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Mio figlio è disregolato

Carlotta Cerri
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Sto usando sempre di più la parola disregolato, sia quando mi riferisco a me stessa, sia quando mi riferisco ai miei bambini in crisi e ti spiego perché. 
Quando ci sentiamo al sicuro con le nostre persone di riferimento siamo in uno stato di regolazione, ovvero ci sentiamo equilibrati, ricettivi, siamo in grado di concentrarci, sappiamo regolare le nostre emozioni. 
Allo stesso tempo però la nostra mente è costantemente alla ricerca di pericoli e minacce, per tenerci al sicuro. 
La minaccia può essere una vera e propria emergenza o anche solo una sorpresa improvvisa, un rumore forte, cadere e farsi male, uno sguardo di disapprovazione da parte di qualcuno, stanchezza, fame, una frase che ci ferisce, qualcosa che non va come ci aspettiamo ed è in quel momento che diventiamo disregolati. 
I bambini lo esprimono in tanti modi diversi, per esempio con comportamenti scomodi, picchiare, urlare, o anche chiudendosi in se stessi (nascondendosi o andando sotto la coperta). 

Io adoro la parola «disregolato» perché non giudica e non etichetta: riconosce solo che l’esperienza umana è entrare e uscire costantemente da una stato regolato e calmo.

E quando dico «mi sento disregolata» è meno giudicante, discriminante di «sono irritabile o intollerante»: sia perché non ha un’accezione negativa nella mente delle persone sia perché sa di qualcosa che si può cambiare più facilmente (come regolare la temperatura di casa). E lo stesso vale per i nostri bambini: invece di «birichino», «impegnativo», «sfidante» o «faticoso», quando diciamo che sono disregolati intendiamo solo che in questo momento le loro emozioni non sono regolate: è normale, è temporaneo e io, loro guida, posso aiutarli a regolarle.

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