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Episodio 128 ·

I bambini specchio esistono? (e riflessioni sui bambini che "sfidano" i genitori)

In questo episodio di Educare con Calma rifletto su una domanda di un genitore: mi chiede se esistono i bambini specchio e se è un problema che suo figlio si senta al pari dei genitori. Vi offro anche alcune domande sulla rabbia dei bambini, perché a volte le domande sono più importanti delle risposte.

Trovate il video dell'episodio su YouTube a questo link: i bambini specchio esistono?

Oggi ho decido di parlare della domanda che mi ha inviato un genitore che mi ha ispirata. Vediamo dove mi porta oggi la ragnatela di pensieri.

Questo genitore Mi chiede come domanda iniziale, ed è la parte che mi ha incuriosita, che cosa penso dei bambini specchio?
https://lamenteemeravigliosa.it/il-bambino-simmetrico-fenomeno-inquietante/

E mi racconta che teme di aver sbagliato approccio e che non sapendo gestire le indicazioni dell'educazione a lungo termine abbia finito con il dare a suo figlio la sensazione che lui sia sul stesso piano dei genitori. 
E mi faceva questo esempio, mio figlio dice che lui è forte come noi e una volta quando gli ho detto che questo non è vero, tu sei un bimbo e noi siamo i tuoi genitori, decidiamo noi per il tuo bene e non puoi pensare di essere più forte di papà o mamma perché semplicemente non è cosi. 
Per tutta risposta lui le ha detto  qualcosa del tipo “vuoi vedere come ti faccio male?” Lei pensava scherzasse invece lui ha caricato il braccio e le ha dato uno schiaffo sulla coscia. 
E mi chiede se questa rabbia e aggressività è un motivo per cui dovrebbero farsi aiutare.

 

OK. Non vorrei commentare troppo su queste teorie dei bambini specchio o bambini simmetrici, perché credo che partano tutte dal presupposto sbagliato ovvero che il bambino buono è quello che sta zitto, fermo e che ascolta i genitori in tutto e per tutto e io, già sapete, diffondo un tipo di educazione completamente diverso. Quindi in generale, credo che anche questa come tutte le etichette, bambini di cristallo, mamme elicottero ecc ecc sia tanto ridicola quanto deleteria e mi permetto di dirlo così, in maniera molto diretta. Trovo che alcuni professionisti oggi giorno si inventino nuove etichette o le riportino di moda per essere pubblicati, per fare notizia, per scrivere un libro che incuriosisca, ma credo che le etichette insinuino nella testa dei genitori mentalità sbagliate, controproducenti, deleterie e che, alla fine, generino problemi non-problemi, ovvero creano problemi che non sono problemi. Ci inventiamo ogni volta nuovi termini per mettere le persone in scatole, mentre quello che dovremmo davvero fare è il contrario: capire e accogliere l'unicità di ogni individuo e smettere di volergli attaccare post-it in fronte perché quei post-it hanno una colla fortissima e se li porteranno dietro per tutta la vita. 

Detto questo: credo che i bambini sono sul nostro stesso piano a livello di rispetto, ovvero meritano lo stesso rispetto che meritiamo noi; non sono sullo stesso piano a livello di sviluppo cerebrale e quindi a livello decisionale, ma hanno assolutamente voce in capitolo su quello che è il loro senso di giustizia e hanno diritto tanto quanto noi di esprimerlo. Se pensano che noi stiamo sbagliando, è giusto che lo dicano, altrimenti come possiamo insegnare loro a riconoscere le ingiustizie e fidarsi del proprio istinto?

Credo che sia davvero importante e sano che i bambini sentano di avere potere decisionale tanto quanto noi adulti: è la loro vita, d'altronde. Certo, ci saranno conversazioni come quella che hai avuto, ma nessuno vieta di prendere quella conversazione come esempio e usarla in un momento di calma per riavviare una riflessione. “Ti ricordi quando l’altro giorno mi hai detto X? Sai, penso che questo magari tu l’abbia imparato da me o da papà a da qualcun’altra ma in realtà è sbagliato. Vorresti sapere perché?”. Così stimoliamo la curiosità e facendoci vedere vulnerabili e aperti al dialogo, i bambini si sentono accolti. 

Nel tuo caso è chiaro che tuo figlio parla di forza fisica e secondo me non c’è nessun problema se pensa che è più forte di voi: è molto normale e ricordo un periodo in cui Oliver pensava di correre più veloce di noi e allora ci eravamo messi a fare molte gare e quando perdeva ogni volta si arrabbiava ma alla fine piano piano ha capito che è normale e che non importa essere più o meno veloce e che magari un giorno lo sarà più veloce di noi ma quel giorno non è ancora arrivato. Forse tu rifletti questa conversazione normale sulla forza fisica sulla forza nella relazione e per questo ti dà fastidio, ma io in questo caso più che dirgli che non è vero, che siete forti voi, magari potete fare un braccio di ferro, cercherei di ragionare con lui (con calma e pazienza, perché è un processo) sul fatto che forza non significa picchiare più forte o correre più forte… e rifletterei su che cosa significhi essere forte e se essere forte è il messaggio giusto: per noi per esempio è importante riconoscere la nostra debolezza e saper regolare le nostre emozioni e anche questo è forza. Ovviamente è importante anche che sappiamo che a 5 anni il suo cervello non ne è ancora in grado di regolare le emozioni, perché non è ancora sviluppato, ma può impararlo e noi possiamo aiutarlo e già a 5 anni si possono avere queste conversazioni in momenti di calma, non quando è disregolato, ma si possono avere perché i bambini capiscono più di quanto pensiamo, ma ovviamente dovremmo parlarne senza aspettative. 

A volte per esempio quando i miei figli mi dicevano frasi sfidanti per provocare una mia reazione, a volte mi è capitato di dire loro in un momento di rabbia “Ah sì, vuoi vedere?”, come per fargli capire che io ho il controllo e io sono più forte. Ma questo non solo non è utile come comportamento da parte mia (perché è meglio che io usi il mio cervello maturo piuttosto di mettermi sullo stesso livello dell’immaturità dei miei figli), ma inoltre insegna loro a fare esattamente la stessa cosa con gli altri, quindi poi saranno loro a dire “Ah sì, vuoi vedere?” ai loro amici e anche a noi, quindi è davvero controproducente. 

E mi piacerebbe anche aprire una piccola parentesi sule provocazioni, perché tanti genitori si preoccupano quando i figli li provocano apposta, ma in realtà è normale, perché i bambini stanno scoprendo i limiti e per farlo devono sfidarli: loro non lo fanno con cattive intenzioni, ma lo fanno perché stanno imparando. E ci sono alcuni genitori che mi dicono “sì, ma sembra che finché io non mi arrabbio e urlo mio figlio non smette” e anche questo è vero, ed è normale, perché quello è limite che hanno imparato da noi, è il limite che noi gli abbiamo insegnato: se ogni volta che ci provocano noi arriviamo all’urlo e quell’urlo è ciò che “ferma” il loro comportamento è ovvio che loro arriveranno al limite prima di fermarsi e anzi, partiranno da quel limite per capire se possono andare anche un po’ oltre o se quello è proprio proprio il capolinea, perché il loro lavoro di bambini è esplorare – se stessi, noi, il mondo, le emozioni, i limiti…. 

L’unico modo per rompere quel circolo vizioso è non arrivare a quel limite e trovare modi per non lasciarci provocare: quando i bambini sono piccoli può essere solo “distrarli” dal comportamento scomodo (per esempio se stanno strappando le foglie di un cespuglio e noi gli diciamo di non farlo e loro continuano magri guardandoci e ridendo, possiamo magari reindirizzare la loro attenzione su una lunga fila di formiche o dare alternative, per esempio, “sai che cosa possiamo fare con le foglie? Possiamo pulirle con un pezzo di carta, possiamo annusarle, possiamo accarezzarle” e poi aspettare che lo capiscano con i loro tempi) oppure se sono un po’ più grandi possiamo parlare con loro e spiegare in un momento di calma “sai, non mi piace urlare così come faccio a volte e voglio provare a smettere, ma per farlo ho bisogno del tuo aiuto”. E poi parlate dell’aiuto, e magari l’aiuto è solo che ci lasciano andare a respirare in camera quando sentiamo di averne bisogno per gestire le nostre emozioni, ricordando loro che lo facciamo perché vogliamo imparare a non urlare. Io questo discorso l’ho fatto con i miei figli da quando avevano 4-5 anni, ma ovviamente dipende da quando si inizia a praticare, perché è tutta questione di pratica. 

Mi sono lasciata un po’ trasportare, ma tornando alle etichette, io personalmente consiglierei di toglierci dalla mente qualsiasi etichetta (c’è anche un episodio del podcast al riguardo) e di pensare: mio figlio è come è, non mi serve un’etichetta che lo descriva, e non mi serve metterlo in una scatola per sapere che non è sbagliato: mio figlio non è sbagliato, è così come è e se lo accetto e lo faccio sentire accolto gli do l’opportunità di crescere dandosi valore per chi è e non cercare di essere quello che gli altri vogliono che sia. 

È bello che i nostri figli sentano di essere sul nostro stesso piano, perché lo sono e ci tengo a ripeterlo, sono persone che meritano rispetto e gentilezza proprio come qualsiasi altro adulto: purtroppo l’educazione tradizionale ci ha portati a credere che la genitorialità sia un gerarchia ma non è così, perché in una gerarchia alcune persone sono inferiori e devono sottomettersi e  la famiglia non è questo, perché un ambiente gerarchico non permette ai bambini di nutrire la fiducia e la sicurezza di sé, cosa che io voglio per i miei figli: nella società in cui viviamo è importante che i nostri figli sviluppino la capacità di pensare per sé, di non agire per compiacere gli altri, quindi anche noi genitori, e di riconoscere il proprio valore di individuo, e per farlo devono mettere in discussione prima me e la mia autorità come allenamento per il mondo che incontreranno fuori. E questo è sano: è sano che non sia una gerarchia e che loro sentano di poterci mettere in discussione e sentano di poterci contestare quando sbagliamo. 

E ovviamente ci vogliono i limiti (lo dico sempre ma lo ripeto anche per chi magari ascoltasse questo podcast per la prima volta). Ci vogliono i limiti perché i bambini stanno imparando il mondo e tante cose non le sanno, ma quei limiti non sono del tipo “io comando e tu ascolti”, sono più un “aiutami ad aiutarti”, “hey, non posso lasciare che alzi le mani perché la violenza non è una risposta valida, ma vedo che non hai altri strumenti e voglio provare ad aiutarti a trovarli? Che ne dici?”. E poi i limiti li si fa rispettare non dall’alto al basso, ma come individui in una squadra. Certo, con questo approccio farò un po' più di fatica io genitore per qualche anno, finché il cervello dei miei figli non è un po' più maturo, ma è un minuscolo prezzo da pagare. E anzi io oggi che i miei figli hanno 6 e 8 anni tanto di ciò che ho “pagato” mi sta ritornando con gli interessi.

E infine, ci tengo a dedicare un paio di parole alla rabbia, ci sono un paio di episodi del podcast e il mio corso è pieno di strumenti diretti o indiretti per gestire la rabbia nostra e dei nostri figli, ma ora più che dare risposte vorrei fare delle domande:

  • Come gestite voi genitori la rabbia in casa?
  • Come gestite la rabbia dei vostri figli? La accogliete o la volete reprimere?
  • Parlate di queste emozioni con i vostri figli in momenti di calma?
  • Parlate con loro di come funziona il cervello? In questo potrebbe aiutarvi la mia guida È il tuo coccodrillo che trovate sul mio shop.
  • Avete mai pensato che il vostro compito di genitori non è fare in modo che la rabbia non esca, ma insegnare ai vostri figli come essere arrabbiati? Dare loro gli strumenti per gestire la loro rabbia aiutandoli anche con il vostro esempio quando siete arrabbiai voi?    
  • E infine, C’è fiducia reciproca tra di voi? O loro hanno paura di voi perché arrivate spesso all’urlo e alle minacce?

Queste domande sono importanti e possano essere semini da piantare nella vostra mente e lasciare che germoglino nel modo e nei tempi che più si adattano alla vostra famiglia.

Questo è tutto per oggi, grazie per il tempo che mi avete dedicato. Vi ricordo che mi trovate anche su www.latela.com e come @lateladicarlottablog su instagram. Buona serata, buona giornata o buona notte a seconda di dove siete nel mondo.

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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