Se tuo figlio piange, non «va tutto bene»

Carlotta Cerri
7 agosto 2023
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L’essenza, in fondo, è aggiungere un punto interrogativo: «Va tutto bene» -> «Va tutto bene?»

Quando i nostri figli si fanno male e piangono, la nostra tendenza di genitori è quella di andare da loro e dire «va tutto bene, non è successo nulla». Noi lo facciamo con le migliori intenzioni, ma in realtà è controproducente, perché in quel modo stiamo bypassando il dolore e bypassare il dolore significa che non diamo ai bambini l'opportunità di rimanere seduti nel disagio e il disagio non è solo dolore ma è anche tristezza, sopraffazione, frustrazione, rabbia… tutta la gamma di emozioni scomode, che forse per noi sono scomode proprio perché nessuno ci ha mai insegnato a rimanercisi seduti dentro. 

C’è un reazione più costruttiva: invece di ignorare l'emozione e cercare di risolvere in fretta il dolore e il disagio, dobbiamo validare l’emozione e farli sentire visti e ascoltati: possiamo dire «ti sei fatto male, lo so. Ti sei spaventata?» Oppure chiedere «Dove ti sei fatto? In che parte del corpo ti fa male? Quanto ti fa male? Stai bene?». 

In questo modo invece di trasmettere che il disagio è qualcosa che dobbiamo far passare in fretta, perché non sappiamo come gestirlo, insegniamo ai nostri figli a rimanere seduti in quel disagio e imparare che la vita a volte è disagio e a processarla. E quello che ho notato con i miei figli si sentono ascoltati e capiti, accolgono il disagio come qualsiasi altra emozione e lo processano con i loro tempi, ma di solito più velocemente di quando invece ignoro l’emozione con un va tutto bene o faccio la classica ramanzina: te l'avevo detto di non salire sull'albero! Vi invito a provare. 

Questo può sembrare un dettaglio, ma in realtà è un grande cambiamento: quando cambiamo il linguaggio cambia anche il modo in cui pensiamo alle situazioni, il modo in cui le viviamo e l’approccio che abbiamo nelle nostre relazioni. 

Specialmente quando si parla di emozioni, dobbiamo iniziare a cambiare la narrativa. Più ignoriamo le emozioni che consideriamo scomode, più perpetuiamo il messaggio che quelle emozioni sono meno valide o meno degne di essere vissute e insegniamo ai nostri figli a reprimerle. 

È ovvio che consideriamo alcune emozioni (tristezza, rabbia, frustrazione…) scomode: è così che ci è stato insegnato a viverle. Nessuno ci ha mai detto che va bene provare quelle emozioni e che, invece di ignorarle e ingoiarle, possiamo imparare a «rimanerci seduti» dentro per conoscerle e, magari, farci amicizia. Più conosciamo un’emozione e come fa sentire il nostro corpo e la nostra mente, più strumenti abbiamo per viverla e processarla. Con i nostri figli possiamo rompere il ciclo (e scendere anche da questa ruota del criceto): non è troppo tardi. 

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