccia con le persone. I social sono vita reale, dietro allo schermo ci sono persone reali e dovremmo iniziare ad agire sul web come agiamo di persona e prenderci le nostre responsabilità.
  3. Parliamo del messaggio che io sono una persona pubblica e che quindi devo accettare le opinioni altrui. No, non è vero che se una persona sceglie di essere “pubblica” allora possiamo permetterci di criticarla e giudicarla quanto e come vogliamo perché tanto ha scelto lei di essere pubblica. Proviamo magari a rigirare questa frase e a pensarla in termini di un’amicizia che abbiamo di persona, faccia a faccia: è un po’ come se io dicessi a una mia amica “tu hai scelto di condividere con me i tuoi pensieri e i tuoi problemi e allora io posso giudicarti e criticarti quanto voglio”. No, non funziona così, non funziona così nella vita faccia a faccia e non dovrebbe funzionare così nemmeno nella vita dietro lo schermo. // Che poi facciamo l’avvocato del diavolo e immaginiamo per un attimo che funzioni così, allora deve essere a due direzioni: allo stesso modo in cui IO accetto di essere una persona pubblica e mi prendo la responsabilità di ciò che scrivo pubblicamente e accolgo le opinioni uguali o diverse dalla mia, anche chi sceglie di commentare pubblicamente i miei contenuti deve prendersi la responsabilità di ciò che scrive e accettare che possa essere contestato. Insomma, secondo me dovremmo vederci tutti come persone pubbliche sul web, perché che ci piaccia o no quando accettiamo di usare i social, diventiamo persone pubbliche.
  4. E poi un’ultima cosa che credo sia importante contestare è il pensiero che quando commentiamo non possiamo sapere tutto della persona e quindi basiamo il nostro commento sulle informazione che abbiamo. Questo è vero: quando ci relazioniamo con una persona che non conosciamo ci basiamo sulle informazioni che abbiamo di questa persona, ma questo non significa che abbiamo il diritto di giudicarla. Se non conosco una persona, a maggior ragione le faccio domande, cerco di capire perché ha scritto quello che ha scritto, perché pensa quello che pensa. Insomma, le do il beneficio del dubbio. E vale sempre il principio, come dicevo prima, che dobbiamo iniziare a prenderci la responsabilità delle nostre parole sul web, sia che siano in pubblico sia che siano in privato. E magari di quelle private ancora di più, perché nonostante non le leggano tutti, il modo in cui comunichiamo in privato mostra chi siamo veramente, anche a noi stessi tra l’altro e poi forma immagini di noi nella nostra mente. Il privato è il vero noi, è chi siamo davvero: forse aiuterebbe cominciare a pensarlo come uno specchio che ci portiamo sempre appresso e che riflette la nostra vera immagine alle persone con cui ci relazioniamo.

Anche perché chi siamo dietro lo schermo non solo riflette chi siamo davvero, ma, come per tutta la genitorialità, il modo in cui usiamo i social sarà molto probabilmente il modo in cui lo useranno i nostri figli e riflette anche proprio il tipo di comunicazione sui social che lasciamo in eredità ai nostri figli. Siamo noi che stiamo creando i social che poi useranno i nostri figli. Quindi voilà, ecco che non so nemmeno come ci sono arrivata, ma senza volere la mia ragnatela di pensieri mi ha riportata alla genitorialità. E con questa riflessione mi sa che chiudo perché mi rendo conto ora che questo episodio è lunghissimo. So che vi avevo promesso due aneddoti ma rimando l’altro a un altro episodio, farà il la parte 2 di bullismo sui social.

Che poi so che non si tratta di “bullismo”, per questo l’ho messo tra virgolette nel titolo, il bullismo è ben altro, è molto più grave, ma secondo me chiamarlo bullismo aiuta a sentire la necessità di contestarlo, di contestare questa mentalità dell’avere diritto di giudicare e criticare le persone “pubbliche” perché i social si usano così. 

Con questo chiudo davvero e vi do appuntamento alla settimana prossima per un altro episodio di Educare con calma. Vi ricordo come sempre che 1. Mi trovate sempre su www.latela.com 2. lì potete lasciare un vostro commento a questo episodio se vi va, se ascoltate il mio podcast su altre piattaforme vi lascio il link nelle note dell’episodio e 3 mi trovate anche su Instagram come la tela di carlotta blog. 

Buona serata, buona giornata o buona notte, a seconda di dove siete nel mondo.

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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