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Episodio 124 ·

Preferisce uno dei genitori: che si fa?

In questo episodio di Educare con calma rifletto su quando un bambino preferisce un genitore e/o esprime a gesti o parole che non vuole stare con l'altro genitore, situazione molto comune di cui i genitori mi scrivono almeno una volta a settimana. È successo, in maniera diversa da ogni altra famiglia (perché ogni famiglia è diversa) anche a me con Oliver: anche Oliver a lungo ha preferito Alex e questo mi ha fatta soffrire, ma analizzandomi sono arrivata a capire il perché (di nuovo, della nostra famiglia, perché ogni famiglia è diversa): lo condivido con voi oggi podcast per avviare una riflessione (non completa).

Oggi vorrei parlarvi di alcune frasi che sento spesso: “Non piaccio a mio figlio”. “Mia figlia preferisce stare con il papà”. “Il papà ci soffre perché mio figlio lo manda via e vuole solo me”. 

Queste frasi mi vengono scritte infinite volte ogni settimana.

Oggi non ho una scaletta, e mi sono proprio solo seduta qui per parlare con voi di queste frasi e di come mi sento io quando le sento e delle mie ragnatele di pensieri che queste frasi scaturiscono. Non ho risposte, sicuramente ho più domande che risposte, ma, in fondo, come vi dico spesso, l’evoluzione più autentica avviene quando ascolto qualcuno parlare o leggo qualcosa e formulo le mie proprie domande. Le domande che ci facciamo noi stessi sono più importanti delle risposte date da altri, perché riflettono esattamente la nostra vita.

Ok, inizio dandovi un piccolo warning, un avvertimento, perché magari dirò cose che ti sembreranno scomode. Se capitasse, ti invito a riflettere sulla frase che ti ha fatto sentire scomodo o scomoda e provare ad analizzarla, capire perché ti ha fatto sentire così perché spesso è proprio quando facciamo le domande giuste che troviamo le risposte. 

Ora, ti porto la mia esperienza personale, che è molto personale e per un determinato periodo della mia vita mi ha fatta soffrire parecchio. 

Quelle frasi, infatti, le ho pensate e dette anche io di Oliver. 

Oliver, infatti, da sempre è più attaccato ad Alex, preferisce Alex a me. E nel nostro caso, posso spiegarti esattamente perché. Perché Alex non si sente provocato tanto quanto me dai comportamenti di Oliver e quindi riesce a reagire con più calma, che è ciò di cui Oliver, come tutti i bambini, ha bisogno. E intendo proprio a parità di carico mentale che noi dividiamo equamente in famiglia, a parità di cura di sé e di tempo che io e Alex ci dedichiamo individualmente (che sappiamo che quando non ci prendiamo cura di noi e della nostra salute mentale siamo meno in grado di scegliere la nostra reazione agli eventi e quindi di scegliere la persona che vogliamo essere), quindi a parità di carico mentale e cura di sé, Alex naturalmente reagisce con più calma ai comportamenti di Oliver. Perché? Perché Oliver ha dei comportamenti che fanno parte della sua personalità che provocano parti di me molto profonde, della mia bambina interiore, che sto ancora imparando a gestire. 

Questo punto per me è molto importante, perché ci ricorda che siamo genitori diversi con ogni bambino, perché ogni bambino ha una personalità diversa che risveglia in noi emozioni diverse, perché provoca diverse parti di noi, dell’individuo che siamo, del bambino e della bambina che eravamo e del modo in cui siamo stati educati. Anzi, è così importante che ci tengo a ripeterlo con altre parole, perché non so se sono stata chiara: le risposte che noi diamo ai nostri figli sono il frutto del bagaglio, dello zaino, che ci portiamo dietro dalle esperienze di tutta la vita prima di arrivare a questo momento, e quindi quando rispondiamo con rabbia, per esempio, a un comportamento di nostro figlio non è perché quel comportamento sia necessariamente sbagliato, ma è perché quel comportamento provoca una parte di noi che ci fa soffrire e che non abbiamo ancora imparato a gestire. E questo è un problema del genitore, non del bambino, perché siamo noi a scegliere come reagire ai comportamenti dei nostri figli o delle persone in generale e se reagiamo male non è perché loro sono intollerabili o perché ci provocano o perché si comportano male, ma è perché noi non siamo stati in grado di fare una pausa e scegliere di non lasciarci trascinare dal loro vortice. 

Poi certo, alcuni comportamenti sono effettivamente sbagliati, ma questo non dovrebbe cambiare la nostra reazione: ognuno può scegliere per sé come reagire a quei comportamenti e anche di fronte a un comportamento che ci provoca, con il lavoro necessario su noi stessi, possiamo imparare a rispondere in maniera sana e costruttiva.

Perché vi ho raccontato tutto questo? Perché ora che sapete che nella mia famiglia Alex riesce a rimanere calmo di fronte ad alcuni comportamenti di Oliver e io no, perché quei comportamenti non provocano Alex come provocano me, capite anche che è ovvio che Oliver si aggrappi ad Alex, è ovvio che preferisca lui: tutti preferiamo chi ci fa sentire bene o chi ci fa sentire meglio. Quindi se quando Oliver è in crisi io non reagisco bene e magari perdo la calma e urlo, Oliver non si sente sicuro intorno a me: e quindi preferisce Alex. Finché io non riesco a imparare a gestire le mie emozioni e scegliere le mie azioni di fronte ai suoi comportamenti, è normale che Oliver si senta più tranquillo intorno ad Alex, perché è un bambino, un bambino fa spesso cose che a noi adulti sembrano scomode e se l’adulto si arrabbia ogni volta che fa qualcosa di scomodo e perde la pazienza, urla e lo spaventa, quel bambino non avrà piacere di stare con quell’adulto. Preferirà stare con un adulto che lo tratta bene e lo fa sentire bene anche quando fa qualcosa di scomodo.

So che questo è doloroso per tanti genitori che mi stano ascoltando, ma l’unica via per l’evoluzione secondo me è la verità. Quindi , per capirci, prendiamo una famiglia in cui la madre non sta bene mentalmente, non si prende cura di sé: il carico mentale di questa mamma è alle stelle e spesso perde la pazienza e quando perde la pazienza grida e fa paura ai bambini. Se il papà offre un comportamento più calmo e accogliente e un porto più sicuro, non importa quanto la mamma faccia per quel bambino o quanto tempo investa a giocare con lui o a fare attività con lui o a portarlo al parco, il bambino preferirà comunque il papà, perché il papà lo fa sentire meglio.

Prendiamo una famiglia in cui è il papà che perde spesso la calma perché arriva da un’educazione autoritaria e non si è ancora messo in discussione e la mamma, invece, riesce a regolarsi più facilmente (quando dico regolarsi intendo proprio gestire le proprie emozioni, auto regolarsi, come quando regoliamo la temperatura di casa), e magari quel papà ogni sera si mette a giocare insieme al bambino e passa tempo di qualità insieme, ma in altri momenti perde facilmente la pazienza, se le cose non vanno come vuole lui si arrabbia, magari in altri momenti umilia il bambino con frasi tipo “ma dai, sei già grande, dovresti saperlo fare” o frasi simili… è ovvio che quel bambino preferirà stare con la mamma.  

I bambini ci danno feedback. Sta a noi saperli leggere, ma non solo: sta a noi credere a quel feedback, perché empatia non significa solo ascoltare le parole, ma anche credere a quelle parole, al modo in cui si sente chi le dice, alle sue emozioni.

Sta a ogni individuo singolo scegliere di fare quel lavoro. Se io so che mio figlio preferisce mio marito e non mi chiedo perché e non me ne prendo la responsabilità, non ho voglia di analizzarmi, di evolvere per cambiare le cose, nessuno può farlo per me. Non possiamo controllare gli altri, possiamo controllare solo noi stessi.   

Poi, ovviamente, ci sono situazioni in cui tutto questo non succede e il bambino ha comunque una preferenza verso uno o l’altro genitore: magari perché un genitore passa più tempo insieme a lui e quindi semplicemente quel bambino quando sta con quel genitore sente che la situazione è più famigliare e ovviamente vuole gravitare verso verso quella situazione. 

A volte succede che un bambino non riesce a sviluppare una relazione con uno dei due genitori perché l’altro non gliene dà l’opportunità ed è sempre presente, magari con buone intenzioni, magari pensa di aiutare, ma in realtà fa un disservizio all’altro genitore perché con la sua presenza costante crea una dinamica che non permette all’altro genitore di sviluppare una relazione propria con il figlio o anche solo di imparare a fare il genitore. 

Oppure ancora magari non c’è nulla di tutto questo, i genitori passano la stessa quantità di tempo con il bambino, hanno l’opportunità di sviluppare la loro relazione individuale, sono entrambi naturalmente calmi e sanno entrambi scegliere le proprie reazioni e lavorano entrambi su di sé (la famiglia del Mulino Bianco che non esiste, insomma), ma il bambino preferisce comunque uno o l’altro: anche questo è normale. Anche a noi a pelle piacciono di più alcune persone e meno altre. No? Perché dovrebbe essere diverso per i bambini? Perché dovrebbe essere diverso per la famiglia? Solo perché sono sua madre? O solo perché sono suo padre? Io credo di no. E credo, anzi, che spesso sia addirittura reciproco, è normale sentirsi meglio con un figlio o l’altro o che ci piaccia passare più tempo con un figlio o l’altro: questo non dice che amiamo di più uno o l’altro, dice che uno o l’altro figlio è una persona più compatibile con noi, proprio come succede tra amici e persone estranee.

Quindi dalla teoria alla pratica, che cosa si fa? 

  1. Per prima cosa, mi viene in mente una cosa che non si fa. Non dobbiamo prenderla sul personale: non c’è nulla di personale se mio figlio preferisce mio marito. Ovvero, mi correggo, può esserci del personale nel senso che il bambino preferisce la persona che è mio marito o il modo in cui lo tratta mio marito, ma questo non dice che io sono una pessima madre o che io non sono una bella persona: è più costruttivo prenderlo come un dato oggettivo e analizzarlo come tale: questo mi permette di distanziare le mie emozioni e, invece di disperarmi perché mio figlio preferisce mio marito, interiorizzo che non c’è nulla di male e cerco di capire che cosa posso fare o che cosa sono disposta a fare per cambiare la situazione, se voglio cambiarla. È un po’ come se io faccio un disegno e a mio marito non piace il mio disegno: non dice che io sono una brutta persona o che non so disegnare, dice semplicemente che quel determinato disegno a mio marito non piace. Magari il prossimo gli piacerà. Ok, io sono pessima con le metafore e le similitudini quindi non so se ci sta, ma spero mi abbiate capita.    
  2. Dobbiamo guardare la situazione attraverso le lenti della prospettiva: spesso i genitori mi scrivono un problema sulla chat del corso e in quel momento quel problema è enorme, insuperabile, insormontabile, non vedono soluzione. Io spesso mi limito ad analizzare la situazione, fare domande, indirizzarli verso una parte del corso dove possono trovare spunti e ricordo loro soprattutto che è temporaneo, che è una fase, di provare a pensare che tra poche settimane sarà un non-problema. E la maggior parte delle volte mi riscrivono due o tre settimane dopo e mi dicono che è tutto passato o va molto meglio. Perché? Perché hanno messo distanza tra l’emozione e il “problema”. La prospettiva aiuta tantissimo.

 

  1. Come sempre, si analizza: ci si fa domande, si parla tra genitori o amici genitori, non ci si tiene questi dubbi e queste fatiche emotive per sé, perché in quel modo si ingigantiscono e si prova a cambiare piccole cose qui e là. Per esempio, spesso è necessario che il genitore che passa meno tempo lontano dai figli dia priorità a trovare più tempo, a esigerlo, perché in quel modo, quando si prende cura di sé, riesce poi a prendersi cura anche delle persone che ama e a non fare effetto pentola a pressione che interferisce nelle relazioni. Oppure, spesso bisogna dare al genitore che sta meno con i figli l’opportunità di starci di più, per poter sviluppare la relazione senza presenze esterne e quindi con meno giudizi e meno critiche e meno pressione. 

Ma soprattutto ci si deve ricordare che è una fase. Che è temporanea. Che in questo momento che ci siamo dentro ci sembra enorme, ma tra qualche tempo ci guarderemo indietro e vedremo che non era poi così insormontabile. 

Ok, la conversazione è molto più ampia, ma questo è ciò che mi sento di dire oggi. Sapete che questo podcast è lo spazio in cui mi permetto di esistere senza restrizioni, senza la pressione di dover essere esauriente come in un corso online o dover stare in un determinato numero di caratteri o di secondi come su IG. Questa è senz’altro la mia dimensione preferita e sono felice che anche voi abbiate imparato ad accoglierla così com’è, e per questo vi ringrazio. 

Se sei arrivato o arrivata fino qui, grazie per il tuo tempo e prima di salutarti ti ricordo che mi trovi anche su www.latela.com e su IG come @lateladicarlottablog. Buona serata, buona giornata o buona notte, a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao.  

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.