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E alla fine arriva papà - Capitolo 3

Carlotta Cerri
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Recap:

Dopo tre mesi passati a fissarmi aspettando la sua pizza, Alex trova il coraggio di chiedermi come mi chiamo e “dirmi” di uscire insieme—”dovremmo pranzare insieme”, dice. Il 21 settembre 2007 ci vediamo per il nostro primo appuntamento. Due giorni dopo gli scrivo un messaggio: “lasciamo stare, sarebbe troppo difficile, la lunga distanza e tutto il resto”, a cui lui risponde volando sui suoi rollerblades fino all’altro lato della città per vedermi. È deciso a non lasciarmi andare. Quel giorno è la data del nostro primo bacio.

Puoi leggere il primo capitolo e il secondo capitolo.

Capitolo 3

Ci siamo salutati quella domenica pomeriggio e camminando verso casa tra me e me pensavo che in qualche modo quel bacio aveva reso le cose chiarissime nella mia mente. Non vado da nessuna parte, questo ragazzo me lo tengo stretto.

Una settimana dopo, ho intenzionalmente perso il mio volo di ritorno e optato per una mossa poco ortodossa: mi sono trasferita a casa sua—”ovvia” soluzione di Alex al piccolo problema che il mio contratto d’affitto scadeva e noi volevamo trascorrere ancora un po’ di tempo insieme prima che tornassi in Italia. A posteriori, andare a vivere con un ragazzo che avevo conosciuto una settimana prima può sembrare un po’ ingenuo, forse anche un po’ rischioso, ma in mia difesa posso dire solo: quando lo sai, lo sai.

Tutto del vivere insieme era facile e spontaneo, tanto che ancora oggi incoraggio sempre i giovani innamorati ad andare a vivere insieme il prima possibile. Perché aspettare? Soprattutto se non vivi più con i tuoi o sei pronto per andartene, e incontri qualcuno da farfalle nello stomaco e cavallo bianco, vivete insieme, passate ogni secondo del vostro tempo libero insieme, mangiate insieme, guardate un sacco di film insieme, viaggiate insieme, comprate mobili insieme, condividete condividete condividete. La vita è breve.

Il mio contratto estivo in pizzeria era finito e io facevo la dolce vita scrivendo, prendendo il sole e aspettando che Alex tornasse a casa dal lavoro. La mia mente potrebbe giocarmi brutti scherzi dopo 10 anni, ma tutto ciò che ricordo è arcobaleni e unicorni e perfezione—il calore di svegliarsi uno accanto all’altra ogni mattina, l’intimità di coccolarsi a letto per ore prima dell’alba, la bellezza di iniziare il giorno insieme con una colazione fatta in casa (Alex continuerà a prepararmi la colazione ogni mattina per molti anni), e l’attesa di incontrarci di nuovo alla fine della sua giornata lavorativa.

Non riesco a ricordare un solo momento triste, una discussione, una lotta, una giornata no—tranne quando ho dovuto chiamare Fidanzato e dargli la brutta notizia, naturalmente; odio le rotture, anche quando sono meglio per te, c’è sempre pianto, rabbia, risentimento, senso di colpa e di solito l’ossessione di uno dei due, quel “come posso riconquistarti?” senza speranza. Sì, chiudere con Fidanzato—che era veramente, follemente e profondamente innamorato di me—è stato terrible.

Ma vivere con Alex era magico, qualcosa che non avevo mai sentito prima. Sembrava quasi surreale, come uno di quei troppo-bello-per-essere-vero che è destinato a finire.

E infatti, finì.

Presto sono dovuta tornare in Italia per laurearmi. Ritorno a Torino, alle lezioni, alla vita da studente. Non ne avevo affatto voglia—le uniche due cose che mi facevano andare avanti e pensare positivo erano le mie compagne di corso Erika e Ludovica (ciao, ragazze!), e la prospettiva di fare quasi due anni in uno, finire tutti i miei esami a luglio e tornare a Marbella per scrivere la tesi finale.

Nei 10 mesi successivi, io e Alex abbiamo vissuto in due Paesi diversi, ma non abbiamo trascorso molto tempo lontani.

Alla fine di ottobre è venuto a Torino per aiutarmi a cercare un appartamento tutto mio, un bel cambiamento rispetto al precedente, dove condividevo una piccola stanza con altre tre ragazze in due letti a castello.

Alla fine di novembre Alex ha fatto avverare uno dei miei sogni da adolescente: probabilmente pensava ancora di dovermi sorprendere perché fossi sua, e così mi ha portata a New York per il mio 22° compleanno, ancora oggi uno dei miei ricordi preferiti e più mozzafiato di tutti i tempi.

Alla fine di dicembre, abbiamo trascorso il nostro primo Natale insieme… e insieme alla mia famiglia. All’epoca, l’idea mi piaceva un sacco, ma a posteriori forse è stato un colpo basso per lui: questo povero ragazzo finlandese di 22 anni che non parlava ancora italiano, dopo solo tre mesi insieme, ha dovuto conoscere tutta la mia famiglia in un colpo solo e sopportare un tradizionale Natale italiano da mia nonna, dove l’80% delle persone non parlava inglese, siamo stati seduti a tavola per circa 6 ore e mia nonna continuava a chiedergli di matrimonio e figli (!). Se non è amore quello…

I 7 mesi successivi fino a luglio sono stati un non finire di avanti e indietro—solo fisici, perché i nostri cuori avevano già messo radici—di Colbie Caillat, James Blunt e Jason Mraz, di chiamate su Skype lunghe tutta la notte, di studio ininterrotto di nozioni ormai dimenticate, di mancarsi, di andarsene e poi di rincontrarsi e poi di andarsene di nuovo.

E poi arrivò il giorno.

Era il 7 luglio 2008. Alex era partito da Marbella e arrivato a Torino in una macchina in affitto. Aveva viaggiato attraverso tre Paesi per venire a prendermi, il mio eroe dalla pelle chiara e gli occhi da orientale che raccontano emozioni. Abbiamo caricato la macchina, ho messo le cinture sul sedile posteriore al mio amico orso Findus—che non ha mai lasciato il mio fianco da quando Giorgio Faletti me lo ha regalato per il mio sesto Natale—ho restituito le chiavi dell’appartamento—e simbolicamente della mia vita da studentessa, adolescente, single—e siamo partiti per la Spagna, attraverso le Alpi, la Francia, e giù giù fino a Marbella.

2000km e sarei stata a casa—perché è vero quello che dicono, che la casa è dov’è il cuore. Altri 2000km e Alex mi avrebbe salvata—perché solo ora mi rendo conto che non avevo mai avuto più bisogno di un riscatto come in quel momento della mia vita, quando avevo 22 anni, con quasi nelle mani un inutile diploma di laurea che non avrebbe significato nulla nel mondo reale, e un libro tutto bianco da scrivere.

Terrificante e rinfrescante allo stesso tempo. Non mi ero mai sentita così bene e pensavo che non sarei mai stata più felice.

Mi sbagliavo.

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