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Episodio 73 ·

Tutte le case sono in fiamme! (ragnatela in 5')

In questo episodio di Educare con Calma rifletto in 5 minuti (ok, poco più 😅) su una frase che scrivete spesso dopo aver ascoltato un episodio del mio podcast o aver letto un post del mio blog: "Mi hai fatto sentire meno sola/o".

Nella trascrizione dell'episodio sul mio sito trovate la poesia che leggo in inglese. Se lo ascoltate su un'altra piattaforma, lo trovate su latela.com/podcast.

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Ebbene sì, ho cambiato il titolo. Mi sono resa conto che sempre più spesso Montessori in 5’ non parla davvero di Montessori, e va bene per me perché ormai Montessori è presente in ogni mia decisione, azione e reazione, per me è più uno stile di vita, ma non è così per tutti e quindi vorrei usare Montessori quando parlo davvero di Montessori, perché su Montessori c’è già tanta confusione e non voglio certo contribuire ad aggiungerne io. 

Quindi ho deciso che Montessori in 5’ rimarrà, sarà un titolo che userò sporadicamente, quando ne avrò l’ispirazione, ma parlerà del metodo, degli insegnamenti di Maria Montessori che possono essere applicati nella vita di tutti i giorni. Quando però, esce un episodio in 5 minuti che parla di amore, dolore, gioia, fiducia, relazioni, matrimonio, delusioni, vita, lavoro, carriera, passione, insomma, qualsiasi cosa che mi frulla per la mente… allora quello non è Montessori, è vita. E visto che Vita in 5’ mi sembrava troppo ambizioso, ho deciso che sarà Ragnatela in 5’. E come inauguare meglio la mia ragnatela in 5 minuti se non con un pensiero a ragnatela? Quindi eccolo.

L’altro giorno ho letto una breve poesia di un poeta pakistano che visse a cavallo tra il 1100 e il 1200, Baba Farid, che dice:   
“I thought I was alone who suffered. 
I went on top of the house,
And found every house on fire.”
Pensavo di essere l’unico a soffrire. Sono andato in cima alla casa e ho trovato tutte le case in fiamme.

E sapete a che cosa mi ha fatto pensare? A tutti coloro, decine e decine di persone, anzi centinaia di persone a questo punto, che mi scrivono dopo aver ascoltato un mio episodio del podcast o dopo aver letto un post sul mio blog per dirmi che “dopo aver ascoltato le mie parole si sentono meno sole”. Che pensavano di essere gli unici e le uniche a chiedersi perché non sono felici. A non avere voglia di sesso. A sentire la fatica del matrimonio. A sentirsi inadeguati come genitori. A sentirsi frantumare il mondo sotto i piedi durante la sindrome premestruale. A sentire che i figli li “sfidano” in continuazione. 

E metto “sfidano” tra virgolette perché non credo che i bambini ci sfidino: non ci sfidano, esplorano i loro limiti, che è sano e necessario per crescere e l’idea di sfidarci nasce solo ed unicamente dall’idea gerarchica che abbiamo della genitorialità e… e voilà, no, taglio questo filo della ragnatela perché non volevo andare lì.

Volevo andare sulla solitudine. Su quanto mi facciano pensare tutti quei messaggi in cui le persone mi dicono “pensavo di essere l’unica”, “mi hai fatto sentire meno solo”, “grazie per aver condiviso questa parte privata della tua vita, non sai quanto mi abbia aiutato”, “nelle tue parole ogni volta trovo qualcosa che stavo cercando, un confronto che mi mancava, un punto di vista che non avevo scoperto, ma soprattutto mi sento meno sola”.
Mi sento meno sola. Mi sento meno solo.

E più leggo più penso: ma quanto ci sentiamo soli per il semplice fatto di non condividere le nostre verità scomode? Di non parlare di ciò che ci tormenta dentro. Di non raccontare ciò che ci ha fatto soffrire. Di non ammettere di sentirci vulnerabili, ammaccati, inadeguati.

E per cosa poi? Per un costrutto mentale, per lo status. Per mantenere agli occhi degli altri quell’immagine di forza, sicurezza e invincibilità che la società si aspetta da noi; per far credere al mondo che siamo felici, che siamo soddisfatti di dove siamo, che il nostro matrimonio funziona, che il nostro lavoro ci piace… per fingere di essere chi non siamo. Fingere di fare un lavoro che non facciamo da anni, fingere di avere una vita sessuale attiva quando non ci tocchiamo da mesi, fingere di essere soddisfatti della relazione con i nostri figli mentre ogni giorno ci troviamo ad urlare, fingere di non fare fatica quando siamo sull’orlo di una crisi di nervi. Sorridere e fingere fingere fingere. Come se non provassimo tutti le stesse emozioni. Come se non attraversassimo tutti sfide simili, ostacoli emotivi simili nel pezzo di mondo in cui viviamo.

Fingiamo e fingiamo e fingiamo per mantenere uno status quo, per mantenere quell’apparenza che ormai è come un’armatura, per esporci il meno possibile al giudizio della gente, alle dita puntate… e così… ci ritroviamo completamente soli nelle nostre fatiche, per il semplice fatto che non vogliamo ammetterle e parlarne e sviscerarle ed esorcizzarle.

A volte mi chiedete come faccio a parlare così naturalmente della mia vita privata, se faccio fatica a parlarne, se temo di essere giudicata.
No, o forse sì, non lo so, non importa. Quello che so è che parlarne non solo mi libera dalle catene dell’apparenza, ma mi permette di salire sul tetto di casa da cui posso vedere che anche tutte le case intorno a me sono in fiamme.

Ok, sto parlando a raffica e troppo veloce forse. Quando qualcosa mi appassiona ho la tendenza a parlare veloce. Ma per rispondere a quella domanda, prima di iniziare a registrare riflettevo e sapete che cosa ho capito? Che non credo nemmeno che tutto quello di cui parlo della mia vita privata sia poi così personale, sia poi così privato. Il sesso, lo faccio solo con mio marito, ma è un’esperienza comune. Sono madre solo di Oliver ed Emily, ma la genitorialità è un’esperienza comune. Amicizia, sofferenza, amore, gioia, passione, credo, tolleranza, rispetto, sono tutte esperienze comuni.
Sono tutte esperienze che succedono a me e dentro di me e intorno a me, ma sono anche esattamente le stesse che succedono a te, dentro di te e intorno a te.

Forse il vero problema è che pensiamo che le cose che ci capitano e le emozioni che proviamo e le fatiche che sentiamo, in qualche modo riflettono chi siamo. E quindi pensiamo di non poter condividere che cosa ci succede e quello che proviamo dentro, perché allora ci rende un certo tipo di persona. Dico che ho urlato, sono una pessima madre. Racconto che mio figlio non mi ha ascoltata, e automaticamente ricevo giudizi sul genitore che sono. Dico che mi sono dedicata un pranzo da sola e sono egoista.  
Ma la verità è che spesso NON abbiamo il controllo di ciò che ci succede, ciò che ci succede NON è un riflesso di noi. Sarebbe molto più sano liberarci di questa mentalità. Dovremmo separare le due cose, chi siamo e ciò che ci succede, perché solo così possiamo sentirci liberi da quel fardello che ci sembra di dover portare da soli, ma che in realtà appartiene a tutti in maniera simile. Chissà se questo ha senso nella vostra mente, come nella mia…       

E quindi no, non mi vergono a parlare della mia vita privata come qualcuno mi chiede; e no, non sento di stare facendo qualcosa di coraggioso come qualcun altro mi dice… perché in realtà sto solo parlando di cose che tutti viviamo e sperimentiamo.

E più ne parlo, più ricevo quella reazione:
“No ma dai, anche tu? Sì, anche io”.
Più ricevo quella reazione più rafforzo l’idea che i miei non sono problemi o sentimenti o emozioni personali. Appartengono a tutti e tutte e in maniera più simile di quanto io possa anche solo immaginare.
E soprattutto da quando ho iniziato questo podcast sento che sempre di più questa idea la stiamo scoprendo e la stiamo rafforzando insieme. E quindi ti ringrazio, vi ringrazio uno ad uno, perché se oggi tutti questi pensieri popolano la mia mente è anche grazie alle reazioni che mi mandate quando ascoltate le mie parole.

E basta perché finisco il tempo, ma tutto questo per dire, non sono sola, non sei solo, non sei sola, non siamo soli. Le mie emozioni più spesso che no sono le tue emozioni. E se vuoi sentirti meno solo e sola nelle tue emozioni, condividile, parlane, abbassa la guardia, togliti l’armatura.
E allora vedrai che tutte le case intorno alla tua sono in fiamme, proprio come la mia e come la tua.

Come sempre, mi trovate su www.latela.com e su instagram come @lateladicarlottablog.
Ci vediamo qui venerdì prossimo per un altro episodio di Educare con Calma. Se ti piace, per piacere lascia una recensione sulla piattaforma dove lo ascolti o dimmelo con un commento sul mio sito. Anzi se ti va, scrivimi a carlotta@latela.com anche solo per dirmi ciao, ti risponderò volentieri. 
Buona serata, buona giornata, o buona notte, a seconda di dove sei nel mondo.   

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«Educare con calma» è un bel principio di cui a me mancava solo un dettaglio: la calma. Questo podcast è un resoconto del mio viaggio interiore di genitore.

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