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Episodio 152 ·

Guerra: come parlarne con i bambini | interviene Teresa Potenza

In questo episodio di Educare con Calma, parliamo di guerra, del perché preferisco non parlarne sui social media e di come avviare la conversazione con i bambini.

Per farlo ho deciso di riproporvi il contenuto di una newsletter che avevo scritto quando scoppiò la guerra in Ucraina (che probabilmente pronuncio in maniera meno corretta nell'episodio, grazie per la vostra pazienza) e che aveva aiutato tante famiglie ad affrontare la conversazione in casa, con i figli (ma anche dentro di sé).

Ringrazio Teresa Potenza che è intervenuta con la sua testimonianza. Teresa è una giornalista, lavora quotidianamente per togliere il velo ai pregiudizi e mostrare quante connessioni possono esserci tra culture diverse. Nel suo podcast «Ponti Invisibili» racconta la storia di quando si è trovata in Siria allo scoppio della guerra e della decisione, privilegiata ma faticosa, di tornata in Italia con suo marito.

:: Trovate Teresa

Vi consiglio anche questo suo articolo interessante sul fact-checking.

benvenuti e benvenute ad un nuovo episodio di educare con calma. Oggi vorrei parlarvi di un tema intenso e delicato. Non è un mistero, lo avrete visto dal titolo. Parleremo di come avviare conversazioni oneste con i bambini sul tema della guerra. E lo farò con una scaletta bella corposa, perché sento la necessità e la responsabilità di concentrarmi in questa conversazione senza divagare troppo nella mia ragnatela. Lo farò con parti di una newsletter che scrissi il giorno in cui scoppiò la guerra in Ucraina e lo farò con l'aiuto di una donna che stimo, Teresa Potenza, che penso abbia qualcosa di importante da aggiungere a questa conversazione. Prima di iniziare ci tengo a dirvi una cosa quella sulla guerra è una di tante conversazioni difficili che spesso evitiamo di affrontare con i nostri figli per tanti motivi, ma soprattutto perché ci sembrano scomode. Perché ci creano disagio, Perché pensiamo di non avere le parole o le risorse giuste, perché magari rappresentano vecchie ferite non del tutto rimarginate o perché vogliamo proteggere e tutelare i bambini da un dolore che non vogliamo, che sperimentino. Non ancora almeno. Affrontare queste conversazioni però è davvero importante, perché se teniamo i bambini all'oscuro di alcuni temi o alcune situazioni, li spaventiamo di più della verità. Non è l'informazione che spaventa i bambini, è la mancanza di informazione che li terrorizza. Ad esempio, se vostro figlio vi vede piangere, ma si sente dire va tutto bene e voi non gli spiegate il motivo di quelle lacrime. Questo è molto più terrificante per lui che sedersi insieme ai suoi genitori, i suoi adulti di riferimento e ascoltare la verità. Non esiste un modo giusto per parlare ai nostri figli di cose difficili, di cose che ci sembrano scomode, anche perché il modo in cui si può parlare a una bambina di quattro anni è diverso dal modo in cui possiamo farlo. Con un bambino di dieci. Però voglio comunque offrirvi un supporto e alcuni strumenti concreti per affrontare queste conversazioni. Un po' faticose che forse sono faticose, soprattutto perché le pensiamo faticose e difficili e pensandola così spesso le trasformiamo noi stessi in tabù e creiamo più paure e più incertezze nei nostri figli. Quando è il momento di parlarne, credo che sia davvero importantissimo normalizzare conversazioni difficili e scomode e proprio per questo ho creato la categoria, le cose difficili, su tutta la tela. Se fate già parte del percorso e ne sentite il bisogno, vi invito ad esplorarla perché troverete alcuni argomenti scomodi, riflessioni su come parlarne e soprattutto veri e propri copioni da utilizzare per avviare queste conversazioni con i bambini. E adesso faccio un respiro profondo e provo ad affrontare l'argomento di oggi. Anzi no, voglio fare un'altra premessa che ero indecisa se fare e ho deciso Okay, la faccio se me la sento in quel momento mentre registro e penso di volerla fare ogni volta che apro Instagram sono assalita. Io uso solo Instagram. Non uso Facebook, quindi è per questo che parlo di Instagram. Sono assalita da non solo da immagini e video dell'attuale conflitto, ma anche da tante persone che parlano anche pubblicamente senza davvero saperne abbastanza e danno comunque la propria opinione. Prendono parti, innalzano bandiere. Quando vedo questo penso che tante di queste persone sono anche genitori e penso ai loro bambini che crescono imparando a fare lo stesso. E mi dispiace, mi ferisce profondamente, anzi perché penso che questo approccio non porti alla pace. Penso che porti a più odio, a meno empatia, a più guerre. E così io decido di rimanere in silenzio nonostante molte persone mi critichino dietro le quinte mandandomi messaggi privati in cui mi dicono che rimanere in silenzio sia come vedere un bambino maltrattato e non fare nulla in cui mi dicono che non schierarsi significhi stare dalla parte dell'oppressore. Non penso che Instagram sia la piattaforma giusta per rispondere e quindi lo faccio qui a casa mia. Credo di avere due considerazioni al riguardo. Uno. Mi dispiace che alcune persone dicano queste frasi ad impatto. Forse sentite altrove o lette sui giornali solo quando le notizie arrivano nel loro salotto, tutti i mesi dell'anno in cui le notizie non arrivano nel loro salotto. Spesso si dimenticano delle atrocità e delle guerre del mondo che non smettono mai nessun giorno dell'anno non smettono nemmeno quando non fanno notizia quando non arrivano nei nostri salotti. E due il mio mal di cuore lo sento tutto l'anno, perché anche quando non fanno notizia, io scelgo di circondarmi di persone che mi mostrano anche il brutto del mondo ogni giorno dell'anno il mal di cuore che sento non è o questo o quello è sempre entrambi. Chiunque cerchi di convincermi che non dovrei sentire questo mal di cuore per chiunque soffra da qualunque parte stia, non mi parla dall'amore e dall'empatia e io scelgo di non ascoltarlo. L'amore e l'empatia non sono questo o quello, sono entrambi e il mal di cuore che sento non è qualcosa che voglio silenziare, né per me né per i miei figli. Credo che i mal di cuore siano una mappa meravigliosa verso l'empatia e l'amore. Ecco perché decido prima di tutto di rimanere in silenzio, soprattutto su una piattaforma come Instagram mirata ai like e ai numeri. Decido invece di mettermi in ascolto, decido di ascoltare solo chi prende in considerazione entrambe le parti o tutte le parti, perché spesso ce ne sono più di due. Decido di ascoltare chi parla oggettivamente degli eventi, chi fa fact checking, ovvero una ricerca accurata dei fatti prima di esprimere un'opinione e decido di attivare e usare la mia empatia e la mia voce in casa con i miei figli e concentrarmi sulle conversazioni con loro, perché quelle sì che sono mie responsabilità, quelle sì che fanno la differenza. Decido di concentrarmi sul trasmettere ai miei figli empatia per tutte le persone che soffrono senza distinzione e anche per quelle che non soffrono. E a te dico va bene rimanere in silenzio. Va bene non sapere che cosa dire. Va bene non capire più che cosa è giusto. Che cosa è sbagliato. Va bene sentire questi mal di cuore e va bene condividere tutto questo a casa con i tuoi figli. E va bene anche farlo solo quando ti senti pronto o pronta. Nel frattempo, ti invito a prepararti per affrontare queste conversazioni, perché queste conversazioni sono la base dell'educazione alla pace. Credo che ormai sappiate quanto mi stia a cuore il tema dell'educazione alla pace. Ricerco la pace attivamente da quando un giorno a Marbella, con Oliver minuscolo che mi dormiva addosso, lessi alcune parole di Maria Montessori che mi sono rimaste impresse nella mente. Maria diceva che tutti parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. Diceva che in questo mondo si o si educa per la competizione e che la competizione è l'inizio di ogni guerra. E poi diceva che quando si evocherà alla cooperazione, all' offrirci solidarietà gli uni agli altri. Quel giorno si starà educando alla pace. Ecco, quello è stato il primo momento in cui mi sono ripromessa di educare i miei figli alla pace. Non sapevo ancora bene che cosa significasse allora, ma mi sono davvero impegnata per scoprirlo. Con gli anni poi ho capito che educare alla pace non è un tipo di corso di specializzazione che ti dà chiavi che aprono porte per un futuro migliore. La pace non è qualcosa che impari, è qualcosa che fai educare alla pace. Si fa ogni giorno con piccole azioni quotidiane. Educhiamo alla pace quando rifiutiamo un litigio per cose banali, quando risolviamo un litigio parlando e mantenendo il rispetto reciproco. Quando mettiamo da parte l'ego, anche se pensiamo di avere ragione quando rispondiamo alla violenza verbale con calma, con gentilezza, quando reagiamo senza urlare a una crisi di nostro figlio, quando scegliamo di non prendere la scorciatoia della minaccia e della punizione, quando non puniamo un errore. E invece lo usiamo come opportunità di apprendimento, anche quando trattiamo chi non è d'accordo con noi, con lo stesso rispetto con cui trattiamo chi ci approva. Quando ci fermiamo? Prima di inviare un messaggio o un commento giudicante sui social media, quando scegliamo di non criticare e ci ricordiamo che di ogni persona vediamo solo la punta dell'iceberg quando accogliamo chi la pensa come noi e chi no e magari smettiamo di etichetta e metterci in scatole che sono davvero insignificanti per l'esperienza umana. La pace si fa quando ci sforziamo e ci sforziamo e ci sforziamo di scegliere la pace, la gentilezza, l'empatia, l'accoglienza, l'amore. Insomma, la pace si crea. È anche vero e doloroso pensarci che, nonostante tutto il lavoro che possiamo fare per portare la pace nelle nostre case, ci saranno comunque i conflitti che scoppieranno fuori nelle strade, in paesi più o meno lontani, tra culture più o meno conosciute. E quando questo succede, spesso tanti genitori mi chiedono se è giusto condividere quelle informazioni con i propri figli e se sì, in che misura farlo e come farlo. Sento davvero tutta la fatica di questi genitori, anche perché spesso sono argomenti che toccano tantissimo le nostre emozioni di adulti. Um, sono quegli argomenti che provocano il mal di cuore di cui parlavo prima, quindi è ancora più difficile avere quella lucidità mentale per affrontare la conversazione con i bambini. E quindi, proprio perché so quanto possa essere difficile, voglio provare solo provare ad aiutarvi e lasciarvi alcuni suggerimenti pratici. Il primo è questo la guerra, come la morte è una conversazione scomoda che non possiamo aspettare che altre persone abbiano con i nostri figli, perché succederà se non siamo noi a fornirgli quelle informazioni, è molto probabile che le assimila altrove, a scuola, magari al parco, ascoltando le conversazioni di altri adulti. Come vi dicevo prima, a volte pensiamo che proteggiamo i nostri figli tenendoli lontani dall'informazione, ma è il contrario. Li proteggiamo dando loro l'informazione e la conoscenza. In tempi come questo, in cui la pornografia del dolore prende il sopravvento e ovunque ti giri vedi foto e video strazianti dei conflitti. Io personalmente consiglio di eliminare i telegiornali, le notizie e gli schermi dalle vostre case. Non significa non informarsi. Significa usare il nostro privilegio per salvaguardare il nostro benessere ed evitare ciò che può causare un senso di ansia e sopraffazione, perché espresso con titoli e frasi ad effetto mirati proprio a scioccare, a fare terrorismo psicologico, a nutrire l'odio e la paura. Invece quello che consiglio ai genitori, agli adulti in generale, e scegliere di informarsi consapevolmente, selezionando proprio le fonti attentamente e attivamente, invece di subire passivamente tutte le notizie che poi magari arrivano in un momento in cui emotivamente non siete neanche preparati. E in questo modo potete anche essere voi il filtro di queste conversazioni con i vostri figli con i bambini di meno di sei sette anni, vi consiglio di usare spiegazioni concrete, sincere, semplici. Prendete la mappa, mostrate dove si trova una determinata guerra e poi tutte le altre guerre eliminate l'odio dalle vostre parole. Non schieratevi, non mostrate immagini strazianti e storie senza speranza. Non ce n'è bisogno. Non servono. Limitatevi ad esporre i fatti in modo chiaro, breve, concreto. Potete dire per esempio, in questi paesi stanno combattendo una guerra. La guerra è quando due gruppi di persone smettono di usare le parole per comunicare e iniziano a usare le armi. Tante persone stanno morendo e tante altre stanno cercando di fare in modo che la guerra finisca. Ci sono tante persone che stanno cercando di far finire questo conflitto. Hai domande? La realtà generalmente espressa in modo chiaro in modo semplice in me in modo conciso, ancora la mente con bambini di più di sei sette anni. Prima di tutto, potete dare loro l'opportunità di esprimere ciò che sanno già, perché sicuramente hanno sentito cose e formato idee nella propria mente. Quindi potete avviare la conversazione chiedendo, per esempio, che cosa pensino che sia una guerra che cosa sanno già di ciò che sta succedendo? Se lo sanno, usate parole semplici. Rispondete alle loro domande in maniera oggettiva e onesta. Ma solo se sapete la risposta. Potete davvero offrire onestà. E se non sapete qualcosa, potete scoprirlo insieme. Potete dire non lo so. Andiamo a scoprirlo insieme? Non lo so. Ti piacerebbe che lo leggessimo insieme? Non lo so. Ti piacerebbe che, um, ricer- facessimo ricerca insieme quando spiegate la guerra, poi potete farlo in un modo in cui i bambini possano anche relazionata al loro quotidiano. Ad esempio, vi faccio un esempio che usai io allora con i miei figli, in una determinata circostanza, um, potete dire che la guerra è quando vogliamo costringere qualcuno a fare qualcosa che non vuole. In questo modo è più semplice per i bambini capire cosa significhi nel concreto il concetto di guerra, anche se non riescono ancora a capire, a immaginare l'atrocità che è la guerra. Ed è anche più probabile che con questo approccio, quando trasmettiamo la consapevolezza di quanto sia atroce sbagliata la guerra, che loro decidano di evitare la guerra tra virgolette nel loro quotidiano. E poi, allo stesso modo, possiamo anche parlare della quotidianità della guerra per darle concretezza nelle loro menti e far sapere loro che certo tante persone sono in ospedale. Sono ferite, piangono perché persone che amano sono morte o sono ferite. E ci sono però anche tantissime persone che continuano a vivere, che cucinano, che si abbracciano, che si riuniscono, che mangiano, parlano, che ospitano persone che non hanno più ca- la una casa che raccolgono fondi per aiutare chi ha perso tutto. Potete usare questi spunti per approfondire le conversazioni su una guerra specifica e anche per avviare domande dei bambini a cui poi potete rispondere con onestà. Vorrei invitarvi però anche ad assicurarvi di far sapere ai vostri figli che è fondamentale onorare e usare il privilegio che abbiamo e continuare a vivere la nostra vita. Sentirsi spaventati e tristi è normale. Sentirsi impotenti e senza speranza è normale, ma è normale anche andare a fare una passeggiata al parco, preparare la cena insieme, fare un gioco in scatola e ridere. È normale anche decidere di cercare la speranza di concentrarsi sulle persone che aiutano. Come ci insegna mister Rogers, Una delle mie conversazioni preferite con i miei figli è proprio ricordare loro e ricordarci insieme riflettere insieme sul fatto che in ogni tragedia, in ogni conflitto ci sono persone che aiutano. Non significa oscurare, nascondere la realtà, ma bilanciarlo dall'alto del nostro privilegio. Proprio per trasmettere questo messaggio tra l'altro quando era scoppiata la guerra in Ucraina e ci siamo ritrovati in famiglia a parlare di ancora un'altra guerra, ho deciso di creare il gioco produttivo aiutanti della pace. E ogni volta che mi sento sopraffatta dagli eventi del mondo e sento che un pochino mi schiacciano, lo facciamo insieme. Mettere il focus sulle persone che aiutano e magari cercare associazioni insieme a cui donare, che hanno un impatto diretto sul territorio colpito sulle persone che soffrono, può davvero contribuire ad alleviare il senso di impotenza e a creare un senso nuovo di speranza ad alimentare la speranza. Questo ovviamente non significa nascondere le emozioni. Non abbiate paura di associare la parola guerra a ciò che suscita paura e tristezza, impotenza, accogliete tutte le emozioni che suscitano. Prendere coscienza delle nostre emozioni è una parte importante della crescita e dell'evoluzione. Ma il nostro compito di adulti è accompagnare il sentimento, non aggiustarlo o ridirigere invece di dire cose, per esempio come non c'è nulla di cui preoccuparsi che magari non rispecchia le emozioni che i vostri figli vedono in voi o che sentono loro stessi Quando si parla di guerra, potete dire loro che anche voi avete paura che anche voi vi sentite tristi, che anche voi vi sentite impotenti. Non nascondete il vostro dolore, ma ricordate che potete affrontarlo insieme. Potete scegliere di essere una squadra. Trasmettete senza ombra di dubbio che qualsiasi emozione che sentite voi o che sentono i vostri figli è valida, è reale e che potete affrontarla insieme. Poi, certo, credo che sia importante anche far sapere ai bambini che noi siamo al sicuro, che il conflitto non è vicino, che da quando sono nati c'è stata la guerra ogni giorno in qualche parte del mondo e loro sono stati al sicuro. Prendete la mappa tante volte quanto sia necessario. Ripetete loro che tante persone stanno lavorando per far finire il conflitto il prima possibile e che finirà prima o poi. Ma non mentite. Non dite cose come ti proteggerò sempre. È dura anche solo pensarlo, ma la verità è che non potete esserne sicuri. Anche i genitori che si trovano ora in guerra lo pensavano. Evitate anche frasi come non ti preoccupare che qui la guerra non arriva. Invece offrite la vostra presenza senza bugie, senza promesse vuote. A volte basta anche solo riportare la mente al presente e ricordare che siamo insieme ora. Ed è tutto ciò che conta, a volte. Davvero questo è tutto ciò che i bambini hanno bisogno di sentirsi dire. Sì, e ovviamente, se vi chiedono in maniera diretta, se questa guerra può arrivare vicino a noi, per esempio, i miei figli me lo chiesero di quella in Ucraina, perché essendo nel loro continente sembrava più vicina. Potete dire la verità che è altamente improbabile che arrivi qui da noi, ma non lasciare lì continuare comunque a esplorare opzioni di che cosa potremmo fare se succedesse, per esempio, se dovesse succedere, potremmo provare a scappare. Rifugiarci da qualche parte Potremmo andare in campagna, in montagna, a casa di X. Credo davvero che prepararci alle emozioni questo vaccino emotivo sia importante. Credo che provare a trovare insieme alcune certezze e sicurezze sui possibili scenari più tragici possa aiutare a trasmettere ai bambini che di fronte a un problema o a una tragedia cercheremo sempre una soluzione insieme. E infine vi invito a spiegare ai bambini che non c'è un paese cattivo è uno buono in nessuna guerra. Le persone non vogliono la guerra, non vogliono uccidersi, non vogliono morire. Sono quelle che comandano il paese, che fanno le guerre per ottenere ciò che vogliono. Potete dire ai vostri figli che quella che è scoppiata non è la guerra del paese x, ma è una guerra che è stata voluta dalla persona Y che comanda quel paese. Io scelgo in ogni occasione di trasmettere ai miei figli che nel mondo ci sono più persone buone che vogliono il bene, piuttosto che persone cattive che vogliono il male. Devo ammettere che non ci ho sempre creduto proprio perché nel mondo in cui viviamo siamo bombardati continuamente dal peggio del peggio, perché la pornografia del dolore e della tragedia vende di più. Ma questi anni in viaggio per il mondo, questi cinque anni in viaggio per il mondo mi hanno proprio accompagnata per mano ad interiorizzare questo messaggio che ci sono più persone buone che persone cattive. E oggi ci credo davvero. Con ogni cellula del mio corpo. So che sono tante, tante, tante informazioni. So che alcune di queste informazioni possono farvi sentire sopraffatti e quindi voglio dirvi che se volete fare una sola cosa di tutto questo, siate presenti. Spesso ci dimentichiamo che in ogni situazione della vita, più che delle nostre soluzioni e delle nostre parole, le persone e specialmente i bambini, hanno bisogno della nostra presenza accogliente e onesta. A questo punto vorrei condividere con voi l'esperienza di Teresa Potenza, che ha vissuto la guerra in prima persona. Teresa è una giornalista e lavora quotidianamente per togliere il velo ai pregiudizi e mostrare quante connessioni possono esserci tra culture diverse. Teresa si è trovata in Siria quando la Primavera araba è scoppiata, ha vissuto i primi momenti di quel conflitto e poi, fortunatamente, è riuscita a tornare a casa con suo marito, conosciuto lì poco tempo prima. Teresa ha raccontato questa storia in un podcast che si chiama Ponti invisibili e se avete voglia di ascoltarla, vi lascio il link. Nelle note di questo episodio ho chiesto a Teresa di raccontarci la sua esperienza perché oggi lei ha un bambino di undici anni e una bambina di sette e con loro già da tempo ha avviato conversazioni oneste sulla guerra. Vi lascio ascoltarla. Vivere una famiglia multiculturale, oltre che multilingue è un'avventura molto complessa, ma anche meravigliosa e porta in sé molte sfide. Ma io credo che sia un dono per per i bambini, perché apre le porte di più mondi e offre la possibilità di condividere ogni giorno nella propria quotidianità valori come la libertà, il rispetto e di coltivare la consapevolezza di qua di quanto ogni voce, ogni cultura abbiano valore. Quando però uno dei due genitori, se non entrambi, arriva da un paese in guerra e da quel paese, magari è scappato proprio per mettersi in salvo dalla guerra, allora le sfide si moltiplicano e rischiano di diventare ostacoli troppo alti. Questo è il nostro caso, cioè noi. Io ho conosciuto mio marito Fadi quando abitavo a Damasco. Era il Duemila e dieci e mio marito è siriano e abbiamo deciso di vivere lì. Quindi abbiamo cominciato a la nostra vita insieme a Damasco. Quando poi è scoppiata la guerra nel duemila e undici abbiamo deciso all'inizio di fermarci. Perché? Perché è una decisione sempre molto difficile. Ti trovi davvero a un bivio ed è molto complicato prendere una decisione. Oppure l'altra, cioè quella di scappare, che sembra quella più semplice, di di scelta, ma implica moltissima, moltissima fatica psicologica, perché lasci tutto alle spalle proprio tutto. Oppure quella di restare Anche questo è difficile, perché sai che è quello a cui puoi andare incontro. Dopo qualche mese, però, la situazione era diventata insostenibile con perché, con tutto quello che ne che che comporta una guerra, noi lo abbiamo vissuto, perdite comprese, e quindi abbiamo deciso di trasferirci in Italia. I nostri figli non erano ancora nati e quindi è stato anche abbastanza semplice questo questo trasferimento rispetto ad altri, per esempio, che magari devono viaggiare con i bambini. A ogni modo non ero non avevamo mai pensato di affrontare appunto il il tema della guerra, così come quello della pace con dei bambini, finché naturalmente non sono nati i nostri prima Shadi nel duemila e dodici e quattro anni dopo Nadine All'inizio. Semplicemente non abbiamo non soltanto affrontato, ma neanche pensato ad affrontare questo argomento. Anno dopo anno. Però, um io prima di tutto io, ma così come mio marito, ho cominciato a mettere ordine nei miei pensieri, a rielaborare quei momenti difficili della della nostra vita, della mia vita e quindi a ritornare a quel periodo in cui mi in cui abitavo in Siria, che è stato insomma da da una parte bello, perché all'inizio ci sono state molte cose positive, come quella di aver incontrato mio marito, ma poi anche rielaborare tutta la parte in cui invece è scoppiata la guerra. Noi tra l'altro ci siamo trovati nella prima grande protesta antigovernativa, quindi c'è veramente c'era un vissuto che andava rielaborato prima nelle nostre menti e nei nostri cuori. Quando ho avuto il coraggio di fare tutto questo, mi sono sentita pronta anche per condividerlo e quindi anche un po' guidare i miei figli attraverso la complessità della delle nostre storie, delle storie di del dei, dei loro genitori e quindi della nostra famiglia e piano piano anche pronta a spiegare concetti come la guerra e la pace e tutto quello che portano con sé. Ci eravamo, per fortuna allineati su tutto questo. Abbiamo sempre cercato di essere onesti con i bambini. Non abbiamo voluto nascondere la realtà per non trasmettere una visione, diciamo un po' naif del mondo. Al tempo stesso, però, abbiamo cercato di fare in modo che le nostre conversazioni fossero adeguate alla loro età e anche alla loro. Ma maturità emotiva e per fortuna il momento per parlare di guerra è arrivato da sé in modo più naturale di quanto potessimo aspettarci. Shadi aveva più o meno cinque anni ed è stato proprio lui a chiederci per la prima volta perché mai i genitori del papà o gli zii o gli altri parenti, gli amici, non venissero mai a trovarci dopo tanto tempo? E perché mai allora non andassimo noi da loro, perché mai noi non potessimo trascorrere delle vacanze in Siria, a Damasco o a Suda, che è la zona da cui proviene Fadi, mio marito? Perché mai dovessimo quindi parlare solo in videochiamata? Che per quanto sia bello, però ai bambini non sempre piace? E devo ammettere che per quanto appunto ne avessimo parlato prima e ci fossimo preparati una sorta di scripto, io e mio marito sai quando pensi a tavolino, che cosa rispondere alle domande scomode dei dei tuoi figli perché arrivano sempre. E però la guerra, la pace così come la morte, sono forse gli argomenti più difficili da affrontare con con dei bambini. Ecco, nonostante avessimo questo copione non eravamo pronti. Io non ero pronta, ma credo che nessuno sia mai pronto ad affrontare certi temi con i propri figli. Allora una grossa sfida è stata quella di evitare dall'inizio le divisioni tra buoni e cattivi è quella di ricordare che dietro a un conflitto ci sono sempre moltissime cose che ave-, che sono avvenute, che continuano ad avvenire fattori e che noi non conosciamo. Vecchi dissapori di decenni che portano poi a quello che diventa guerra, che a noi sembra scoppiata, magari da un giorno all'altro perché appunto non conosciamo quello che c'è dietro. Penso anche che sia importantissimo ricordare che le persone si desiderano la pace. Tutti desideriamo la pace, ma le decisioni di chi sta a capo di un governo vanno a volte purtroppo oltre il benessere di quelle stesse persone, perché entrano in gioco altri interessi. Anche qui è importante, secondo me ricordare che se avviene questo non è necessariamente perché chi prende certe decisioni sia il cattivo, così come tutti quelli che fanno parte del suo paese siano quindi cattivi. È importante riportare su un piano pratico, cioè il fatto che purtroppo a volte certi interessi si scontrano con il benessere delle persone. Importante anche lo facciamo sempre noi, quando anche a sappiamo che ci sono guerre che non sono solo quelle della Siria e ricordiamo sempre che ci sono vittime in tutti i paesi coinvolti, non solo quelli che hanno subito il conflitto e che tutte le persone hanno hanno diritto di vivere e di sognare sia quelle che vivono nel paese che ha attaccato, sia quelle che vivono nel paese che ha subito l'attacco. Um, penso poi anche che sia non sia giusto far passare il concetto che la pace sia una cosa facile da ottenere, così come non si arriva a una guerra da un giorno all'altro così purtroppo non si può arrivare a una pace da un giorno all'altro e che è difficile mettere insieme delle persone, um e far loro comprendere che la pace è la cosa migliore per tutti. Così come per esempio, quando si litiga tra bambini molto diff-, si si litiga a volte così di punto in bianco perché c'è una cosa che ci dà fastidio. Però poi è molto difficile fare pace. Quindi è importante, secondo me anche ri- riportare tutti i discorsi a un livello molto pratico quotidiano. Um i bambini, per esempio i nostri figli ci chiedono spesso ancora oggi se sappiamo quando si potrà tornare in Siria e loro andare in Siria per la prima volta e visitarlo tutti insieme. Ricordiamo purtroppo che non è semplice. Non sappiamo, non possiamo dirlo quando terminerà. Possiamo solo sperare che termini in fretta, che non ci siano più morti da una parte e dall'altra ancora per riportare tutto questo nel quotidiano, troviamo molto utile, um, tutto quello che noi, tutte quelle azioni che noi possiamo fare in prima persona nel nostro quotidiano, che non hanno apparentemente connessione con la pace e la guerra, ma in realtà ne hanno molta, perché sono guidate proprio dai valori di della pace, della tolleranza e del rispetto. E questo per esempio. Su questo posso fare diversi esempi, perché sono appunto molto semplici da come come co- qual è il nostro rapporto, per esempio con il cibo a tavola, Quante volte non amiamo mangiare qualcosa che abbiamo nel piatto, ma non soltanto i nostri bambini. Diciamoci la verità, anche noi adulti, e quindi anche ricordare quando succedono queste queste, quando ci sono queste situazioni che siamo davvero privilegiati a poter scegliere di mangiare una cosa piuttosto che un'altra, perché invece altre persone non hanno questa scelta e a volte non hanno neppure nulla nel piatto. Noi abbiamo la fortuna di poter andare a comprare le cose al supermercato e a volte anche di comprarne un po' di più per donarle a chi non può permetterselo. E questo secondo me è bello farlo con loro, far vedere che quello che noi prendiamo e diciamo ah sì, lo lo doniamo. In realtà sono proprio loro a farlo. E magari portarlo materialmente anche un'altra. Cosa molto, molto bella, secondo me è quella di donare i vestiti, soprattutto i loro vestiti, anche i nostri. Certo, però coinvolgere loro quando abbiamo bisogno di cambiare vestiti, perché ca-? Perché crescono in fretta, lo sappiamo tutti e noi lo facciamo sempre insieme. Facciamo scegliere quello, quelle quei capi che sono più adatti per essere donati perché sono ancora molto, molto belli, non sono rotti, devastati dai giochi e quindi li li li mettiamo insieme nelle buste e a volte li portiamo proprio alle persone. A volte sono persone che conosciamo anche, ed è stupendo quando ci mandano delle foto con i loro figli che indossano i vestiti dei nostri. E SDI e Nadine adorano questa cosa di vedere altri bambini e indossare quello che indossavano loro, perché è proprio come se prendessero una nuova vita, quei quei vestiti che di cui loro non avevano più bisogno. Ecco, penso che sia sempre come in tutte le cose, il nostro esempio, a guidare, a guidare loro e a mettere poi quei semini che saranno i valori che avranno da da grandi. Un altro tema che mi sta molto a cuore, che di di cui voglio voglio parlare, è quello del trasmettere l'orgoglio per una cultura, soprattutto quando non è possibile vivere piena pienamente quella cultura, proprio perché una guerra impedisce di visitare quel paese e quindi di viverlo, di vivere la quotidianità, di vivere le persone in quel luogo, perché quando poi non sono in quel luogo, ovviamente poi alcune cose cambiano necessariamente. E nel nostro caso ci ha aiutato tantissimo il rapporto con la nonna quando è riuscita ad arrivare in Italia anche con lo zio che a quasi contemporaneamente è riuscito a raggiungere L'italia. Il nonno purtroppo è stato vittima della guerra, quindi non hanno avuto occasione di conoscerlo e purtroppo neanche parlarne. Parlare con lui in videochiamata. E ogni modo, appunto, il l'arrivo del dello zio, della nonna ci ha dato l'opportunità di spiegare, per esempio, quali sono le opzioni, le possibilità di scelta di chi vive in un paese in guerra quando vuole scappare quando vuole lasciarlo, perché non tutti hanno il privilegio di poterlo lasciare in modo legale come avevamo avuto io e mio marito, per esempio. E non solo avere loro qui con noi ci ha permesso anche di conoscere molto meglio quella cultura e anche di conoscere altre abitudini. Abitudini che magari il papà mio marito, non aveva più perché vivendo in Italia poi da tanto tempo certe cose a volte non non si perdono. Però si di si dimenticano nel per per un po' e fanno fatica a a riemergere in questo modo. Invece siamo riusciti tutti a ritrovarli e ci ha aiutato tantissimo la cucina, la fantastica cucina della nonna e che ha aperto a me stessa per a me per prima un mondo nuovo perché io non cucino. Praticamente non ho mai amato mettermi ai fornelli, al contrario di mio marito invece che è un ottimo cuoco e il cuoco di famiglia. E invece questo ha permesso anche a me di avvicinarmi non solo a questo bellissimo mondo che è la cucina, ma anche di fare in modo che questo avvicinasse i miei figli alla cultura siriana e di parlare di nuovi sapori, nuovi profumi, ma anche di allargare da questo perché poi diventa una scusa bellissima per parlare di altro da appunto usi, costumi e feste e celebrazioni diverse dalle nostre. E ecco, nonostante questo c'è sempre e comunque. Anzi, adesso spesso torna la domanda di quando potremo tornare in Siria e andare per la prima volta invece come famiglia, tutti insieme, um ribadire che appunto non lo sappiamo l'unica, cosa che possiamo fare. Ricordiamo però ecco anche che abbiamo altre opportunità tutti insieme, tutti noi, di trasmettere queste culture sfruttando qualcosa che a volte noi magari ci dimentichiamo, cioè il bello di internet, di questa open internet che ci offre magari cose meno positive, ma anche tante opportunità positive. E quindi noi per esempio, non soltanto guardiamo le nostre foto di famiglia di quando eravamo in Siria, ma anche navighiamo tra siti che parlano della natura, per esempio della Siria e della della zona che sta intorno alla Siria. Um, vediamo molti siti di di arte anche sui social perché conosciamo degli artisti e quindi è bello anche proprio vedere di quello che succede in in Siria ancora oggi, nonostante le difficoltà e come le persone che vivono lì stanno cercando di trovare il modo per vivere i propri sogni anche attraverso l'arte la musica um e quindi anche parlare di Del, di quello che è la ricostruzione, perché chi è lì sta già cercando di ricostruire, di non non non nascondiamo ai nostri figli che non soltanto muoiono persone, ma un paese viene anche certo non raso tu del tutto al suolo, però molte zone sì. E quindi poi bisognerà prendere parte anche a una ricostruzione che chissà, magari, um, troveranno spazio anche loro e po- potranno portare anche loro il proprio contributo. Quindi, insomma, ed parlare di guerra è anche educare alla pace e non non tiriamoci indietro. Prendiamo l'opportunità sempre di parlare di pace ai nostri figli senza nascondere l'altra faccia della medaglia che è la guerra. Educare alla pace un viaggio per noi adulti prima di tutto perché è auto riflessione per noi, ma è anche un viaggio bellissimo per i nostri figli e ognuno di noi può trasmettere tutto questo al di là del paese da cui proviene, al di là del fatto che conosca o no persone che provengono da un paese in guerra. La cosa più importante è educare a comprendere Ciò che succede intorno a noi è comprendere che tutti tutte le persone del mondo sono connesse, sono diverse, ma anche uguali e educare al rispetto, quindi delle persone, ma anche del mondo in cui tutti viviamo. Grazie Teresa, per aver condiviso la tua storia così ricca di spunti di riflessione, ma anche di suggerimenti pratici. Per esempio, beh, è una frase che proprio mi è rimasta impressa, che può essere anche un po', magari superficiale, in un certo senso, quando la dici, senza davvero pensare a che cosa significa senza pensare alla conversazione sulla guerra, sulla morte, um sulle atrocità che che succedono nel mondo. E quando hai detto che tutte le persone hanno il diritto di vivere e di sognare, questa mi è rimasta proprio un pochino come un un mantra. In un certo senso è detta parlando in una conversazione di pace e di guerra assume un significato grandissimo. E poi hai detto un'altra, cosa che mi è piaciuta tantissimo, che che riflettere sul fatto che la pace non è facile da ottenere non è qualcosa a cui si arriva da un giorno all'altro, proprio come la guerra che non avviene da un giorno all'altro e mi è piaciuta moltissimo l'idea di pensare, um che in un certo senso è così anche nei litigi e quindi relazionare un po' questa conversazione al nostro quotidiano, come dicevo prima. Perché spesso, per esempio, anche io e Alex litighiamo e quando io e lui parliamo di un nostro litigio con i nostri bambini, spieghiamo a Olive Emili dove sono le radici di quel litigio, perché spesso ha le radici altrove, non nella calza lasciata per terra o nella nella confezione vuota lasciata in frigo e e quindi ecco, questo davvero mi è piaciuto tantissimo. E poi grazie, grazie, grazie, grazie Teresa per averci ricordato che la pace si fa in piccoli gesti ogni giorno che si trova anche in cose che possiamo vedere e toccare come l'arte. E poi soprattutto un messaggio che mi è molto caro, che è il nostro esempio a fare da guida ai nostri figli e voglio lasciarvi con un pensiero a ragnatela all'inizio di questo episodio vi ho fatto alcuni esempi di come si possa educare alla pace, ma c'è una piccola azione che secondo me, più di ogni altra può fare davvero la differenza. Ed è riflettere sull' interconnessione che esiste tra noi esseri umani e tutto ciò che ci circonda. Portare consapevolezza sul fatto che non siamo isole, siamo tutti parte di una stessa umanità e che quella umanità è più dell'insieme delle singole parti. In mezzo ci sono le relazioni, che sono fondamentali anche se non si vedono. Sembra un concetto astratto, ma ci sono tanti modi per riflettere all'interconnessione con i bambini potete ragionare con i vostri figli su come arrivano a voi alcuni oggetti, come i giocattoli che usate, i vestiti che indossate. Potete guardare sull'etichetta dove sono stati prodotti, immaginare le persone che li hanno realizzati, che vita hanno, Quali sono le condizioni in cui lavorano? Potete immaginare come sono arrivati questi oggetti a noi proprio in maniera pratica. Um il Signore che guidava il camion, il Signore che guidava l'aereo le loro famiglie. Questo aiuterà a portare consapevolezza sul ruolo di ognuno di noi nella società e nel mondo. E io credo che questo soprattutto questo sia educare alla pace. E a proposito di interconnessione, c'è proprio un episodio del podcast che continua ad essere uno dei miei preferiti in assoluto e si chiama proprio Siamo tutti interconnessi ed è l'episodio numero cinquanta e voglio salutarvi con una poesia che ho trovato da poco su Internet, ma che è stata scritta nel duemila e venti, quando ci furono quegli incendi devastanti in Australia, l'ha scritta Mary Anges e venne tradotta una parte che riflette come mi sento di fronte alle atrocità del mondo e che in un certo senso è stata come un respiro profondo per me. Spero lo sia anche per te. Eccola. Mi lavo la faccia prima di andare a letto mentre un paese è in fiamme. Mi sembra stupido lavarmi la faccia. È stupido non farlo. Non è mai stato così. Ed è sempre stato così. Qualcuno ha sempre fatto un brindisi in un emisfero, mentre qualcuno perde la casa in un altro, mentre qualcuno si innamora nello stesso condominio in cui qualcuno piange Un lutto. Il fatto che sofferenza, mondanità e bellezza coincidano è insopportabile e straordinario. Questo è tutto per oggi. Ci vediamo nel prossimo episodio di educare con calma. Nel frattempo vi ricordo che mi trovate su www punto la tela punto com e da lì trovate anche il mio profilo su Instagram. Buona serata. Buona giornata o buonanotte a seconda di dove siete nel mondo. Ciao ciao

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.