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L’importanza di non interrompere

Carlotta Cerri
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Tempo fa incappai in un documentario sulle scuole Montessori che mostrava una tipica giornata di lezione. Oltre al metodo — di cui sono indubbiamente un fan — che gioca sull’indipendenza di scelta, sul lavoro individuale, sull’importanza di iniziare e terminare un lavoro, una delle cose che più mi colpì fu la regola

Non interrompere il lavoro di un compagno

Secondo Maria Montessori, quando interrompiamo il lavoro di un bambino, trasmettiamo il messaggio che ciò che sta facendo non sia valido o per lo meno non tanto valido quanto la ragione per cui lo abbiamo interrotto.

Da allora, ho fatto caso a quante volte interrompo Oliver nel suo lavoro quotidiano. E con mia grande sorpresa, infinite.

A volte era concentrato a guardare la sua giostrina o il riflesso della luce sulla parete e io attiravo la sua attenzione facendo suonare la maraca o chiamandolo per nome. Altre volte era impegnato a scrutare ogni pixel del mio viso e io gli battevo le manine o gli facevo il solletico per farlo sorridere. Altre volte si guardava intensamente allo specchio e io mi muovevo da un lato all’altro dietro di lui perché mi seguisse con la vista.

Tutte quelle volte, Maria Montessori mi avrebbe detto che stavo interrompendo il suo lavoro.

E lo chiamo “lavoro” anche io perché ho fatto mia l’idea che i bambini, fin dal primo giorno di vita, non giocano, bensì lavorano — per sviluppare la capacità d’attenzione in primis e poi quella motoria, psichica, intellettuale. Lavorano costantemente. E l’adulto deve essere una guida, un aiuto, non un ostacolo. Quando un adulto interrompe, anche senza volere, il lavoro di un bambino, non ne rispetta l’importanza.

Oggi, prima di interrompere Oliver mi chiedo sempre “È necessario?”. Quando la risposta è no, lascio che continui a fare il suo lavoro, che può spesso sembrare nulla — magari è immobile a guardare il cielo nel passeggino — ma è sempre qualcosa. E credo che questa sia una delle ragioni per cui Oliver, a differenza di tanti altri suoi amichetti di tre mesi, sta bene da solo, rimane a lungo sul suo tappetino da gioco a guardare la sua giostrina o nella sua sedia a guardarmi lavorare.

E chissà, magari questa nuova regola nella mia vita quotidiana con Oliver poco a poco mi insegnerà anche a non lasciarmi distrarre dalle mille tentazioni — telefono, email, campanello, pensieri — che interrompono costantemente qualsiasi cosa stia facendo. Perché, come diceva Leo Babauta, fare una cosa alla volta è una delle 10 regole essenziali per godersi di più la vita.

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