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Episodio 101 ·

Bullismo sui social (parte 2)

Nell'episodio di Educare con calma in cui parlai di bullismo sui social vi promisi due aneddoti e ve ne raccontai solo uno: oggi vi racconto il secondo, che è stato anche il motore di riflessioni a ruota libera su vulnerabilità, invidia e donne che attaccano donne — nel mio classico stile di pensieri a ragnatela.

:: Tre appunti

  • Nel podcast menziono Beatrice Zacco (ciao Bea!).
  • Quando leggo il mio commento al reel, non dico volutamente come la persona in questione ha definito i bambini perché 1. credo che sia una definizione poco onesta intellettualmente e 2. preferisco non dare indizi a chi non sa di chi sto parlando. Grazie per la vostra comprensione. 
  • A un certo punto dico “le femministe”: non intendo tutte le femministe, intendo la categoria di femministe che attaccando donne per difenderne altre. Non cool! Ci tenevo che fosse chiaro e forse parlando non lo era. 

Come sempre vi invito nei commenti sulla pagina dell'episodio che trovate sul mio blog: per favore, prendetevi la responsabilità delle vostre parole, scrivete la vostra opinione con rispetto e gentilezza e siate dietro lo schermo la persona che volete essere anche nella vita. Così nascono conversazioni costruttive. Grazie! 

💡Qualsiasi opinione cordiale e costruttiva è benvenuta: quando sei in dubbio e non sai se una tua opinione sia un giudizio o possa essere percepito come tale, invece di dirla, prima fai domande per capire meglio 💁‍♀️  

:: Come appoggiare il podcast:

Io non faccio pubblicità e non accetto sponsor, perché le pubblicità alimentano il consumismo e mi danno fastidio (quindi non voglio sottoporre voi una cosa che dà fastidio a me). Se vi piace il mio podcast e volete aiutarmi a mantenerlo vivo, potete aiutarmi a diffonderlo lasciando una recensione sulla piattaforma dove lo ascoltate e/o acquistare uno dei miei corsi o prodotti:

  • Educare a lungo termine – un corso online su un'educazione più consapevole (che educa noi prima dei nostri figli). Tanti genitori mi dicono gli ha cambiato la vita.
  • Co-schooling: educare a casa – un corso online su come giocare con i figli in maniera produttiva e affiancare il percorso scolastico per mantenere vivo il loro naturale amore per il sapere.
  • Come si fa un bebè – una guida per il genitore + libro stampabile per i bambini per avviare l'educazione sessuale in casa.
  • Storie Arcobaleno – una guida per il genitore + libro stampabile per bambini per abbattere i tabù sulla diversità sessuale e di genere.
  • È il tuo coccodrillo – una guida per il genitore + libro stampabile per bambini per capire i capricci e affrontarli con calma.
  • La Tela Shop – qui trovate attività per bambini stampabili (chiamarle attività è riduttivo), libricini per prime letture in stile montessori, audiolibri di favole reali per bambini, storie illustrate per le mamme… e presto molto altro! 

In un episodio passato vi ho parlato della tendenza a giudicare e criticare le persone “pubbliche” sui social e pensare che loro debbano accettarlo perché i social funzionano così e quindi se io scelgo di essere una persona pubblica praticamente devo accettare che chiunque possa dire la sua su quello che scrivo, faccio e dico, e che visto che sono dietro a uno schermo posso anche non esporre il mio messaggio con gentilezza e rispetto. In quell’episodio io questo l’ho definito “bullismo” anche se bullismo non è ovviamente, però spero che definire questa tendenza con una parola forte di cui tutti conosciamo le implicazioni possa forse far riflettere sulla gravità di questo comportamento e magari portare a una riflessione e a un cambiamento, che sia anche solo il cambiamento di chi si sente di contestare questa tendenza sempre con gentilezza e rispetto quando la riconosce.        

Sempre in quell’episodio, vi avevo promesso due aneddoti, ma in realtà sono arrivata a raccontarvene solo uno perché poi mi sono persa nei miei pensieri a ragnatela e l’episodio stava diventando troppo lungo. Quindi oggi ho deciso di raccontarvi l’altro aneddoto oggi, che ha a che fare sempre con il prendersi la responsabilità delle proprie parole, ma questa volta riguarda una tendenza che vedo in alcuni account che è quella di attaccare per difendere. Attaccare una categoria per difenderne un’altra. Per esempio, se parliamo di genitorialità, questa tendenza potrebbe essere tipo difendere il diritto delle mamme di scegliere di non allattare, attaccando le mamme che scelgono l’allattamento a richiesta. Oppure, difendere il diritto delle mamme di dedicarsi alla carriera attaccando le mamme che invece scelgono di restare a casa a fare le mamme. Oppure di difendere il diritto delle donne di condividere il carico mentale con il marito, attaccando o facendo sentire inferiori le donne che, per esempio, fanno sempre la lavatrice o fanno la spesa. 

Non mi vengono altri esempi, e per quanto interessanti siano questi argomenti, per ognuno se ne potrebbe fare un podcast a parte, non entro in queste questioni perché non è il tema di oggi, le uso proprio solo come esempi per farvi capire che cosa intendo con “attaccare per difendere” o “difendere attaccando”. Ci sono purtroppo alcuni account su instagram (parlo di Instagram, perché io non uso Facebook attivamente) che usano proprio questa tecnica di difendere una categoria di persone attaccandone un’altra: perché lo fanno? Perché così giustificano i loro contenuti dietro questa causa finta-nobile di difendere una categoria di persone, ma in realtà il loro intento è attaccare la categoria che non la pensa come loro. E ovviamente tutto questo avviene con una comunicazione generalmente provocatoria e spesso proprio aggressiva o passivo aggressiva. Credo che con la provocazione e l’aggressività spesso in realtà si ottenga l’effetto opposto: instigare le persone alla rabbia non porta sicuramente al miglioramento delle loro azioni, reazioni e relazioni. 

Per esempio, se io instigo le donne contro i mariti che non fanno nulla in casa, in realtà il messaggio è giusto, perché dobbiamo comunicare l’importanza della divisione del carico mentale, ma se offro rabbia invece che soluzioni in realtà quelle donne io non le sto aiutando, sto facendo loro un disservizio, perché la rabbia magari può essere il motore, ma sicuramente non può essere il mezzo per avviare un cambiamento. E chiariamoci, ripeto che spesso quando si attacca per difendere, la categoria che si difende merita di essere difesa, ha bisogno di un portavoce, ma quello che non ci si rende conto (forse né chi crea i contenuti né chi li fruisce) è che anche la categoria che viene attaccata merita di essere rispettata e più spesso che no gli stessi messaggi si possono trasmettere nel rispetto di tutte le parti coinvolte. Quindi secondo me anche se la causa è valida e mira a contestare una mentalità deleteria, spesso questo approccio aggressivo, di istigazione alla rabbia, a lungo termine è deleterio tanto quanto la mentalità che vogliono contestare.

Ok, mi sono già persa, all’inizio vi ho detto che vi avrei raccontato il secondo aneddoto e quindi ve lo racconto. Un giorno nella mia schermata esplora di Instagram mi è comparso un reel di uno di questi account provocatori e Instagram sicuramente me l’ha proposto perché aveva a che fare con la genitorialità e in effetti il messaggio di base avrei potuto dirlo anche io, ma l’approccio era molto diverso. E visto che poco prima avevo parlato sulle storie di comunicazione passivo aggressiva, della tendenza ad attaccare per difendere e nei messaggi privati mi stavano chiedendo degli esempi di questo tipo di comportamento, ho pensato che questo reel fosse un esempio perfetto — perché appunto era un messaggio giusto e importante, ma espresso in maniera non rispettosa verso tutte le categorie coinvolte.

Credo sia importante che vi dica il tipo di riflessione che ho scritto quando ho condivido il reel di questa persona, quindi sono andata a ricercarlo nelle storie archiviate e ve lo leggo. Ho scritto:

Questo reel secondo me lancia un messaggio importante, vero ed essenziale, ma trovo che la comunicazione sia passivo aggressiva. Appoggia le mamme, ma allo stesso tempo punta il dito contro una categoria di mamme che sceglie una maternità diversa dalla sua (in questo caso ad alto contatto). Trovo che tiri su alcune mamme affondandone altre e questo mi dispiace. 

Un messaggio giusto e importante comunicato in maniera poco rispettosa per me perde forza (e questo vale anche su Instagram dove la comunicazione spesso avviene in 30/60 secondi). Credo che lo stesso messaggio si possa comunicare con rispetto verso tutte le parti coinvolte, bambini inclusi, perché i bambini non sono ladri energetici: sono piccoli esseri umani che per un periodo della loro vita hanno più bisogno delle loro persone di riferimento. Non sono i responsabili della nostra salute mentale, di quella siamo responsabili sono noi stessi, ognuno per sé.

Ecco, questo è quello che ho scritto. Anche ora che lo rileggo, poi potete dirmi la vostra opinione nei commenti, io lo vedo come una riflessione personale espressa con gentilezza e con rispetto: ci tenevo proprio a far notare che il messaggio del reel in sé è valido, ma secondo me “scade” perché non rispetta tutte le parti coinvolte, in questo caso etichettava i bambini e madri che hanno un approccio educativo più ad alto contatto.

Purtroppo la persona che ha creato il reel l’ha presa molto male, in modo molto personale e in privato mi ha scritto immediatamente che se non rimuovevo subito quella storia in cui esprimevo la riflessione che vi ho appena letto, mi denunciava per diffamazione. Ora, mi ha colta un po’ alla sprovvista, perché non me l’aspettavo, ma ovviamente so bene che le basi per una denuncia per diffamazione non c’erano, perché la diffamazione implica un insulto, mentre le mie riflessioni erano tutt’altro che un insulto ed erano anzi espresse con rispetto verso il lavoro di questa persona. Ma erano espresse, perché io scelgo di contestare i messaggi che non trovo rispettosi verso una categoria o l’altra, ne ho parlato anche in altri episodi, se mi conoscete lo sapete. Sulla base di questo, le ho risposto in maniera gentile, facendo notare che la mia riflessione non aveva nulla a che fare con chi l’ha creata, ma solo con il messaggio specifico. Ho cercato di mettermi nei suoi panni, ovviamente, di pensare come mi sentirei io se qualcuno esprimesse una riflessione discordante su un mio contenuto, e visto che succede in continuazione perché è normale, non potete essere tutti d’accordo con quello che scrivo, è stato facile immedesimarmi e poi io generalmente penso molto e molto attentamente alle parole che pubblico, perché so quanto le parole siano potenti, e mi prendo la responsabilità di quelle parole, quindi se qualcuno mi fa notare, per esempio, di aver mancato di rispetto o di non essere stata sensibile verso una categoria di persone, non ho problemi ad accogliere il disaccordo e anche ad ammettere l’errore.

Ma visto che vedevo molta frizione e ho imparato a ricercare l’approccio pacifico, le ho scritto che va bene, che potevo cancellare la storia e riproporre la mia riflessione senza condividere il suo Reel, ma riportandone, per esempio, il contenuto o alcune frasi che secondo me non erano valide.

Ma questo messaggio non è mai stato inviato, perché Instagram mi ha avvisata che non potevo più contattare la persona in questione e la mia storia era sparita. All’inizio pensavo che questa persona avesse fatto rimuovere la mia storia, ma ho poi scoperto e ditemi se sbaglio perché non ne sono sicura al 100% che denunciare una storia non porta alla rimozione immediata, quindi ho poi capito che la storia era stata cancellata probabilmente perché la persona mi aveva bloccata dal suo account. Se non sapete che cosa significa bloccare, visto che ho dovuto impararlo anche io vi spiego che se io ti blocco significa che tu non vedrai più i miei contenuti e anche se cerchi il mio nome su Instagram non trovi il mio account. Questo mi sembra giusto, perché spesso ci sono persone invadenti sui social che non rispettano la privacy e quindi Instagram mette a disposizione questa possibilità.

Quello che invece non mi sembra giusto: il fatto che questa persona abbia potuto censurare e far andare via con un click un contenuto non denigratorio, una mia riflessione gentile e rispettosa riguardo a un suo contenuto pubblico, a cui hanno accesso tutti, che ha centinai di migliaia di visualizzazioni, non so voi ma per me è sbagliato ed è anche pericoloso. E inoltre mi ha fatto riflettere molto su quanto sia facile mostrarsi per chi non si è sui social, quindi presentarsi in un modo per ottenere seguito nascondendo i propri veri colori.

Ma per amore del vero, sapete quanto io tenga alla correttezza e all’onestà intellettuale, dopo averci riflettuto molto credo di aver sbagliato a condividere il suo Reel per fare quella mia riflessione. E perché dico che ho sbagliato? Non per l’aver contestato quel contenuto, perché ci credo davvero che dobbiamo prendere l’abitudine di dedicare del tempo a contestare con gentilezza e rispetto contenuti che riteniamo deleteri, ma perché avrei potuto e forse dovuto farlo senza condividere il Reel, mi spiego: avrei potuto esprimere lo stesso messaggio, scrivendo esattamente quello che ho scritto esattamente come l’ho scritto, ma riportando le parole del contenuto senza condividere il Reel ed esporre chi l’aveva creato. Non mi vergogno ad ammetterlo perché credo che sia attraverso l’auto analisi che evolviamo e da questa situazione io ho imparato per il futuro.

E poi lo so che avevo detto che quella era l’ultima riflessione, ma mentre parlavo ho dato un occhio ai miei appunti e vorrei fare un’ultimissima riflessione, questa volta davvero. Non trovate anche voi, e chiedo sia alle donne che agli uomini che mi ascoltano, che spesso questi attacchi, questi giudizi avvengono tra donne, da donna a donna e non tra uomini? MI viene in mente il commento di una donna all’episodio del podcast in cui racconto la mia carriera in cui lei si analizzava e notava che quando sente una reazione negativa verso il successo altrui è più spesso quando è una donna a parlare dei propri successi, mentre con gli uomini non le capita quasi mai: e lei diceva che non sa se sia per una forma di competizione con le altre donne o per un retaggio culturale per cui non sta bene che una donna si metta in mostra.

Non ho risposte, ma mi ha colpita un concetto che ha scritto: ovvero quello della donna che si mette in mostra. Perché anche io, nel mio piccolo, ho vissuto questa esperienza al liceo, io ero una ragazza che andava bene a scuola, con un fidanzato più grande (che a quell’età ‘ste cose contano) e non mi dispiaceva stare al centro dell’attenzione, alzavo la mano per parlare se avevo qualcosa da dire o se conoscevo la risposta a una domanda, ogni anno ero la protagonista a teatro ecc ecc… ed ero stata presa di mira da un gruppetto di ragazze della mia classe, ragazze che io stimavo, tra l’altro, e a cui sarei voluta piacere quindi questa cosa non mi faceva stare bene. Le mie amiche mi dicevano di lasciarle perdere perché erano invidiose, ma ai miei occhi queste ragazze non avevano nulla da invidiare a me e nessun motivo per escludermi, anzi, pensavo che saremmo state grandi amiche e a lungo mi sono chiesta che cosa potessi fare io per essere accettata da loro. 

Oggi credo di saperlo, anche se non con certezza perché non posso tornare indietro nel tempo: credo che avrei potuto mostrare le mie insicurezze, perché le insicurezze avvicinano. E noi invece eravamo tutte molto concentrate a nascondere le nostre insicurezze. A loro probabilmente inconsciamente dava fastidio il mio “mettermi in mostra”, non perché erano invidiose, ma perché mettendomi in mostra nascondevo la mia insicurezza (che avevo ovviamente, dentor di me, come la maggior parte degli adolescenti e come tutte le persone che sembrano avere tutto sotto controllo e non parlano delle loro difficoltà e delle loro fatiche) e questo forse le faceva sentire forse scomode delle loro insicurezze, che avevano dentro di sé come la maggior parte degli adolescenti e come tutte le persone che sembrano avere tutto sotto controllo e non parlano delle loro difficoltà e delle loro fatiche. Quindi oggi ho capito che il problema non ero io e in realtà non erano nemmeno loro, non era il fatto che mi mettessi in mostra, non era che loro mi escludevano, non era la mia o la loro apparente sicurezza, ma erano le nostre insicurezze interiori che avevamo deciso di non condividere le une con le altre, che ci allontanavano: oggi le mie amiche donne che stimo di più sono tutte donne estremamente sicure di sé che però non esitano a condividere con me le loro insicurezze e questo le rende forti e ancora più belle ai miei occhi.

E certo, probabilmente ci sono molte più implicazioni dietro ai motivi che portano le donne ad attaccare altre donne, ma io credo che questa armatura di sicurezza, di invulnerabilità, di forza che la società si aspetta che ci mettiamo addosso ogni mattina prima di uscire di casa sia in parte la responsabile di tanta di questa tendenza. Ed è qualcosa che ci è stato trasmesso nel tempo, che ci arriva anche dall’educazione che riceviamo in casa, dalla credenza di non dover mostrare le nostre vulnerabilità ai nostri figli, dagli estranei che condannano il pianto e ci dicono da quando siamo piccole di non piangere, di essere forti, dando a intendere che se piangiamo, se mostriamo le nostre insicurezze non siamo forti, poi, certo, la scuola tradizionale con la competitività malsana che fomenta non aiuta affatto, ma non voglio entrare lì. 

Credo davvero che le donne che attaccano donne sono state bambine e ragazze che non hanno ricevuto gli strumenti per sviluppare la sicurezza e la fiducia in sé, che è poi ciò che ci permette di accogliere i successi degli altri. Perché non per giustificarne i comportamenti, ma semplicemente per aiutarmi a vederle sotto una prospettiva nuova e per ragionare ancora una volta su che tipo di persona voglio essere io: e io sicuramente voglio essere una donna che gioisce dei successi delle persone, donne o uomini che siano.  Ed è questo che voglio insegnare ai miei figli e per farlo so che devo coltivare la loro sicurezza di sé, se vi interessa approfondire c’è anche un episodio del podcast che si chiama Sicurezza di sé e autostima non sono la stessa cosa.

E voilà, so che è stato un episodio un po’ diverso dal solito e se siete arrivati fino qui, vi ringrazio e vi do appuntamento alla prossima settimana.

Vi ricordo che mi trovate anche su latela.com e su instagram come lateladicarlottablog.

Buona giornata, buona serata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao e siate gentili sui social.

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.