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Episodio 86 ·

Stereotipi di genere: facciamo piccole rivoluzioni / Con Zaira

Per questo episodio di Educare con Calma ho invitato una mia ascoltatrice, Zaira, a parlare di stereotipi. Ho trovato interessante iniziare la conversazione sugli stereotipi dagli adulti, parlando della professione di una donna in un ambito di predominanza maschile. In particolare modo mi ha colpita quando Zaira ha raccontato qual è l’ambito in cui ha sentito più discriminazione per la sua scelta professionale.

Non vi presentiamo una riflessione storica, politica e sociale sugli stereotipi, ma parliamo sulla base delle nostre esperienze e vi consigliamo piccole rivoluzioni secondo noi necessarie. Ho anche pubblicato un post riassuntivo.

:: Dove trovate Zaira

Sul suo blog: Zaira Racconta

E vi consiglio anche questo suo post: Rientro al lavoro dopo la maternità

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Io non faccio pubblicità e non accetto sponsor, perché le pubblicità alimentano il consumismo e in più mi danno fastidio (quindi non voglio fare a voi una cosa che dà fastidio a me). Se vi piace il mio podcast e volete aiutarmi a mantenerlo vivo, potete aiutarmi a diffonderlo lasciando una recensione sulla piattaforma dove lo ascoltate e/o acquistare uno dei miei corsi o prodotti:

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  • Storie Arcobaleno – una guida per il genitore + libro stampabile per bambini per abbattere i tabù sulla diversità sessuale e di genere.
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Zaira
Bordighera, Liguria · Nico (4)
🌱 Aiuto famiglie a sradicare stereotipi 📝 un racconto alla volta 👩‍🔧 Ingegnera meccanica attiva nel campo della meteorologia 👨‍👩‍👦 Famiglia di tre 💻 www.zairacconta.com

Carlotta:
Benvenuti e benvenuti ad un altro episodio di Educare con calma.
Oggi parlerò di stereotipi e lo farò con Zaira una mamma svizzera che si è offerta di raccontarmi la sua esperienza di donna in un mondo maschile, quello dell’ingegneria meccanica, e di come l’ha vissuta, di come questa esperienza abbia anche modellato la sua mentalità nella sua educazione di sua figlia. 
Sono convinta che sarà una bella conversazione interessante, ma non abbiamo davvero pretese perché personalmente lo sento un episodio molto difficile in quanto non mi sento pronta a parlarne, anche se mi preparo da anni e studio e faccio ricerca e ricerco consapevolezza con i miei figli, questo per me in realtà è un argomento scomodo, è un argomento per cui io sento di uscire molto dalla mia zona di comfort.  Magari userò parole sbagliate, magari non saprò esprimere i concetti bene come vorrei, magari rimarremo, o meglio, rimarrò in superficie, ma comunque ho deciso di lanciarmi e di accettare questa offerta di Zaira perché credo che sia importante iniziare questa conversazione. 
Come ha detto lei è un po’ un rompighiaccio, per cui niente di meglio che farlo con una persona la cui esperienza mi può insegnare qualcosa e mi può insegnare più consapevolezza, e sapete che io sono sempre pronta a braccia aperte a imparare qualcosa di nuovo.  Non mi rimane che dare il benvenuto a Zaira, grazie per avere accettato la mia proposta a registrare questo podcast.

Zaira: 
Grazie a te per l’ospitalità. Sono molto emozionata perché ammetto che questo è il mio primo podcast in assoluto nella mia vita. E tra l’altro anche io sono fuori dalla mia zona di comfort non per il tema, ma per questa mia emozione rispetto all’intervista.

Carlotta:
Allora partiamo proprio da te. Racconta la tua esperienza di donna in un mondo maschile.

Zaira:
Anche io premetto che userò dei termini magari sbagliati o inappropriati e non voglio ferire nessuno e se adesso diciamo mondo maschile non intendiamo che lo debba anche essere, ma è vero che a livello statistico il mio mondo in cui io lavoro è un mondo di dominio maschile, questo è un dato di fatto.
Io ho studiato Ingegneria meccanica al Politecnico federale di Zurigo. Quindi mi sono laureata nel 2013 e subito dal 2013 sono stata attiva nel mondo scientifico perché ho iniziato con quattro anni nell’industria dei motori, ricerca e sviluppo di motori a combustione interna e diesel, ma mi sono accorta abbastanza in fretta che quello non era un ambito in cui volevo vedermi in futuro.
Ci sono finita con prospettive di migliorare questi motori, i consumi e le emissioni, ma ho capito presto che non era abbastanza verde come ambiente, perché io sono abbastanza pro clima quindi ho fatto una mossa laterale da un punto di vista professionale e sono finita a lavorare nel campo della meteorologia e della climatologia. 
In Svizzera già a partire dal Liceo si sceglie tra curricula diversi pur restando tutti all’interno di una stessa sede, mentre in Italia è leggermente diverso e si deve scegliere tra diversi Licei, linguistico, scientifico e così via. E sin dai tempi del liceo io mi sono un poco differenziata dalla maggior parte delle altre donne perché scelsi un curriculum scientifico, che si chiamava, fisica e applicazioni della matematica. Quindi già lì, eravamo solo 4/5 donne su una classe di 20/25 allievi. Ed è lì che iniziata la mia strada verso un mondo di dominio maschile, già dal Liceo.
E poi sono andata al Politecnico dove nel 2007 quando ho iniziato il mio percorso di studi facevo parte di un piccolissimo 7% di donne che avevano iniziato quel percorso. 
E poi sono andata appunto a lavorare nei due ambiti di cui parlavo prima e questo mio essere sin da subito immersa in un mondo di dominio maschile ha fatto sì che più o meno inconsapevolmente abbia maturato una certa esperienza dell’essere e del rappresentare una eccezione. All’inizio non lo notavo, ma poi l’ho sempre più notato e questo notarlo mi ha portato tantissimo a interrogarmi sul perché, su cosa fa sì che io sia un’eccezione e, passatemi il termine, mi sono sentita spesso eccezionale pur non sentendomi io stessa eccezionale, erano i numeri e le statistiche a mostrarmi questa mia eccezionalità, che però io non percepivo. 
Quindi la mia esperienza in questo mondo è stata piuttosto di rendermi conto che io in questo mondo ero un’eccezione e sull’interrogarmi del perché, come mai i numeri sono così schiaccianti e per me è una cosa quasi incredibile, affascinante, ma anche preoccupante. Ho preso sempre più consapevolezza fino al giorno in cui ti ho scritto e ho pensato di parlare di questo tema ed era un giorno in cui avevo davanti a me questo grafico e avevo i numeri scritti nero su bianco di quante donne studiano ingegneria meccanica ogni giorno in Svizzera.
Mi sono detta non è possibile, bisogna fare qualcosa, quando ho iniziato eravamo il 7% ora i numeri sono un poco migliorati e siamo al 12%, però da allora sono passati 13 anni e quindi in 13 anni il cambiamento non è stato così valido e io mi dico che non può essere solo un fattore legato alla biologia, non può essere solamente il fatto che io sia donna e l’altro sia uomo a fare sì che questi numeri siano così sbilanciati. 
È chiaro che io sto parlando del mio mondo, di quello che conosco, ingegneria meccanica, ma gli stessi discorsi si potrebbero fare in molti altri ambiti scientifici, matematica fisica ad esempio, piuttosto che in altri ambiti più di dominio femminile come ad esempio potrebbe essere quello della cura, della infermieristica, dell’insegnamento a livello delle scuole materne e scuole elementari, che, dalle nostre parti, è ancora di dominio femminile.

Carlotta 8,59
Dici che ti sei sentita eccezionale tra virgolette, pur non sentendoti eccezionale, ma solamente perché erano i numeri a dirlo. 
Come ti sei sentita invece all’interno di questo ambito? Ti sei sentita magari a volte lasciata da parte dai tuoi colleghi, ti sei sentita magari non completamente accolta?
Come ti sei sentita?

Zaira: 9,39
La cosa interessante è che io non posso entrare nel cervello delle altre persone non so cosa loro abbiano pensato nel loro cervello di me, però all’interno di quello che io ho percepito, quello che io ho sentito non è stato di valere meno o di essere discriminata in qualche modo dai miei colleghi e dai miei pari, ho sentito più discriminazione o comunque stupore, e questo per me parla di una certa discriminazione verso la donna, al di fuori del mio ambito quando qualcuno non sa come sia il mio mestiere o quando qualcuno sente per la prima volta quale sia la mia professione.
In quei momenti lì mi sono sentita discriminata in quanto donna, perché quegli occhi sgranati per me significano, “ma come, tu sei una donna e hai studiato ingegneria meccanica e per giunta ti sei laureata e per giunta hai un mestiere in questo ambito?, ma come?”.
In questo senso si, però dal momento che la gente prende coscienza del mio ruolo e della mia professione, come con i miei colleghi ho sempre avuto rapporti paritari.

Carlotta 11,00
Secondo te e magari è una domanda banale, ma tu pensi sia un ambito in cui davvero una donna su 1000 ce la fa, o è un ambito in cui semplicemente le donne non pensano di entrare.
Perché c’è questa grandissima differenza?

Zaira: 11,17
Assolutamente la seconda!
Non è una donna su 1000 ce la fa, ma è proprio che le donne non si iscrivono a questi corsi. Dopo anni, ed è la ragione per cui ti ho contattato, dopo anni che mi interrogavo sul fatto che io fossi una di poche, la mia risposta è andata sempre indietro nel tempo e torno alla mia educazione. E penso che sia proprio una discussione che possa valere in generale.

Carlotta 11,49
Parliamo di educazione. Mi sembra che si arrivi lì, ed era la domanda successiva, perché se è vero che sono le donne a non scegliere queste carriere probabilmente è perché arrivano da un tipo di educazione in cui magari viene fatto credere loro che non sono in grado di scegliere queste carriere, o che ci sono carriere più adatte alle donne, come accennavi prima all’insegnamento che è una di quelle a predominanza femminile.
Come si è convertita dunque questa tua esperienza, questa tua sensibilità nell’educazione di tuo figlio?

Zaira: 12,31
È proprio come dici, mi sono resa conto io stessa, da mamma, quanto sia facile, senza volerlo, mettere un figlio o una figlia su un dato binario, appioppargli una data etichetta, inscatolarlo in una determinata scatola. Non si penserebbe che al giorno d’oggi siamo ancora a questi livelli alle nostre latitudini, ma purtroppo è così ed è un dato di fatto.
Ho tanto pensato alla mia educazione e quindi faccio un passo indietro prima di parlare dell’educazione che ho dato a mia figlia ho riflettuto sul mio tipo di educazione ricevuta e quali sono i fattori che hanno fatto sì che io abbia scelto questa strada piuttosto che un’altra. In primo luogo io credo di aver avuto la fortuna di avere un nonno molto speciale che non c’è più, lui era un insegnante di fisica e ha avuto da sempre un approccio alla fisica e alla scienza molto sperimentale e quindi lui mi ha coinvolta fin da bambina nei suoi esperimenti. Magari per esempio se fuori faceva  0° siccome avevamo una fontana in giardino mi ci portava, perché lui voleva farmi vedere con i miei occhi le cose.
Mi ha insegnato la fisica attraverso l’esperienza e questa, se vuoi, è una velata critica al modo in cui si insegnano queste materie, troppo poca pratica, e devo dire che quanto tu Carlotta spieghi di Montessori è molto coerente con questa mia visione dell’insegnare le materie cosiddette dure e ostiche in una maniera che ostica non è, e dura non è , quindi facendo vedere, facendo provare, facendo testare, con le proprie mani e con i propri sensi quello che potrebbe essere una formula scritta sulla lavagna che non ti dice niente e che ti entra da una parte e ti esce dall’altra.

Carlotta 15,07
Infatti non so se tu conosci i materiali Montessori, ma tutti i materiali Montessori sono manipolabili e sono fatti per spiegare determinate regole che  le insegnanti scrivono alle lavagna e che l’allievo deve imparare a memoria. Io queste regole le ho tutte imparate a memoria e oggi che ho scoperto i materiali Montessori finalmente le capisco. Ed è veramente una scoperta grandissima perché se io avessi potuto imparare la matematica così, io avrei adorato la matematica, avrei adorato la fisica, avrei adorato le materie scientifiche, cosa che sì, ero bravina, ma soltanto perché studiavo molto e non perché le capissi. E invece è proprio quello che dici tu, perché Montessori ha un approccio sensoriale. Maria Montessori aveva capito che i bambini sono studenti sensoriali e che hanno bisogno di questo approccio per imparare.

Zaira 16,01 
Mio nonno aveva esattamente questo approccio quindi la mia prima fortuna è stata avere un nonno con tanti materiali per aiutarmi a studiare la matematica e la fisica. 
E la seconda fortuna è che mio nonno non ha pensato, questa è una bambina per cui certe cose non gliele devo insegnare, non mi ha trattata facendo distinzioni, anzi, magari ha visto che io ero abbastanza ricettiva e quindi mi ha coinvolta molto in questi esperimenti.
E questi sono stati i due fattori principali. 
E poi c’è anche il fatto che i miei genitori mai mi hanno bloccata dicendomi guarda che forse ingegneria meccanica non fa per te, forse dovresti scegliere altre strade, da questo punto di vista sono stati molto aperti e non mi sono mai sentita strana in famiglia per gli studi che ho scelto.

Carlotta 17,06
E tutto questo come si è tradotto poi nell’educazione di tuo figlio? Credo che tu abbia una sensibilità di partenza molto più grande rispetto agli stereotipi di genere che sono gli stereotipi di cui parliamo oggi, più di quanto possa ad esempio averla io che non ho vissuto un mondo professionale di predominanza maschile.

Zaira 17,42
E questa mia esperienza di lavoro, mi ha fatto capire che non è facile crescere un figlio, diciamo così, neutro, cioè cercare di non passare ai nostri figli degli stereotipi perché con tutta la consapevolezza che posso avere, io faccio fatica a non mettere mio figlio su un dato binario, o ad evitare che la società, o la gente che sta attorno a lui lo metta su questo altro binario, un binario con scritto uomini da una parte e donne dall’altra.
È difficile.

Carlotta 18,34
Non è difficile, è impossibile! 
Già soltanto, per fare un esempio, entrando in qualsiasi negozio di abbigliamento, ci sono le magliette con gli astronauti razzi e calciatori per i bambini e le magliette con gli unicorni le principesse e le ballerine per le bambine femmine. È ovvio che i bambini vengano attirati da uno piuttosto che dall’altro, io l’ho visto con i miei figli nonostante abbia cercato di non passare questi stereotipi di genere.
È esattamente come dici tu, difficile, se non impossibile.

Zaira 19,09
Infatti. Ci sono un paio di aneddoti carini che vi racconto parlando di Nico mio figlio. Quando Nico era troppo piccolo per decidere lui stesso un colore o altro, io ho iniziato almeno in casa, con le cose che non vengono subito giudicate dalle persone, a scegliere il biberon, il sacco-nanna, il ciuccio, di colore rosa, proprio per normalizzare l’utilizzo del rosa anche verso il mio bambino maschio.
Sto dicendo queste cose che vengono da me, dal mio cervello sulla base della mia esperienza, pur non avendo letto niente su questo. Come dicevo ho iniziato a sradicare lo stereotipo del rosa uguale femmina e blu uguale maschio, e sono partita dalla casa. E ricordo di avere fatto un discorso con mia mamma alla quale facevo notare come questa cosa fosse consumistica e in quel frangente dissi che quasi quasi pensavo di comprare un body rosa a Nico, e mia mamma mi rispose, ma no, lascia perdere. Ed io penso di venire da una famiglia aperta, ma ho dovuto quindi confrontarmi con mia mamma anche se poi ho comprato un body rosa antico che mi piaceva. Diciamo che ho fatto la mia piccola rivoluzione.

Carlotta 21,05
Capisco quando dici che hai fatto una piccola rivoluzione perché effettivamente sono delle piccole rivoluzioni. 
Come quando noi abbiamo scelto di comprare gli spazzolini e li abbiamo presi apposta a Oliver di un colore stereotipaticamente femminile e a Emily di un colore stereotipaticamente maschile.
È cambiato qualcosa?
No. 
Perché la società è talmente forte fuori che anche loro hanno iniziato ad associare il rosa alla bambina e il blu al maschietto. E questo sono sicura che non arriva da me e faccio un passo indietro perché quando era piccola ci sono stati regalati infiniti vestiti per Emily tutti rosa e non so se già quando lei era piccolina questa cosa la notasse, ma certamente era già nella mia mente provare a combattere questi stereotipi, almeno quelli del colore.
Non so dirti se ce l’ho fatta. 
Tu ce l’hai fatta?

Zaira 22,12
Nico ha poco più di due anni e quindi riesce a scegliere ed è anche abbastanza loquace. Ad esempio adesso volevamo comprargli delle cuffie per il lettore MP3 e c’erano sei colori tra cui scegliere e lui ha scelto un fucsia e quindi noi glielo prenderemo fucsia. 
Con questo io non mi illudo perché lui ha due anni e ancora non va all’asilo e non è assolutamente detto che quando ci andrà o sarà alle elementari, vorrà lo zainetto rosa. E, se lo vorrà, io sono consapevole che un giorno Nico tornerà a casa piangendo perché  l’avranno preso in giro per via che aveva uno zainetto rosa come le femmine. Non ho le fette di salame sugli occhi e non ho pretese di cambiare il mondo da subito, ma credo che se tutti ci mettessimo dei piccoli obiettivi verso queste direzioni, la società in cui domani i nostri figli saranno immersi sarà un pochettino più flessibile almeno con riguardo a questi stereotipi.
Sono abbastanza ottimista e credo che ogni piccolo passo fatto da ognuno di noi in questa direzione abbia un valore.

Carlotta 23,30
Assolutamente.
Anzi ha un valore immenso!, anche perché se non iniziamo non possiamo procedere, se non diamo quel piccolo passo a ogni ambito in cui teniamo, che sia l’educazione, la sostenibilità, gli stereotipi, l’educazione sessuale, o qualsiasi tipo di tabù che vogliamo rompere, se non iniziamo a farlo con conversazioni come queste non possiamo pensare di iniziare perché non stiamo sviluppando la consapevolezza. E secondo me è tutta una questione di consapevolezza. 
Che poi ci si riesca o meno, che poi la società sia più forte o meno, e mi sono fatta questa domanda infinite volte, ma se tu educhi Montessori a casa e poi escono nel mondo reale..., il fatto è che non è il mondo reale contro il mio mondo a casa, ma sarà  tutto il loro mondo reale che sarà fatto di Montessori e di non Montessori. 
Come il mondo reale di Nico e dei miei figli è fatto di stereotipi e di non stereotipi, e dovranno fare il loro bilancio e ad un certo punto arriveranno a farlo e a prendere le loro decisioni. Ma secondo me se riusciamo a crescere adulti sicuri di sé probabilmente avranno molti strumenti in più di noi e molti più strumenti in più di quelli che noi pensiamo per non tornare a casa piangendo perché è stato preso in giro perché aveva lo zainetto rosa. 

Zaira 24,54
O magari tornerà a casa piangendo perché l’avranno preso in giro, ma gli avremo passato abbastanza mezzi per superare la cosa senza essere traumatizzati.
È da questo pensiero che ho pensato a te, perché comunque il tipo di educazione e i valori che tu cerchi di tramandare e di spiegare attraverso i tuoi corsi e i tuoi podcast sono in linea con quello che io vorrei, con quello che io credo che i bambini necessitino come bagaglio personale per potere abbattere questi stereotipi a testa alta senza sentirsi per questo, passatemi il termine, da femminuccia o da maschiaccio.
E saranno in grado di giudicare da sé che chiamare femminuccia qualcuno perché ha uno zainetto rosa, non è qualcosa a cui dare peso. Chiaramente il mio tipo di educazione non si ferma al colore.

Carlotta 26,05
Ovviamente parliamo di colore perché è la conversazione più semplice ed è una conversazione metafora perché si estende a tantissimi altri ambiti.
Io ricordo una ricerca in cui chiedevano a degli adulti uomini e donne di mostrare, “come corre una bambina?”. 
E allora gli adulti si mettevano a correre come una ballerina.
Poi hanno invitato dei bambini, dai quattro anni in avanti, ma piccoli e hanno chiesto loro, “come corre una bambina?”. E questi bambini li guardavano straniti e allora loro hanno chiesto di fare vedere come corre una bambina e sia i bambini che le bambine si sono messi a correre normale, come quando si rincorrono nel patio.
E questo era per dire che è così che corre una bambina. Perché abbiamo queste parole e queste frasi sulla bocca ogni giorno e se non sviluppiamo questa consapevolezza e quest’orecchio alla frase, non possiamo cambiare il linguaggio e se non cambiamo il linguaggio non possiamo cambiare l’educazione.

Zaira 27,27
Ti racconto le misure, chiamiamole così, che sto mettendo in atto per cercare di passare meno stereotipi possibili e uno di questi temi è proprio quello della lingua.
Mi sono data una regola che può sembrare banale, ma non lo è, ed è quella di levare per quanto possibile parole come, donna uomo bambino bambina maschio o femmina, da quello che dico. A me riesce abbastanza semplice, ma appena l’altro giorno Nico non voleva dare il bacio a suo nonno e gli è stato detto, “Ah, ma tanto voi siete maschi”, …se avessimo tutti la regola di non dire maschio questa frase non sarebbe stata detta. 
Oppure la vicina di casa che vede Nico piangere e gli dice, “ma tu non piangi sei forte, sei un maschio”. Con questa regola ci si morde la lingua ben più di una volta. 

Carlotta 28,40
Ben più di una volta al giorno! 
Devo ammettere che a me ha aiutato molto la lingua inglese perché noi in famiglia parliamo questa lingua e la lingua inglese in questo caso è neutra e questo mi aiuta tantissimo a fare delle comparazioni al modo di parlare che ho in italiano. 
E spesso e volentieri sull’onda di questa riflessione che hai appena fatto, io dico persona e allora persona può essere qualsiasi tipo di persona e poi per me questa riflessione è nata più sui miei studi per la diversità di genere, ma quella che hai appena detto è una regola d’oro ed è un consiglio che si può mettere in atto subito. 
E come dici tu, ci si può mordere la lingua centinaia di volte al giorno, ma funziona da subito.

Zaira 29,50
Un altro errore che mi è capitato di fare nonostante la mia consapevolezza è legato al tema della persona.
Per esempio, stiamo passeggiando io e Nico e vediamo un furgone di un giardiniere, e anche questo è un mestiere stereotipaticamente maschile, e ho detto a Nico, guarda un giardiniere. E quando mi rendo conto che ho sbagliato a parlare, mi fermo e poi aggiungo, o una giardiniera.
Oppure facciamo il gioco dove io domando: “pensi che sia un giardiniere o una giardiniera?” Soprattutto su quei mestieri stereotipati cerco di dargli un’apertura mentale …
Per il tema della lingua avevo anche tutta la questione dei libri, ma ho visto che tu lo hai già affrontato con Francesca Cavallo.
Però ad esempio la storia della Buonanotte inventata da me, e preferita da Nico è, Martina l’ingegnera. In realtà sono io, ma le ho cambiato nome, e c’è questa Martina che va a lavorare per risolvere i problemi ai sistemi di misura. Quindi per Nico la cosa che una donna possa essere una ingegnera è normale sin da subito.

Carlotta 31,30
La cosa interessante parlando di mestieri e che in realtà al giorno d’oggi ci sono mestieri stereotipati, ma ci sono sia donne che uomini che fanno tutti i tipi di mestiere possibile, se noi pensiamo al calcio, ed è una banalità, lo pensiamo solo maschile, ma ci sono delle grandissime campionesse calciatrici nella storia del calcio e io ho adorato scoprirle con i miei figli, e allo stesso modo ci sono dei ballerini di danza classica eccezionali. E quindi è una questione di fare attenzione a quando noi stessi, noi genitori, noi adulti stiamo stereotipando dei mestieri e fare proprio come hai fatto tu, giardiniere o giardiniera...
C’è sempre questa soluzione che si può adottare ed è vero magari che ci si mette un po’ di più e ci va consapevolezza, ma a lungo termine secondo me questo è l’approccio anzi no e l’unico approccio!, non è l’approccio migliore, ma è proprio l’unico se vogliamo lasciare un mondo diverso ai nostri figli. 

Zaira 32,49
Sentendoti parlare di ballerini classici piuttosto che di calciatrici, una cosa che a me aiuta molto, ed è in linea con quanto insegni tu, è partire da se stessi. 
Perché spesso noi diciamo ai nostri figli che possono essere quello che vogliono, ma poi io mi chiedo, intendiamo veramente quello che stiamo dicendo? E davvero se un giorno tuo figlio verrà a casa a dirti che vorrebbe fare balletto, tu sei pronto a dire di sì? 
Visualizzare certe scene per essere pronti ad accusare il colpo, perché non nego che può essere anche uno choc vivendo in questa società, ti può aiutare a reagire al meglio e può abituarci anche a questa idea, altrimenti non saremmo pronti e rischieremmo di fare danni per il prossimo.

Carlotta 33,48 
E questo per me vale in tutti gli scenari della genitorialità, nel senso che se noi vogliamo parlare in maniera rispettosa evitando minacce, evitando castighi, evitando punizioni con i nostri figli, l’unico modo che abbiamo e fare le prove prima, non possiamo arrivare nel momento clou di crisi di nostro figlio che ha rotto il vaso o rovesciato il latte o altro e dire le parole giuste se nella nostra mente non abbiamo pensato le parole da dire.
Mio marito mi dice “tu stai evolvendo continuamente” e me lo dice, però, in maniera negativa perché sono così seria e penso sempre così tanto …
E io gli dico che l’unico modo che conosco per evolvere è questo, che non posso evolvere in altro modo, non conosco un altro tipo di evoluzione e lo so che questo a volte mi fa risultare seria, pesante e magari non divertente, ma questo è il modo che conosco per evolvere adesso e ho bisogno di fare questa evoluzione perché i miei figli hanno quest’età solo questa volta nella loro vita.
Quindi devo farlo.

Zaira 34,50
E mi sono resa conto di quanto presto questi stereotipi entrano nella vita dei nostri figli. Mio figlio già ora categorizza, e magari me lo potrai confermare tu che a due anni hanno questa voglia. 
Sta di fatto che l’altro giorno lui ha detto, “mamma non beve caffè” poi ha taciuto un attimo e ha aggiunto, “perché è una femmina”, io sono rimasta sorpresa, ma ho risposto che non era vero e ho tirato fuori qualche esempio di donne tipo la nonna Paola e la nonna Eva che bevono caffè. Però ammetto che sono rimasta allibita da questa frase, da questa conclusione.
Lui per sua natura sta cercando comunque di capire cosa vuol dire essere una donna e cosa vuol dire essere un uomo.

Carlotta 34,54
Però è vero quello che hai detto, più vanno avanti, più comincia ad avvicinarsi il momento in cui l’aspetto sociale prende un’importanza grandissima dentro di loro. E cosa significa sociale? Appartenere a un gruppo e per questo si chiedono chi sono e qual è il loro gruppo.
Mi ricordo un paio d’anni fa in Indonesia eravamo sulla barca diretti alle isole di Gili e mio figlio ha detto, no questo è un maschio perché ha i capelli corti e io sono rimasta scioccata perché non era una frase che ci apparteneva e lo aveva certamente colto nel mondo fuori casa, anche se viviamo insieme ventiquattr’ore al giorno.
E allora gli ho spiegato che non sempre è così.  
Lui mi ha detto però che lui e papà hanno i capelli corti, mentre io e Emily li abbiamo lunghi, un discorso che aveva senso. Quindi noi come famiglia in questa cosa dei capelli siamo stereotipati.
Poi puro caso è successo che quando siamo arrivati sull’isola di Gili tutti gli uomini, i ragazzi e i bambini maschi, avevano i capelli lunghi e io gliel’ho fatto notare.

Zaira 37,31
Questa questione è successa anche a me e anche io mi sono interrogata già solo per il fatto che in famiglia io ho i capelli lunghi e mio marito corti. Mi sono chiesta cosa potevo fare a riguardo e mi sono anche resa conto che i libri per bambini non hanno una fisionomia così bene definita che permetta di  capire se un personaggio è un maschio o una femmina, i lineamenti sono molto simili, non c’è la barba, non c’è la voce, quindi sui libri per bambini si possono facilmente scambiare i maschi per le femmine, e sui libri spesso sono proprio solo i capelli e i vestiti che fanno capire se il personaggio è maschile o femminile.
Ma io stessa quando nel libro vedo un personaggio con i capelli lunghi dico, la bambina, e se ce li ha corti dico, il bambino.
E quindi ecco dove casca l’asino, ecco Zaira dove puoi migliorare, per una volta dovrò dire che la figura con i capelli lunghi è un bimbo e può essere che Nico non dica niente, oppure che apriremo una conversazione proprio su questo.

Carlotta 39,18
In realtà la cosa vera e propria me l’hai scritta tu nella mail ad un certo punto, mi hai detto che noi possiamo educare all’empatia, ma siamo comunque e inconsapevolmente e intrinsecamente sessisti e razzisti e omofobi perché questa è la cultura in cui cresciamo, purtroppo. E non vogliamo giudicare, criticare, puntare il dito, però dobbiamo essere consapevoli che non tutti sanno davvero analizzarsi e capire che tantissime delle frasi che diciamo in un giorno sono stereotipate e arrivano da noi e accade anche quando non sappiamo di esserlo e pensiamo di essere aperti mentalmente. Io ricordo un giorno a Parigi e quel giorno ha cambiato tutta la mia visione sugli stereotipi e di me stessa. Abbiamo preso la metropolitana e dovevamo sbucare in una piazza e invece siamo sbucati in una strada che era un quartiere di persone nere e tutti erano neri.
Io in quel momento mi sono sentita scomoda e a disagio e impaurita, ho sentito senza una ragione, non solo di non appartenere, ma di avere paura, di queste persone, io che parlavo ai miei figli dell’importanza di non discriminare il colore della pelle, io che gli compravo i libri sul colore della pelle, …io in quel momento mi sono sentita a disagio e questo ha detto tutto di me, ed è questa la consapevolezza di cui abbiamo bisogno, analizzarci perché se non lo facciamo non possiamo educare all’empatia e alla consapevolezza.

Zaira 41,24
Completamente d’accordo e di nuovo torniamo a quanto dici tu tante volte, il lavoro deve partire da noi stessi non possiamo dare a qualcuno qualcosa che non abbiamo noi essere consapevoli è già tanto, essere consapevoli di questo nostro limite è importante, va fatto un lavoro su se stessi grandissimo per cercare di minimizzare questi nostri pregiudizi come quello che hai raccontato tu, è una cosa che succede e già solo parlarne in famiglia serve.

Carlotta 42,20
Maria Montessori lo spiega, non possiamo dare qualcosa che non è dentro di noi. Non possiamo educare dalla consapevolezza e dall’accompagnamento come dovremmo educare.
Quindi, facendo un riassunto della situazione.
Oltre agli spunti bellissimi che hai già dato, perché ci hai fatto esempi concreti per combattere questi stereotipi, hai appena rammentato il fatto che non si possa parlare di uno stereotipo senza parlare degli altri o dei pregiudizi, perché è tutto collegato e una volta che cresci e vedi non puoi non vedere.
Quindi riassumo cosa hai detto:
-di evitare le parole uomo donna bimbo bimba femmina o maschio, e questo è un esercizio che diamo oggi a chiunque ci stia ascoltando e proviamo a fare questo sforzo.
-hai dato una bellissima idea per parlare di mestieri e quindi se ci scappa detto il giardiniere dovremmo anche ricordare di continuare la frase aggiungendo… oppure una giardiniera. 
-e negli sport allo stesso modo possiamo andare a vedere in Internet la categoria all’opposto quindi femmina se lo sport è maschile, e viceversa.
-e poi partire da noi stessi, quindi sviluppare consapevolezza delle frasi che diciamo nel quotidiano e questo parte da come utilizziamo i libri fino a come utilizziamo le parole.
-E a proposito di libri hai detto che possiamo ogni tanto cambiare, e raccontare di un bambino anche se il libro lo vuole come bambina, perché questo aiuta tantissimo e aiuta e permette domande nella loro mente. In quanto noi non dobbiamo fare domande, ma dobbiamo semplicemente avviare delle conversazioni nella loro mente.
E adesso, hai altri trucchi?

Zaira 45,14
Sì ne avrei diversi, ma abbiamo già parlato di tanto e ci sono gli esempi più pratici che sono quelli di vita quotidiana.
E anche tu che hai fatto il tuo business iniziato da te è certamente un esempio utile per i nostri figli. E io l’ho messo in pratica con mio marito perché abbiamo deciso di voler essere entrambi sia genitori che professionisti. E ci siamo divisi il lavoro 50 e 50 più o meno, sia di cura del bambino che della professione e con il nostro esempio già mostriamo questa cosa a nostro figlio e mi rendo conto che questo sia un privilegio è che non è possibile per tutti, quindi ci sono anche una serie di cose che si possono fare nel quotidiano senza dover per forza dividerci il ruolo di cura del bambino 50 e 50 o piuttosto il mestiere.
Ad esempio se la mamma è una casalinga che sta a casa e non ha un mestiere fuori, si devono trovare dei momenti in cui si possono dividere i compiti in maniera non stereotipata quando  mamma e papà sono in casa, ad esempio mandiamo la mamma va a vangare l’orto e ripara la lavastoviglie mentre il papà fa il bucato e rammenda. O io e mio marito banalmente scegliamo gli asciugamani a colori invertiti, io blu e mio marito rosa e poi sbagliamo perché non siamo abituati... 
E questo rifletterlo anche sulle attività di vita pratica dei bambini, cucina sia il bimbo sia la bimba, entrambi giocano con le macchinine o martellano o vestono le bambole.
Ma l’ultimo grande tema che non abbiamo toccato è tutta la questione delle emozioni, soprattutto se il figlio è un maschio, abituarlo a parlare delle proprie emozioni, dell’essere intimorito, dell’avere paura.
Io ricordo mio figlio disperato che tra sé e sé ripeteva, “piangere fa bene, piangere fa bene” e lo faceva perché io gli dicevo che piangere fa bene e che può piangere. 
Puoi fare un intero episodio del podcast su questo.

Carlotta 48,39
Sì ,e così entreremo nel vivo della società perché anche se noi non usiamo queste frasi, come dicevi tu prima, la società queste frasi le usa , “no dai, sii forte i maschi non piangono”, queste sono frasi sulla bocca di tutti e quindi è veramente questione di continuare a generare consapevolezza e soprattutto prepararsi una risposta a queste frasi, perché quando questa persona dice “i maschi non piangono”, siamo noi genitori che dobbiamo dare l’esempio ai nostri figli e se siamo presenti possiamo dire “non è vero che i maschi non piangono, la tristezza è un’emozione e ognuno le esprime come meglio crede e se ci si sente di piangere quando si è tristi o arrabbiati lo si fa, che si sia maschio o femmina.

Io lo faccio spesso rivolgendomi ai miei figli e facendo in modo che la persona che ha parlato ci senta, e aggiungo, vero Oliver?
È un tema ampissimo non possiamo entrarci oggi, e poi chiediamo scusa, o almeno io chiedo scusa e so che tu Zaira ti unisci perché abbiamo probabilmente detto 1 milione di strafalcioni, ad esempio io ho parlato di una famiglia di mamma e papà e anche questo è uno stereotipo, ho stereotipato una famiglia classica , ed è un gatto che si morde la coda, dobbiamo reimparare a parlare e dobbiamo farlo poco a poco anche noi che stiamo parlando di questo argomento e soprattutto speriamo che ci accolgano, perché è difficile parlare di stereotipi senza stereotipare in primis. Però ti ringrazio Zaira, è stata una conversazione bella che pianterà tantissimi semini.
Grazie.

E prima di salutare tutti sperando che questa conversazione sia piaciuta tanto a voi quanto è piaciuta a me, volevo riflettere sul fatto che non si deve perdere occasione di parlare con i bambini di stereotipi e di tutto quello che noi vediamo attorno a noi, dai vestiti chiedendo perché il bambino non dovrebbe scegliere il rosa o mettere la maglia con sopra l’unicorno?, a riflessioni più profonde come le discriminazioni realizzate sugli stereotipi di genere, per capire da dove arrivano e quando hanno avuto inizio nella storia, oppure per esempio se troviamo in due o tre libri per bambini la stessa scena, il papà va al lavoro e la mamma pulisce la casa,  possiamo domandare perché è la mamma che cucina e così spiegare che questo è uno stereotipo.
Nella nostra realtà è mio marito che cucina, nella famiglia dei nonni loro due cucinano spesso insieme. 
Parlarne è importante.
E spiegare che in tante famiglie l’uomo non cucina perché in passato la responsabilità era della donna e che tante famiglie non si sono ancora aggiornate ai nuovi tempi.
E spieghiamo che se per esempio solo il papà lavora e la mamma sta a casa con i bimbi, è la mamma che cucina e il papà trova la cena pronta quando torna a casa la sera, ma che anche questo è uno stereotipo perché la casa e i figli sono la responsabilità di entrambi genitori e quindi entrambi i genitori devono esserne responsabili. Anche perché spesso in questa dinamica il papà va al lavoro e ha il lusso di scollegare la mente dalla famiglia, dai figli e dal carico mentale della casa e quindi dovrebbe ancora di più partecipare alla responsabilità della famiglia quando è a casa. 
Noi come famiglia tutte queste conversazioni le abbiamo ogni giorno con i bambini perché crediamo sia importante parlarne con loro e ovviamente per offrire questo tipo di conversazione dobbiamo prima di tutto noi adulti "informarci noi e formarci".
Ma queste sono conversazioni davvero fondamentali che dobbiamo avere in famiglia perché purtroppo i bambini non le trovano né nella società, né nella scuola tradizionale, e anche fuori da casa queste conversazioni non ci sono. Quando invece se ne parla saranno poi i bambini stessi a volere contestare questi stereotipi come ad esempio è successo recentemente perché siamo andati a comprare una maglietta da mettere sotto la tuta da sci e Oliver a scelto il rosa e Emily il blu e hanno proprio detto il rosa non è solo per le femmine e il blu non è solo per i maschi, quindi qualche semino piantato di queste conversazioni germoglia.
I bambini sono ricettivi e hanno una capacità immensa di capire i concetti importanti e difficili e per questo non apprezzo quando sento le persone che dicono che i bambini piccoli non capiscono perché non c’è niente di più sbagliato, a qualsiasi età. 

E basta. 
Con questo vi saluto.

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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