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Episodio 13 ·

La morte spiegata ai bambini e il loro dolore

In questo episodio parliamo di un tema difficile, importante, forse un po’ tabù: il dolore e la morte.

  • È giusto parlare della morte ai bambini?
  • Come spiego la morte a mio figlio?
  • Come posso alleviare il dolore dei miei bambini?
  • Non è meglio proteggerli da un dolore così forte quando sono piccoli?

In questo episodio, cercando di usare più tatto e sensibilità possibile, rispondo a queste e altre domande. Credetemi, non è facile parlare un tema così delicato, ma proprio per questo dobbiamo parlarne e magari anche cambiare le carte in tavola: perché deve essere un tema delicato? Perché non normalizzarlo?

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Oggi vorrei parlarvi di una tema sul quale in questo periodo ricevo moltissime domande. Sono un po’ nervosa, perché È un tema complicato. È un tema importante. È un tema un po’ tabù, forse. E quindi lo affronterà nell’unico modo che conosco per affrontare temi difficili con i miei figli, ovvero con spontaneità e con sincerità.

Se siete iscritti all mia newsletter alcune di queste cose le avrete già lette e se avete il libro Avere Paura che ho scritto per la collezione gioca e impara con il Metodo Montessori, anche lì ci sono alcune cose di cui parlerò oggi. 

Inizierei parlando del dolore.

Credo che la morte sia una di quelle cose che nascondiamo ai nostri figli per paura che soffrano, per paura del loro dolore, ma mi ci butto proprio a capofitto, senza tanti giri di parole: il dolore non è qualcosa da cui dobbiamo proteggere i nostri figli. Ho sempre la sensazione che i genitori pensino che il dolore dei figli sia un fallimento dei genitori, che come genitori dobbiamo risolvere questo dolore. La società ci ha venduto l’idea che i genitori debbano proteggere i figli dal dolore, dalla morte, dalla paura: pensiamo che il nostro lavoro principale sia quello di proteggere i nostri figli. Ma io nella mia vita, quando ripenso ai momenti di dolore, so bene che sono quelli che mi hai fatta crescere di più. è potrà sembrare superficiale ma credo sia importante ricordarlo. Il dolore è ciò che crea coraggio, è ciò che crea saggezza, è ciò che crea empatia: queste caratteristiche si manifestano quando dobbiamo superare ostacoli, quando dobbiamo fare fronte al dolore. E quindi quando pensiamo di dover proteggere i nostri figli dal dolore, in realtà non ci rendiamo conto che li stiamo proteggendo dall’unica cosa che può renderli persone più resilienti. Il nostro lavoro non è il proteggerli dal dolore: il nostro lavoro è esserci quando sentono dolore, essere presenti quando soffrono.

VI racconto una satira che avevo raccontato in una newsletter: alla sera i bimbi guardano sempre 10-20 minuti di un cartone o di un documentario (noi siamo molto affezionati ai documentari, che per me sono ottimi, molto in linea con la filosofia in cui io credo che è offrire la realtà ai bambini) e quel giorno stava guardando African Cats che è uno dei documentari della bellissima serie di Disney Nature. Nel documentario, Leila, la mamma leonessa, muore. E Oliver lo aveva già fino di guardare una volta (sempre 10 minuti alla volta), ma si vede che allora non aveva capito che Leila moriva. Questa volta, invece, qualcosa aveva fatto click nella sua testa e ha collegato i puntini.

Premetto che i miei figli fin da piccoli sono stati sempre esposti alla morte quando si presentava nel nostro quotidiano: un uccellino morto al parco, una rana schiacciata per strada, ma anche proprio da dove viene la carne che mangiamo che è parte della ragione per cui Oliver ha scelto di non mangiare più carne quando aveva quasi 3 anni (Emily invece la mangia senza problemi ancora oggi e pur sapendo da dove viene). Inoltre la mamma di Alex è morta quando lui aveva 6 anni e alla domanda dei bambini “Dov’è la tua mamma?” Alex ha sempre risposto: “è morta quando io ero piccolo”.

Vi dico questo per farvi capire che Oliver quando ha guardato quel documentario sapeva che cosa fosse la morte, sapeva che la morte è permanente, sapeva che la morte è triste anche, perché comporta non poter più rivedere quella persona o quell’animale.   

Ma la morte di Leila, a cui Oliver si era affezionato, è stata la prima morte che lo ha colpito. Ha pianto per due giorni.

Ogni volta che ci pensava, scoppiava a piangere, era di cattivo umore, è stato sicuramente il suo primo dolore intenso. Io non me l’aspettavo, quindi volevo parlargliene, volevo aiutarlo a gestire questa sua emozione, volevo risolverla, ma mi sono presto resa conto che ogni volta era un monologo e non aveva alcun effetto, non lo stavo aiutando come lui aveva bisogno che lo aiutassi. È difficile vedere i nostri soffrire e non sapere come aiutarli o rendersi conto che non li stiamo aiutando. Perché proprio come dicevo all’inizio, pensiamo che il nostro compito sia proteggerli dal dolore e risolvere il loro dolore.

Poi, una mattina di qualche giorno dopo, Oliver mi ha chiesto di disegnargli Leila, la leonessa. Io stavo lavorando in quel momento e gli ho detto che l’avrei fatto dopo. Me lo ha richiesto altre cento volte quel giorno e anche il giorno dopo, ma io continuavo a posporre, perché se devo essere sincera 1. non avevo voglia di disegnare Leila e 2. Non so come si disegni un leone… gli ho perfino proposto di stampare un leone, ma lui voleva proprio che glielo disegnassi.

Il terzo giorno, a questo punto infastidita dalle continue richieste, ma allo stesso tempo incuriosità da tale insistenza, gliel’ho disegnata veloce. Era un disegno bruttissimo, per me non sembrava neanche un leone… ma sapete che cos’ha fatto Oliver. l’ha conservato. Per mesi. Ogni volta che vedeva che pulivo e riordinavo (che è sinonimo di buttare via il superfluo), correva a  prendere Leila e la riponeva in camera per evitare che la buttasi via.

E allora ho capito: quella era la sua maniera di processare il suo dolore. Io volevo parlare, lui voleva tenere Leila con sé.

E ancora oggi faccio fatica a parlarne senza emozionarmi perché quando ci ripenso da una parte mi rattrista quel giorno non aver capito immediatamente il suo bisogno e non aver capito che quello era il modo in cui lui voleva che io lo aiutassi – ma ogni volta mi perdono e vado avanti, perché alla fine questa è la genitorialità: sbagliare, perdonarsi, chiedere scusa e imparare.

E poi mi emoziona perché quel giorno ho capito che mio figlio sapeva gestire le sue emozioni meglio di come potevo aiutarlo io e questa cosa mi ha colpita moltissimo. Certo, è doloroso per un genitore rendersi conto di non poter davvero alleviare il dolore dei miei figli, ma allo stesso tempo devo ammettere che è liberatorio, perché ci si rende conto che loro sanno cosa fare. Se noi gli diamo gli strumenti per lavorare sulle loro emozioni, se siamo sinceri, se li esponiamo alle emozioni, tutte le emozioni, perché non c’è emozione che sia negativa, tutte le emozioni hanno un posto e un valore dentro di noi e se noi non cerchiamo di proteggerli, loro ci mostrano che sanno gestirle e ci guidano verso come aiutarli. In fondo, se ci pensiamo, alla fine siamo tutti soli con il nostro dolore, solo noi sappiamo processarlo e possiamo processarlo. Quello che possiamo fare con i nostri figli, è esserci. anche se non possiamo alleviare il dolore dei nostri figli, possiamo aiutarli con la nostra presenza. se sappiamo osservarli e ascoltarli attivamente, ci aiutano a capire quando hanno bisogno di noi e come hanno bisogno che gli stiamo vicino. 

E questo mi porta alla morte e ci tengo a dirvi i miei pensieri sulla morte e su come spiegarla ai bambini e sul perché spiegarla ai bambini fin da piccoli, e ve lo racconto perché vedo che la morte è ancora un tabù per i genitori e molti genitori spesso fanno fatica a parlarne o preferiscono proprio ignorare l’argomento per proteggere i bambini dal dolore. E il modo in cui lo fanno è spesso inventando storie sulla morte, tipo «È diventato un angelo», «È volato in cielo», «Si è addormentato per sempre» o «È andato a fare un viaggio molto lungo».  in questo modo pensiamo che i nostri figli la accetteranno più serenamente. Ma in realtà la maggior parte delle volte, queste spiegazioni non solo non bastano, ma creano addirittura confusione nella mente del bambino. Spesso ci dimentichiamo che i bambini sono osservatori attenti: immaginatevi la morte di una persona cara, voi piangete, siete tristi, e i vostri figli per quanto vogliate nasconderlo lo vedono, lo sentono, sentono che mamma e papà sono tristi, ma poi davanti a loro vi mettete una maschera e dite che va tutto bene, che il nonno è solo andato a fare un lungo viaggio e vi manca. Il bambino non trova coerenza tra la spiegazione che riceve e la vostra reazione, non trova coerenza tra le vostre parole e la vostra tristezza. 

E quindi rimane confuso, non sa davvero come gestire questa emozione. Forse anche lui sente tristezza, ma voi gli state dicendo che non è necessario… questo non è un modo sano di insegnare le emozioni ai bambini. Poi ovviamente dobbiamo anche imparare a non mascherate il nostro dolore, perché solo vivendo le nostre emozioni con naturalezza e spontaneità possiamo offrire un modello sano ai nostri figli, ma magari di questo ne parliamo in un altro episodio. 

Ma quello che ci tenevo a dire è che è molto più sano offrire coerenza, offrire sincerità e semplicità nella scelta delle parole e parlare ai nostri figli con lo stesso tatto e la stessa onestà che usereste con un adulto che amate, che significa anche non lasciare dubbi: la morte è per sempre, è irreversibile, fa parte della vita di ogni individuo: quindi deve essere chiaro che il bambino non vedrà mai più una persona morta, ma potrà pensarla e ricordarla ogni volta che vuole». 

Poi certo, bisogna adattare le spiegazioni al livello di comprensione del bambino, bisogna usare frasi chiare e parole semplici, ma non abbiate paura di usare parole come morte o uccidere: più normalizziamo le parole e i concetti difficili e le introduciamo nel nostro quotidiano, più combattiamo il tabù e qualsiasi tabù vale la pena di essere combattuto. Per esempio, se parliamo di animali al macello, possiamo usare «uccidere» invece di «sacrificare». Se parliamo della morte del bisnonno, possiamo dire «il bisnonno è morto», invece di «è mancato» o «si è addormentato per sempre», che poi tra l’altro magari non ci pensiamo ma questa cosa del parlare della come di un addormentarsi, può davvero generare paura nel bambino all’ora di andare a letto. Quindi io userei sempre le parole giuste e cercherei proprio di normalizzarle, poi certo… una cosa è parlare usando le parole giuste, e un’altra è sporre i bambini situazioni che possono creare un impatto traumatico. 

Ma questo dipende da bambino a bambino: Per esempio, se pensate che vostro figlio non sia pronto emotivamente per partecipare al funerale del bisnonno, è meglio proteggerlo da quella situazione che non è necessaria, potete organizzare una piccola cerimonia intima e simbolica a casa per dare l’addio al bisnonno, fare un disegno o sedervi in cerchio e condividere dei ricordi di vita con il bisnonno… ecco ma in generale per me, la cosa più importante quando parliamo di morte e di dolore è dare risposte oneste: io vi assicuro che i bambini non fanno domande di cui non sono pronti a sentire la risposta. E vi dirò di più, spesso quando un bambino fa una domanda ad alta voce è perché nella sua testa conosce già la risposta (perché magari l’ha sentita in una conversazione o al telegiornale…), ma ovviamente non sa ancora esprimerla a parole e quindi si affida a noi, mamma e papà, e ci chiede di esprimerla noi a parole per lui. 

Emily un giorno a tre anni appena compiuto ci ha chiesto dal nulla: “tutti muoiono?” E questa domanda non la fa se la risposta non è già nella sua mente. Questa domanda la fa perché vuole una conferma di quello che ha sentito ed è pronta ora, in questo momento, ad ascoltare la risposta. Che senso ha mentire ora? Se rispondiamo con onestà alle domande dei nostri figli, li aiutiamo anche a fidarsi di noi e insegniamo loro che ci siamo quando hanno bisogno di noi, quando si sentono confusi. Ricordo un altro momento in cui Oliver mi aveva chiesto come uccidono gli animali che si mangiano e io gli avevo detto che ci sono vari modi, ma oggi in genere con un colpo di pistola alla testa: e poi non ho aggiunto altro. Sono stata in silenzio e ho aspettato noi vedere se aveva altre domande. Quel giorno non ne valeva. E questo mi porta a un altro punto importante: evitiamo i dettagli non richiesti. Spesso, quando ci fanno domande che non ci aspettiamo, o ci colgono alla sprovvista, facciamo l’errore di parlare e parlare e parlare perché stiamo cercando di risolvere il nostro proprio disagio (non so voi, ma io avevo l’abitudine di parlare di più quando mi sentivo a disagio, abitudine che ho piano piano lasciato andare e ora è raro che spiego più di quanto debba spiegare, magari questo potrebbe essere interessante per un altro episodio del podcast). Ma per esempio, se vostro figlio vi fa una domanda a cui potete rispondere sì o no, rispondete sì o no. E aspettate. Magari quello basta per quel giorno. 

LE parole che usiamo e le cose che decidiamo di dire ai nostri figli fanno davvero la differenza. E poi ovviamente una volta che siamo sinceri, a livello pratico, di fronte al dolore, come dicevo prima dobbiamo cercare di non soffocarlo, di no risolverlo, ma di accompagnarlo. E spesso per farlo dobbiamo aumentare la comprensione e l’empatia, perché di fronte alla morte, o di fronte al dolore (ma anche solo di fronte al cambiamento), a volte i bambini cambiano comportamento, perdono l’appetito, si svegliano di notte, si fanno la pipì addosso, magari manifestano comportamenti scomodi o aggressivi: ma tutto questo fa parte del processo di assimilazione e di accettazione di un bambino che non sa ancora razionalizzare come facciamo noi. E quindi siamo noi a dover andare in contro a loro, accettare il. Comportamento scomodo e accoglierlo, perché certo è più difficile offrire comprensione ed empatia a un bambino che si comporta in maniera scomoda, ma quello è proprio il momento in cui ne ha più bisogno. 

E forse potrei parlare per ore di tutto questo, perché sono pensieri che abitano la mia mente ogni giorno, ma per questa volta mi fermo qui, spero di aver usato più sensibilità possibile, di aver calibrato il più possibile le parole anche se non è facile quando si parla di un tema così complicato e spero che vi abbia aiutato o anche solo che abbia piantato qualche semino nella vostra mente.

Come sempre, vi ricordo che mi trovate anche IG e facebook come @lateladicarlottablgo e sul sito www.lateladicalrottac, om e ora troverete an che il mio nuovo corso Co-schooling: educare a casa! Che sta piacendo molto a tutti coloro che lo hanno comprato e questo mi rende molto felice. 

Buona giornata, buona notte o buona sera seconda di dove siete nel mondo. Ciao!

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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